«Io propongo una Storia segreta. Quello che racconto è fondamentalmente l’incubo privato delle politiche pubbliche. Sappiamo tutti che per ogni grande avvenimento pubblico violento, sporco, devono esserci piccoli tirapiedi che fanno il loro sporco lavoro da formiche. Sono loro i miei uomini». Così dichiarava James Ellroy in un’intervista del 2004, rilasciata dunque nell’intervallo tra il secondo e il terzo capitolo della sua trilogia Underworld USA…

Questa tempesta” è il secondo libro della seconda Tetralogia di Los Angeles, diretto successore di “Perfidia”. Con questo ciclo narrativo, unito alla prima Tetralogia (che include un bellissimo libro come “L.A. Confidential”) e la Trilogia Americana, pare che Ellroy si sia proposto la grande ambizione di un affresco storico di oltre trent’anni (1941-1972), popolato da personaggi reali e di finzione che si mescolano tra loro e compaiono in diversi libri.

L’idea è certamente ammirevole, anche perché il contesto presentato è ben descritto e interessante, ovvero quello di un’America che vive la Seconda grande guerra da lontano, avendola toccata con mano solo con l’attacco inaspettato di Pearl Harbor. Altrettanto interessante è vedere come i tanto osannati Stati Uniti, sempre dipinti come liberatori senza macchia, abbiano essi stessi avuto una condotta discutibile e perpetrato nei confronti dei giapponesi una discriminazione simile a quella nazista. I giapponesi venivano infatti internati e, seppure non subissero le stesse brutalità subite dagli ebrei e dagli altri prigionieri nazisti, erano comunque maltrattati e non di rado uccisi senza alcun tipo di rimorso.

Nelle prime centinaia di pagine sono sciorinati una serie infinita di nomi che l’autore ci presenta come se dovessero esserci familiari, ma che al lettore non dicono nulla e finiscono per confonderlo nei già ingarbugliati meandri della storia a cui si appresta ad assistere. Ellroy fa decine e decine di nomi, li ripete fino allo sfinimento mettendoli continuamente in correlazione tra loro e pretendendo che il lettore ne cavi qualcosa, mentre quest’ultimo sta invece tentando con tutte le sue forze di raccapezzarsi, invano. Questo aspetto rimarrà lungo tutta la storia, ma all’inizio è davvero irritante.

Quando i nomi più ricorrenti cominceranno finalmente a diventare familiari, ecco che emergono le tediosità della storia. A parte qualche raro stralcio d’azione (ben scritto, questo c’è da dirlo), “Questa tempesta” è tutto una continua ripetizione: Ellroy ribadisce le stesse cose fino allo sfinimento; tutto quello che i personaggi scoprono viene ripetuto quando un personaggio che ne era ignaro ne viene finalmente a conoscenza. Queste scoperte, poi, molto spesso lasciano totalmente indifferenti perché parte di un intrico troppo ingarbugliato per essere compreso o perché coinvolge personaggi lontani dallo spettro emotivo e cognitivo del lettore. Poche sono le rivelazioni davvero interessanti, che vengono oltretutto attutite dall’apatia che tutti gli altri eventi incomprensibili hanno generato. La storia non coinvolge mai: è troppo intricata, politica e in tutta sincerità poco interessante. Ottocentocinquanta pagine e si ha la sensazione di non aver letto nulla se non nodi e contro nodi mentali: un esercizio intellettuale folle che l’autore ha fatto con la sua capacità stilistica e la sua conoscenza approfondita del periodo storico, che con questo cocktail si sono tuttavia annullate penosamente. Non si riesce a capire cosa Ellroy abbia voluto davvero raccontarci.

Non so se ha avuto eccessiva fiducia nei propri mezzi, se si sia lasciato prendere la mano, o abbia voluto semplicemente strafare; ma con la sua sconcertante mole non giustificata dai contenuti, “Questa tempesta” non ha generato in me altro che un sospiro di sollievo. Quando l’ho finito, si intende.

 

La trama del romanzo

Selvaggio, tenero, elegiaco, il nuovo attesissimo romanzo di James Ellroy.

«James Ellroy è il Dostoevskij americano» – Joyce Carol Oates

Gennaio 1942, gli Stati Uniti sono ormai entrati ufficialmente nel conflitto e il Paese è in preda a una paura che alimenta l’odio razziale. In un parco di Los Angeles la tempesta smuove la terra riportando alla luce i resti carbonizzati di un uomo. Il cadavere viene collegato a una rapina avvenuta nel ’31, un colpo che ha fatto epoca: nessun arresto, nessuna refurtiva recuperata. Mettere le mani su quel bottino diventa l’ossessione di tutte le persone implicate nell’indagine. Però, quando due detective rimangono uccisi in un ritrovo per drogati, la vicenda si fa, se possibile, ancora più torbida. La guerra è appena cominciata, ma qualcuno sta già preparando la prossima.

 

Come inizia

Solo il sangue muove le ruote della storia.

BENITO MUSSOLINI, il Duce

  

   Reminiscenza.

   Sono ancora stregata. Quella febbre di allora e adesso ancora mi consuma. Sono molto vecchia, l’unica testimone vivente. Il Maestro mi ha lasciato in eredità il suo pianoforte e la musica che abbiamo fatto uscire di nascosto dalla Russia. La vista e la memoria sono impeccabili. Lunghi periodi di pratica mantengono forti le mie mani. Compongo alla tastiera. Improvvisare stimola i ricordi. Parole e musica mi sostengono e plasmano il mio ripudio della morte.

   La guerra.

   La pioggia.

   L’oro.

   Los Angeles e il Messico, la Quinta Colonna.

   Non morirò finché potrò vivere questa storia.

The Thunderbolt Broadcast

 

 

     Padre Charles Coughlin. Xerb Radio, Los Angeles.

     Trasmissione pirata: Tijuana, Messico.

      Martedí 30 dicembre 1941.

   Buonasera e bienvenidos, tanti auguri di Feliz Navidad in ritardo e non dimentichiamo próspero año nuevo y felicidad, che significa «Buon anno» e serve a introdurre il tema della trasmissione di stasera: il Messico in guerra. E sì, siamo in guerra, cari compatrioti americani, anche se, sicuro come la morte, non avremmo voluto.

   Diciamo pane al pane: es la verdad, come dicono i nostri cugini messicani. Siamo entrati da soli ventitré giorni in questo spreco di tempo e denaro voluto dagli ebrei, e siamo stati costretti ad allearci con i rossi violentatori russi contro i nazisti, sinceramente più simpatici. È una veemente vergogna, ma secondo il delirante decreto del nostro presidente e uomo di paglia degli ebrei, Franklin «Doppio Gioco» Rosenfeld, dobbiamo combattere der Führer, e perciò siamo costretti a farlo, anche se è un jefeeroico. Ci vorrà ancora un po’, tuttavia, perché al momento siamo troppo occupati con i giapponesi.

   Quindi scendiamo ora verso il Messico, dove le señoritas sfrigolano e los jefes piú determinati dominano.

   Il Messico fa subito pensare all’ORGOGLIO CATTOLICO, no, amici? Aggiungiamo REPUBBLICA TEOCRATICA, ANTICOMUNISTA E DOVEROSAMENTE RELIGIOSA. Ne viene fuori un certo quadro, giusto? Sì, ma un quadro del tutto inesatto e sconsolatamente sovversivo, che risale ai tempestosi anni Venti e al ripugnante regno rosso del presidente Plutarco Calles. Fatto: Calles istituì un piano sessennale per le riforme sociali e politiche, sul modello del piano quinquennale della rossa Russia.

   Fatto: Calles si dedicò a estirpare l’influenza della Chiesa cattolica, proibì le feste e le processioni religiose e creò dei «collettivi di lavoratori» per contrastare i presunti eccessi del capitalismo industriale e proseguire la secolarizzazione del corpo politico messicano, malgrado l’ostinata opposizione del popolo CATTOLICO.

   Fatto: i vescovi cattolici furono costretti a sospendere le manifestazioni di culto pubbliche.

   Fatto: le squadracce di Calles, le cosiddette camicie rosse, chiusero chiese in tutto il Messico.

   Fatto: ci furono preti assassinati, suore violentate, vescovi costretti a chiedere asilo in Sudamerica, e la santa messa doveva essere celebrata in segreto.

   Fatto: al canceroso Calles subentrò Lázaro Cárdenas, un sinistrorso zoppicante, un variegato smidollato un po’ meno maligno. Anche se in modo meno evidente, le sue politiche anticlericali puzzavano ancora di stalinismo. I preti venivano ancora assassinati e le suore violentate, e satanici despoti provinciali chiudevano ancora le chiese e proibivano le messe.

   Fatto: tali pratiche proseguono con l’attuale presidente Manuel Ávila Camacho, un muchacho di «centrosinistra», ossia un ipocrita.

   Questo ci porta ai cristeros, i fantastici e virtuosi membri della resistenza cattolica.

   Le camicie dorate, molto diverse dalle camicie rosse della genia comunista di Calles/Cárdenas. Le guardie armate che combattevano il fuoco con il fuoco, uccidevano le camicie rosse, linciavano i commissari comunisti e gli apoplettici apparatčiki, e bruciavano vivi i rettili rossi.

    I cristeros fiorirono con Calles e furono costretti a nascondersi con Cárdenas. Nel ’37 subirono una maestosa metamorfosi, diventando l’Unión Nacional Sinarquista.

   La sinarchia è il contrario dell’anarchia, quindi il sinarquismo rappresenta un assalto vero e proprio alla sinistra anticattolica. Un sottosuolo di Untermenschen ora applica il programma ateo del presidente Camacho, mentre i sinarquistas rappresentano il contrattacco cattolico, e crescono di numero. Fanno proselitismo in nome di un’idea mista di Stato: cattolico e secolare. Sono stati definiti fascisti e nazisti, ovviamente dai rossi. Comunque sono venuti fuori dalla Falange spagnola e dalla valorosa vittoria del generalísimo Francisco Franco nella Guerra civile spagnola. E ora abbiamo gli Stati Uniti invischiati in un logorante conflitto mondiale, e abbiamo il Messico al nostro confine meridionale. Le camicie verdi del sinarquismo serviranno i nostri interessi come potenza mondiale emergente, anti-Asse e non rossa in senso nazionalista?

   Fatto: il Messico finora è rimasto «neutrale» in questo conflitto mondiale.

   Fatto: il presidente Camacho ha chiuso il consolato tedesco nell’agosto del ’41, ma giù in Mechicorestano un sacco di crucchi e giap pro-Asse.

   Entra in scena la Baja California.

   La Baja è quella lurida lingua di terra messicana a sud della nostra San Diego. È un infernale focolaio d’intrighi fascisti e comunisti. E vi risiedono molti giapponesi. La polizia di Stato messicana sospetta l’esistenza di molti punti di attracco per sommergibili giapponesi lungo la costa della Baja che dà sul Pacifico. Girano voci di basi aeree segrete dei giapponesi, in preparazione di incursioni su basi navali e impianti difensivi intorno a Los Angeles.

   Entra in scena il capo sinarquista Salvador Abascal.

   Il señor Abascal es muy católico. È il leader spirituale e intellettuale del sinarquismo e ne indossa con orgoglio la camicia verde. Come molti membri maschi di questo movimento, sulla pelle tra il pollice e l’indice della mano destra ha un tatuaggio con le iniziali SQ circondate da un serpente arrotolato. È un bell’uomo di trentun anni e il presidente Camacho sembra temerlo.

   Fatto: i sinarquistas stanno crescendo di numero in Messico e negli Stati Uniti.

   Fatto: il patriarca pagliaccio Camacho ha concesso loro un terreno per un accampamento nella baia di Magdalena, nella parte sud della Baja California. Li vuole isolare, o preparare per qualche compito?

   Gli agenti dei servizi segreti dell’esercito statunitense si stanno mobilitando nella Baja. Sbroglieranno la Gestalt politica e ci saranno rastrellamenti di giapponesi, un po’ come abbiamo fatto negli Usa con i campi di internamento. Qual è il corollario di tutto questo? Il Messico abbandonerà la sua neutralità da castrato, schierandosi con lo Zio Sam? L’America è ora allineata in modo allarmante con i ripugnanti rossi russi, contro i brillanti ma brutali nazisti. Il peso messicano e il dollaro americano precipiteranno ed emergerà un nuovo sistema aureo? E che dire delle voci secondo cui nazisti e russi stanno fondendo lingotti d’oro a forma di svastica e falce e martello?

   Il Messico, cari hermanos americani e cristiani, è la porta meridionale delle nostre sacre sponde. Migranti macerati attraverseranno i nostri confini per insabbiarci nel sabotaggio? I sinarquistascorreranno in nostro aiuto come una mirabile milizia?

Parte prima

Pioggia

(31 dicembre 1941 – 23 gennaio 1942)

   1.

   Elmer Jackson

 

     Los Angeles, 31 dicembre 1941, ore 21.30.

   Appostamento.

   Seduto e aspetta, questo è il lavoro. È in giro uno scassinatore/violentatore. Si chiama Tommy Glennon, recentemente laureato a San Quentin. Dopo Pearl Harbor ha totalizzato cinque case scassinate con sodomia annessa.

   Felice anno nuovo, cazzo.

   Tre uomini all’appostamento. In due auto ferme tra la Ventiquattresima e Normandie. Seduto e aspetta. Una noia che ti spacca il culo.

   La pioggia. Piú le norme di guerra sull’oscuramento. Tapparelle abbassate, lampioni offuscati. Visibilità del cazzo.

   Era una caccia al cervo. Il dipartimento di polizia lavorava così. Quattro vittime avevano identificato Tommy dalle foto segnaletiche. Il capo e Dudley Smith si erano consultati. E avevano deciso. Come sempre: la pena per le perversioni contro le donne è la MORTE.

   Elmer ingollava Old Crow, seduto in macchina davanti alla casa. Mike Breuning e Dick Carlisle sorvegliavano il vicolo. Tommy aveva già ispezionato la casa, dove vivevano due sorelle gambe lunghe. Una sorveglianza a ranghi serrati aveva ottenuto risultati.

   La Centrale Furti seguiva Tommy da una settimana. Elmer aveva già evacuato le due sorelle e fatto venire in casa la sua ragazza, un’altra coscialunga, che aveva sia le gambe, sia le palle, per quel lavoro.

   Ellen Drew. Attricetta part-time della Paramount e fidanzata part-time di Elmer. Le erano rimaste attaccate addosso le critiche per Un vagabondo alla corte di Francia e si era spenta: pfft. Ora puttaneggiava part-time per Elmer e per la sua fidanzata full-time.

   Brenda Allen. Amante part-time del capo della polizia Jack Horrall. Si tratta sempre di chi conosci e a chi lo succhi. Era stato Chiamami Jack a decidere l’appostamento con esca.

   Elmer guardò la casa. Le luci al piano di sopra erano accese. Ellen aprì un po’ le veneziane per mettere in mostra le gambe. Violava le regole dell’oscuramento, ma le sue gambe erano illuminate beeene. Tommy G. era un maniaco delle gambe. Elmer aveva letto il suo fascicolo di San Quentin e lo aveva inquadrato.

   Thomas Malcolm Glennon / maschio bianco americano / nato il 19/08/1916. Prima la Preston School, cioè la scuola del riformatorio, poi San Quentin. Culo e camicia con i pachucos e con i tongdelle Quattro Famiglie.

   Da qualche parte a nord partirono fuochi d’artificio. La pioggia spense le scintille, rovinando l’effetto.

   «Si tratta di chi conosci».

   Elmer conosceva Dudley e Chiamami Jack. Dunque, quel lavoro di merda. Mike B. e Dick C. erano i gorilla di Dudley. Dud aveva la serata libera perché uno sconosciuto l’aveva accoltellato tre giorni prima.

   Elmer sbadigliò. Poi cazzeggiò con la radio. Ne uscirono chiamate della polizia.

   Negrotown, rapina a mano armata / Happytime Liquor / auto di pattuglia sulla scena. Retata antidroga al Club Zombie. Messinegri disturbano la quiete pubblica. Mangiafagioli in completi a vita alta in fuga.

   Elmer sbadigliò. Ruotò la manopola. Trovò una stazione civile ed ebbe fortuna: la festa di capodanno del dipartimento di polizia.

   Dal vivo dal municipio. C’è la band di Count Basie. La sala riunioni del Detective Bureau è piena di microfoni radio. Count è alla tastiera. Lester Young al sax.

   La storia che si racconta è questa: due agenti in divisa hanno beccato il Conte a fumare erba. Jack Horrall gli ha fatto la proposta. «Scegli tu: sei mesi in un campo di lavoro o una notte di musica».

   La pioggia martellava l’auto. E il rumore annegava la musica di Count Basie. Elmer passò sulla banda 3. Linea aperta con Breuning e Carlisle.

   «Conosci» e «succhi». Mike Maldestro e Dick Deficiente. Questo ridicolo 31 dicembre. A che serve il tuo status di poliziotto ammanicato?

   Elmer amava la Buoncostume. Lì si rideva ed era il posto giusto per abbattere la concorrenza alla sua attività di ragazze squillo. Poi i giap del cazzo avevano bombardato Pearl Harbor e il mondo bianco si era ritrovato inculato a dovere.

   Elmer era stato distaccato alla squadra Stranieri. E si occupava di giapponesi dodici giorni alla settimana. Giap, giap, giap. Nati all’estero, nati negli Usa, membri reali o presunti della Quinta Colonna. Irruzioni in casa, confisca dei beni, trasferimento nelle lussuose scuderie di Santa Anita.

   La banda 3 trasmetteva le stronzate di Breuning e Carlisle. Chi aveva accoltellato il Dudster? I loro figli indisciplinati. Quella vigilessa con un paio di bocce così.

   Breuning e Carlisle cazzeggiavano. Discutevano dell’indagine dei federali sulle intercettazioni telefoniche. Il dipartimento di polizia era nella merda fino al collo. Un’ansia da mangiarsi le unghie.

   Il municipio era intercettato dal pianterreno fino al tetto. Fazioni rivali di poliziotti si spiavano a vicenda. Poliziotti truffatori, poliziotti associati ai tong, poliziotti crumiri. I federali se n’erano accorti e avevano avviato un’indagine su quelle intercettazioni illegali.

   Poliziotti feudatari, poliziotti ladri, poliziotti con le camicie grigie del Bund tedesco-americano. Telefonate all’ufficio del procuratore distrettuale. Telefonate al sindaco Fletch Bowron. I poliziotti del Detective Bureau avevano pauuura.

   Elmer aveva paura. Gestiva un giro di ragazze squillo. Vendeva carne fresca all’élite di Los Angeles. E telefonava ai clienti dalla sala detective della Buoncostume. La radio andò a culo. Sfrigolii, sibili, statica. Elmer ruotò la manopola ed ebbe di nuovo fortuna. Buon Dio, l’Hometown Jamboree di Cliffie Stone.

   Auld Lang Syne, il valzer delle candele, il canto dell’addio per gli sfollati bianchi. Elmer si riconosceva in quella definizione. Cliffie gli faceva tornare in mente i bei tempi del fieno e del whisky distillato in casa. A Wisharts, North Carolina.

   Wisharts era territorio del Ku Klux Klan. La geografia è un destino. La vita nel Klan aveva fregato suo padre e suo fratello maggiore, Wayne Frank. Quella dieta di odio verso i negri era rimasta sul gozzo al giovane Elmer. Nel ’30 aveva compiuto diciott’anni e si era arruolato nei marine. Semper fidelis: Parris Island, Camp Lejeune, Nicaragua.

   Managua. Il distaccamento dei marine sostiene il Führer marionetta Somoza. I soldati americani fanno fuori i suoi rivali politici e fanno la guardia all’ambasciata. Sono fattorini e assassini part-time. El Jefe ama il caporale semplice Elmer V. Jackson, e quindi gli fa assegnare un lavoro comodo: gestire il suo bordello preferito.

   Elmer ha imparato il mestiere così. Da lì gli è venuta l’idea di un servizio di ragazze a domi cilio. Poi El Jefe gli ha assegnato il lavoro comodo n. 2: cane da guardia del capo della polizia di Los Angeles.

   James Davis, detto «Due Pistole». Pazzo da legare. Davis e il Jefe erano sordide anime gemelle: si ubriacavano e andavano a donne insieme. Anche Davis amava il caporale semplice Elmer V. Jackson. Ecco perché:

   Un fanatico di sinistra aveva aggredito Davis con un machete. Il caporale semplice Jackson gli aveva sparato, uccidendolo. Davis gli aveva dato subito un lavoro nella polizia.

   Addio, corpo dei marine; buongiorno, Los Angeles.

   A Elmer piaceva fare il poliziotto. Davis gli aveva presentato una spacciatrice di fica di nome Brenda Allen. Elmer e Brenda si erano piaciuti subito. Avevano ideato il loro giro di ragazze squillo e l’avevano visto fiorire. Intanto il gran giurì di Los Angeles aveva licenziato Due Pistole Davis, il quale si era scopato una minorenne di troppo e l’aveva preso nel culo.

   Adesso è il turno di Chiamami Jack, il quale prende il sette per cento del giro di squillo. Il sergente E. V. Jackson ha ventinove anni ed è un bianco fortunato.

   Cliffie Stone continuava con le ballate campagnole. Quello era il gusto sdolcinato di Wayne Frank, che era un cane arrabbiato e un nababbo nativista. Il fratello minore Elmer conquistava opportunità. Wayne Frank raccoglieva merda.

   Wayne Frank entra nel Klan, diventa un ubriacone e un vagabondo. Gira lungo la costa Ovest e incontra una fine prematura.

   Elmer bevve un altro lungo sorso di Old Crow. Era mezzo ubriaco. Erano le 22.18. Tommy G. colpiva sempre tra le dieci e mezzanotte.

   La musica strappalacrime lo irritava. Abbassò il volume al minimo e guardò la pioggia. La sua auto di pattuglia era immersa fino al paraurti.

   Controllò la casa. Le finestre socchiuse gli permettevano una buona vista. Ellen era di sopra, camminava su e giù e fumava. Lo spettacolo di gambe era di lusso. Nuvolette di fumo uscivano dalla fessura.

   Elmer si sintonizzò di nuovo sulla banda 3. Mike B. blaterava con Dick C. Dudster qua, Dudster là. Poi un’altra tirata sui figli turbolenti.

   Altro sfrigolio di statica. Elmer fini la bottiglia e la gettò dal finestrino. A un tratto udì: – Ehi, Junior.

   Prese il ricevitore e girò l’interruttore per rispondere. Lo sfrigolio finì. – Sì, Mike?

   – Il nostro uomo arriva da sud. Ha già scavalcato il recinto della casa accanto. Tu resta davanti. Aspetta che senta l’odore di Ellen, poi corri di sopra prima che…

   Elmer saltò sul sedile.

   Aprì la portiera e corse fuori. Saltò le pozzanghere in direzione del marciapiede. Le scarpe facevano ciaf ciaf. Estrasse la pistola e inserì il colpo in canna.

   Gli volò via il cappello. La pioggia pungeva gli occhi e annebbiava la vista. Si trovò davanti prato / portico / porta d’ingresso.

   Non è chiusa a chiave. Fa’ piano. Hai oliato i cardini, Tommy non sentirà un cazzo.

   Entrò. Sentì l’aroma del profumo e delle sigarette di Ellen. Andò verso le scale, bagnando tutto il tappeto del soggiorno. Udì il ciaf ciaf delle scarpe di Mike e Dick alle sue spalle.

   Mike e Dick lo raggiunsero e arrivarono insieme alle scale. Tutti shhhh.

   Videro le impronte infangate di Tommy. Al piano di sopra, cigolare di assi, rumore di piedi.

   Mike fece l’occhiolino. Dick fece il gesto di tagliarsi la gola. Elmer deglutì. Merda secca…

   Ellen gridò.

   Mike lanciò un urlo. Dick gli fece eco. Corsero di sopra facendo un casino del diavolo.

   Spingendosi l’un l’altro arrivarono al pianerottolo. Rumore di una finestra rotta. Tommy stava facendo la mosca umana.

   Elmer tornò indietro e uscì all’esterno. Cielo nero e secchiate di pioggia, non si vede un cazzo. Ecco la mosca umana Tommy che corre verso nord, a due cortili di distanza. Taglia verso il marciapiede, dove non c’è erba bagnata e può correre piú veloce.

   Elmer scelse l’asfalto. L’impermeabile che gli sventolava intorno lo rallentava. Guadagnò terreno, lo perse, lo riguadagnò. Mirò alla schiena di Tommy e fece partire tre colpi. Con i lampi degli spari la pioggia divenne rossa.

   Tommy guadagnò terreno. Mike e Dick spararono da lontano. I proiettili rimbalzarono tra i portici delle case.

   Tommy voltò a est sulla Ventiseiesima. Elmer lo vide di sguincio e vuotò il caricatore. I lampi formarono piccoli aloni e gli davano fastidio agli occhi.

   Corse verso est. Ricaricò e accelerò. L’impermeabile scivolò a terra. Salirono delle tapparelle e la luce nella strada aumentò un po’.

   Guadagnò terreno. Era quasi senza fiato. Da una tasca dei pantaloni di Tommy cadde qualcosa. Elmer si fermò e prese la mira. Ce l’aveva, ce l’aveva, ma qualcosa disse NO. Sparò tre colpi, mancandolo di proposito.

   Tommy tagliò a nord. È una mosca umana, è un violentatore piè veloce. Guardalo filare via.

   Mike e Dick, da molto indietro, spararono ancora. Altri proiettili rimbalzarono qua e là. Quei coglioni sparavano a caso.

   Elmer si fermò a riprendere fiato. Camminò verso est guardando a terra sul marciapiede.

   Tommy aveva perso qualcosa. Elmer la vide e la raccolse. Oh, bene. Una rubrica indirizzi rilegata in pelle rossa.

   Ellen disse: – Che bel capodanno.

   Elmer disse: – Ho pensato la stessa cosa

   .– Mi sa che non sei un gran tiratore.

   – Scherzi? Di notte, sotto la pioggia?

   Stavano attraversando Hollywood in macchina. Ellen abitava ai Green Gables Apartments, un complesso adiacente alla Paramount che le permetteva di arrivare prima alle chiamate per un casting. Ellen ci stava provando con un secondo matrimonio. Due mariti e un figlio a ventisette anni. Il marito era via con l’Aeronautica e lei andava a letto con i clienti di Elmer, e anche con Elmer, per noia.

   Elmer svoltò su Melrose in direzione ovest. Sembrava il parco acquatico Aquacade by night. Lampioni dalle luci smorzate per l’oscuramento. Un fiume d’acqua alto fino al marciapiede.

   Ellen si accese una sigaretta. – Se l’è tirato fuori e me l’ha agitato davanti. È stato allora che ho urlato.

   Elmer rise. Ellen alzò un mignolo. Tommy Glennon ce l’aveva come una nocciolina.

   Elmer rise ancora. Ellen gli tastò le tasche dei pantaloni e tirò fuori il suo rotolo di contanti. Prese una banconota da cinquanta e rimise a posto il resto.

   – È stato piacevole sentire il tuo tocco.

   – Stasera no. Nel weekend, magari.

   – Lavoro fino a tardi: guardia del corpo di Hideo Ashida.

   – È carino, per essere un giapponese, – osservò Ellen. – Secondo te è frocio?

   – Ti prego. È il miglior chimico forense in questo dipartimento di polizia bianco.

   Ellen gettò via la sigaretta. – Ringrazia Jack Horrall da parte mia per i cinquanta dollari, e digli che questa piccola pecora nera non farà piú da esca.

   – Nient’altro?

   – Digli anche che dovrebbe rimandarti nei marine. C’è una guerra, dovresti essere a combattere, come mio marito.

   – Mi ami? – chiese Elmer.

   – No, sei solo un passatempo finché dura la guerra.

   Ellen scese ai Gables. Elmer fece inversione a U e andò a est. Un’idea un po’ assurda percolò nel cervello, con un formicolio tra i capelli corti.

   Tommy G. viveva al Gordon Hotel. Breuning e Carlisle erano troppo pigri per andare a fare una perquisizione. Il Gordon era proprio su Melrose.

   Controlliamo la stanza di Tommy. Cerchiamo una pista. Troviamo un modo di rimediare al casino. Facciamo incazzare Dudley Smith.

   Il Dudster gli faceva girare i coglioni. Ehi, Elmer, fallo fuori, quello stronzo. Non gli andava giù. Elmer non era un killer dal mantello nero.

   Quella fottuta pioggia. Fogne intasate. Frane di fango. Niente grog caldo, niente belle donne.

   Parcheggiò un po’ oltre il Gordon ed entrò saltando pozzanghere. L’atrio era logoro. Un impiegato sonnecchiava al centralino, con in testa un cappello da folletto di feltro verde.

   Tommy stava alla 216. Elmer salì le scale e si fermò davanti alla porta. Zero voci, niente radio. Estrasse la pistola ed entrò con una spallata.

   Niente Tommy, né nessun altro. Solo la stanza. Una tana di disperazione di quattro metri per quattro. Scarsi.

   Niente bagno. Un armadio. Una bottiglia di latte vuota usata come orinale ai piedi del letto. Niente sedie. Un armadio a muro e un cassettone.

   Elmer si chiuse dentro. Un tuono scosse tutto il palazzo. Fuori, su Melrose, gli sfigati strillavano «Buon anno!»

   Controllò l’armadio. Nada. Significava che Tommy aveva tagliato la corda. Aveva la macchina o ne aveva rubata una. Tre poliziotti gli avevano sparato addosso, e lui: ¡Vamonos! Addio, succhiacazzi di un violentatore.

   Elmer frugò nei cassetti. Trovò roba interessante.

   Un manuale per imparare lo spagnolo. Un album di foto porno, una storia con un asino, à la Tijuana. Notare il cappello pork pie sulla testa del burro.

   Fasce da braccio naziste. Bandiere giapponesi. Stampini per tatuaggi. Notare le parti vuote: formano svastiche e le lettere SQ contornate da serpenti arrotolati.

   Elmer sfogliò la rubrica indirizzi di Tommy, notando altre stranezze. Guarda qua: niente indirizzi, niente nomi completi.

   Guarda: «J. S.» e un numero di Hollywood. «St Vib’s» e un numero del centro. Probabilmente si tratta della chiesa cattolica di Santa Vibiana.

   Guarda: RE-8761. Niente nomi o iniziali. Il Republic è un posto di telefoni pubblici a sud del centro.

   Guarda: MA-4993. Quel numero è familiare. Elmer ci pensò su e ci arrivò.

   Il Kowloon di Eddie Leng. Un cesso di locale a Chinatown, aperto tutta la notte. Fanno una buona zuppa di pinna di pescecane.

   Eddie Leng apparteneva al tong delle Quattro Famiglie. Tommy G. era un noto collaboratore dei tong.

   Inoltre: altri tre numeri senza nomi o iniziali.

   Elmer alzò il telefono a muro e svegliò lo sfigato al centralino della polizia. Chiama l’MA-6884. Subito.

   Il Detective Bureau. La linea notturna della Buoncostume. C’era sempre qualcuno.

   Dopo quattro squilli gli rispose una voce ubriaca, con suoni di trombette festive in sottofondo.

   – Ah, pronto?

   – Sveglia, coglione. Hai dei numeri da controllare.

   – Sei tu, Elmer?

   – Sono io. Prendi la matita.

   – Ce l’ho qui da qualche parte.

   – HO-4612, – disse Elmer. – L’abbonato ha le iniziali J. S.

   – Bene, ho…

   – Il numero della chiesa di Santa Vibiana e il nome dell’abbonato che corrisponde al numero RE-8761.

   L’impiegato sembrò svegliarsi.

   – Ehi, questo lo conosco. È una cabina telefonica e quei farkakte dei federali la controllano perché diversi sospettati del municipio fanno da lí le loro chiamate losche.

   – Non fermarti adesso, – disse Elmer.

   – Non mi sono fermato, stavo solo prendendo fiato.

   – Dài, forza. Non…

   – Prima quel telefono era usato dagli allibratori, e sembra che lo sia ancora. Si trova tra l’Undicesima e Broadway, vicino all’«Herald». Quel giornalista farkakte, Sid Hudgens, lo usa ancora per le sue chiamate non kosher.

   Sid l’ebreo. Scribacchino scandalistico, minchione provocatore. Santa Vibiana, centro di ritrovo dei papisti. Il ristorante di Eddie Leng.

   Tommy, che cazzo significa tutto questo?

 

 2.

Dudley Smith

Los Angeles, 31 dicembre 1941, ore 23.30.

      Ottoni e strumenti a fiato vari. Pioggia battente a ritmo sincopato.

   La sala riunioni sussultava. Il Conte e i suoi ragazzi attaccarono Annie Laurie. Ritmo veloce e grandiosamente gaelico.

   Lì dentro si cuoceva. Il calore dei corpi contro l’inverno di Los Angeles. Poliziotti che ballavano una volta all’anno quella notte erano scatenati. Ingollavano alcol e manovravano in modo caotico le loro ragazze. Il Conte osservava. I bianchi erano pagliacci da circo, e quello spettacolo ne era la conferma.

   Dudley assisteva. Aveva un tavolo appartato vicino a una finestra socchiusa per far entrare un po’ d’aria. Indossava la divisa di gala dell’esercito. Claire era in abito da sera verde brillante.

   L’arcivescovo scherzava con lei. A J. J. Cantwell piacevano le donne. Ma rispettava i voti e si asteneva. Monsignor Joe Hayes ignorava Claire. Era una convertita, quindi una cattolica fasulla. Solo con riluttanza si prestava a farle da confessore.

   Monsignor Joe trovava repellenti le donne. Gli piacevano i ragazzi. Contravveniva ai voti e indulgeva ai propri gusti.

   A padre Coughlin piacevano i discorsi crudi. La sua trinità erano alcol, calunnia e istigazione. Odiava i rossi e i giudei. Faceva il piacione con le suore di Santa Vibiana e seminava l’odio tra loro. Viveva per turbare le anime e fomentare lo scontento.

   Arrivò un cameriere con i rifornimenti. Fece un inchino e posò sul tavolo whisky, gin e ghiaccio. I camerieri erano detenuti modello del carcere della contea. Quello in particolare era un esibizionista, andava a sventolare il würstel davanti alle scuole.

   Claire preparò nuovi drink. Gli ecclesiastici accesero sigarette e bevvero. L’arcivescovo la guardava con desiderio. Monsignor Joe occhieggiava il cameriere. Padre Charles disegnava su un tovagliolo: svastiche gocciolanti di sangue.

   Dudley si aggiustò la fascia al collo. Il braccio sinistro aveva riportato ferite multiple da taglio. Un cinese del cazzo, di sicuro. Un intrigo dei tong, piú che probabile. Dudley era alleato di Zio Ace Kwan e dell’Hop Sing. La suddetta alleanza poteva aver creato inimicizie interne tra tong. E il suddetto accoltellatore sarebbe stato presto severamente redarguito.

   Claire condivideva con lui la sua morfina, il che facilitava una pronta guarigione. L’amore che provava per lui era piú forte della sua abitudine. La droga leniva il dolore e rendeva il mondo un luogo elegiaco. Concedeva il noblesse oblige.

   La morfina ammorbidiva i suoi fallimenti recenti. Pearl Harbor e i rastrellamenti di giapponesi si confondevano in un unico grosso affare andato male.

   Dudley aveva fatto dei piani per trarre profitto dalla guerra. Con l’assistenza di Ace Kwan. I piani erano andati a puttane. L’inseguimento di un carico di eroina in Baja, con l’assistenza di Mike Breuning, Dick Carlisle e Hideo Ashida, era andato a puttane. Si trattava di roba del capitano Carlos Madrano il quale, con l’aiuto della polizia di Stato del Messico, aveva interdetto il cartello Smith. Il tutto a contorno di un disastro che implicava un sommergibile giapponese. Dudley poi aveva messo della nitroglicerina nell’auto di Madrano, ed El Capitán era saltato in aria. Una piccola compensazione.

   Padre Coughlin sapeva che il sostituto di Madrano, José Vásquez Cruz, detestava i comunisti e gli ebrei, ma non era apertamente fascista. Si annuncia un ritorno in Baja. Il sergente di polizia Smith, come capitano dell’esercito Smith, incontrerà Vásquez Cruz e forse proverà a corromperlo. La Baja si annuncia come la rinascita di un’opportunità.

   Count Basie attaccò una ballata dai toni latini. Claire prese il braccio buono di Dudley. Balliamo, mi corazón.

   Il braccio al collo non favoriva movimenti fluidi. Si lasciò guidare da Claire. Lei gli proteggeva il braccio ferito. Danzavano molto vicini. Claire gli posò la testa sul petto.

   – Saremo lí tra due settimane, – disse.  – Avremo tempo di stufarci di questa musica.

   – Il maggiore Melnick ci ha riservato una suite in un grand hotel. Avremo una terrazza privata, con vista sull’oceano.

   Claire gli si strinse contro. – Andremo a messa e osserveremo le festività. Saremo piú alti e meglio vestiti di tutti, e li sorprenderemo con la nostra padronanza dello spagnolo.

   Dudley rise. – Gli hoi polloi ti adoreranno. Ti chiameranno la gringa, senza dirtelo in faccia, e si chiederanno come questo cafone irlandese abbia potuto avere tanta fortuna.

   – Non sottovalutarti, e non dimenticare che io ti ho civilizzato piú di quanto tu abbia corrotto me.

   – È un testa o croce, eh? Il tempo e il fato riveleranno il risultato.

   – Sí, caro, è tutto questo, – disse Claire.

   La pista da ballo era affollata e i ballerini si urtavano e si pestavano i piedi. Dudley scambiava sorrisi con gli altri poliziotti.

   Ecco il tenente Thad Brown, guancia a guancia con una cantante mulatta di pelle chiara. Ecco l’ex capo Davis, che aggiunge alcol nella ciotola del punch. Ecco il capitano Bill Parker e Kay Lake, belli e dannati. Tra loro c’è una sala piena, ma brillano ugualmente. Parker è fastidioso come un riccio attaccato al culo, Kay Lake è attraente, anche se fatua.

   Parker è in divisa blu, bagnata e con il cinturone cascante. È arrivato dal luogo di qualche incidente stradale. Si nasconde dalla moglie, ed è lí per fare il cascamorto con la bella Kay.

   Molti uomini la trovano brillante e sensuale. Parker di sicuro. Dudley no. Kay Lake è una dilettante promiscua che subisce il fascino della divisa. Vive in forma non coniugale con il cupo agente Lee Blanchard. Parker è pio e pericoloso. Un giorno potrebbe diventare capo della polizia.

   Bill Parker. Il caso Watanabe. Ostacoli alla sua corsa post Pearl Harbor.

   Fujio Shudo. Lupo Mannaro psicopatico. Bill Parker voleva chiudere il caso e aveva fallito. Hideo Ashida aveva aiutato il sergente Smith e la questione si era risolta.

   Claire gli si fece piú vicina. Dudley avvertí i suoi tremori. Presto si sarebbe allontanata con una scusa, per andare a prendere la siringa ipodermica.

   Si davano stabilità a vicenda. Era una storia d’amore recente e un patto tenero.

   Gli doleva il braccio. Aveva perso peso. L’aggressione era stata il clou della sua corsa post Pearl Harbor.

   Aveva giurato vendetta, e piú tardi si sarebbe incontrato con Mike e Dick, i quali avevano reclutato dei tipi duri della squadra Stranieri. Incombeva una grande retata tra i tong.

   Il Conte attaccò Adiós. Clarinetti morbidi con contrappunto di ottoni bassi. Un motivo messicano.

   Claire disse: – Gli addii non sono mai cosí belli.

   Dudley le baciò il collo umido. Ormai conosceva il suo corpo e la sua dipendenza.

   – È la nostra canzone, finché dura la guerra. Proibisce gli addii.

   Claire rabbrividí. Lui la guidò di nuovo al tavolo. Padre Charles si preparava a raccontare una barzelletta spinta. – La conosce, eminenza? È una storia di Yosukio Tugody, la bocchinara giapponese.

  1. J. Cantwell rise forte, Joe Hayes lanciò un’occhiataccia. Claire prese la borsetta e andò verso il bagno.

   La folla si apre al suo passaggio, i poliziotti ubriachi si fanno da parte. Lei non tradisce la fretta e sorride a ciascuno di loro.

   Dudley guardò l’orologio. Le 23.51. Dove sono Mike e Dick? Dov’è quella lampadina mezza fulminata di Elmer Jackson?

   Quo vadis, Tommy Glennon?

   Tommy aveva decretato la propria estinzione. Tre le accuse a suo carico. Numero uno: Tommy violentava le donne e cosí ave aveva annullato il contratto sociale. Numero due: era l’ex informatore del sergente D. L. Smith e amico dell’informatore attuale Huey Cressmeyer. Numero tre: gestiva un traffico di immigrati clandestini per l’ex boss della Baja Carlos Madrano.

   Numero tre, clausola subordinata: Dudley era andato a trovare Tommy a San Quentin, a metà novembre. Tommy conosceva i piani suoi e di Madrano. Dudley ha grossi piani per il Messico, e per metterli in atto intende sfruttare il suo status di membro dei servizi segreti dell’esercito. Venderà eroina e importerà clandestini negli Stati Uniti. Venderà come schiavi i prigionieri giapponesi. Tommy potrebbe mandare tutto in malora. Quindi deve morire.

   Dudley ingollò una manciata di pillole con acqua di seltz. Due analgesici per le fitte di dolore, tre benzedrine per l’azione di fine nottata.

   Cantwell, Hayes e Coughlin erano sbronzi marci. Insultavano i negri e la piaga rossa Joe Stalin. I protestanti inglesi avevano voluto quella guerra, in accordo con i banchieri ebrei. Avevano manipolato le Olimpiadi del ’36. Hai presente quel negro, Jesse Owens? Corre piú lento della mia vecchia nonna irlandese.

   Dieci secondi a mezzanotte. Count Basie marcava il tempo con le trombe: nove, otto, sette, sei…

   Dudley si alzò in piedi. I poliziotti agitavano bandierine da tavolo. Dudley sventolava quella a stelle e strisce e quella verde della repubblica irlandese.

   Cinque, quattro, tre, due…

   Entrarono Mike e Dick. Dudley li vide, due perfetti gorilla. Loro lo videro e si fecero piú piccoli.

   Dudley agitò un braccio, mimando la domanda: Tommy? Mike e Dick scossero la testa: No.

   Uno, zero! BUON ANNO…

   Grida, pacche sulla schiena, tappi che saltavano a tutto spiano. Trombette di plastica e bandierine…

   Il Conte attaccò di nuovo Auld Lang Syne. Dudley barcollò. La sala da ballo improvvisata gli girò intorno.

   Gli pulsava il braccio e si sentí svenire. Claire gli corse incontro, lo rimise in equilibrio e lo baciò.

   – È il nostro momento, amore, – disse.

 

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L’autore

James Ellroy è nato a Los Angeles il 4 marzo 1948.

Da I miei luoghi oscuri, sua autobiografia, sappiamo che la madre è stata assassinata nel 1958 a El Monte, dove si erano trasferiti all’indomani del divorzio dei genitori.

Il delitto rimase irrisolto. Dopo alcuni anni di convivenza con il padre, rimase orfano anche del padre a 17 anni e iniziò per lui un travagliato periodo dominato dalla droga, che ne minò anche le condizioni fisiche, e da piccoli furti. Venne arrestato e passò dei periodi nella prigione della contea. Iniziò poi la sua attività di scrittore e i suoi libri divennero molto rapidamente dei best-seller internazionali.

Oggi è universalmente considerato uno dei più grandi autori di crime degli ultimi trent’anni, e una delle voci più originali e potenti della letteratura americana contemporanea. Tra le sue opere maggiori, la quadrilogia di Los Angeles Dalia nera, Il grande nulla, L.A. Confidential e White Jazz;  la trilogia “Underworld Usa” (American Tabloid, Sei pezzi da mille, Il sangue è randagio), il già citato memoir I miei luoghi oscuri; Ricatto, Caccia alle donne, La strada dell’innocenza, Perché la notte, Tijuana, mon amour, L’angelo del silenzio, Corpi da reato, Praga detective, Clandestino, Il dubbio letale, Jungletown Jihad, Scasso con stupro, Notturni hollywoodiani, Destination: Morgue e Perfidia.

Gli editori di riferimento di James Ellroy in Italia sono Mondadori, Bompiani ed Einaudi.

 

  • Questa tempesta
  • James Ellroy
  • Traduttore: Alfredo Colitto
  • Editore: Einaudi
  • Collana: Einaudi. Stile libero big
  • Anno edizione: 2020
  • In commercio dal: 16 giugno 2020
  • Pagine: 864 p., Brossura
  • EAN: 9788806212902    [btn btnlink=”https://www.ibs.it/questa-tempesta-libro-james-ellroy/e/9788806212902?inventoryId=179294034″ btnsize=”small” bgcolor=”#eded00″ txtcolor=”#000000″ btnnewt=”1″ nofollow=”1″]Acquista. € 22,80[/btn]

Un commento

  1. mauro

    3 Maggio 2021 a 3:13

    Il romanzo è strettamente collegato a Perfedia ma allo stesso modo vede muoversi personaggi già conosciuti nella tetralogia di L.A ,è piacevolmente coinvolgente solo se la si conosce altrimenti il lettore si trova si catapultato nel caos ma deve sentirsi stimolato a colmare le lacune,recuperando la lettura degli altri romanzi,consigliatissimo per comprendere il grande disegno Ellroyano 😉

    rispondere

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