Quello dove si era risvegliato Peter Faversham doveva essere stato un tempio o un palazzo regale, data la posizione elevata. Mura, edifici, strade tutte quelle rovine erano state fagocitate dal deserto, dava come l’impressione che volesse occultarle, quasi custodissero un tremendo segreto. Kalash era una delle tante storie che da anni, forse secoli, popolavano i racconti dei popoli del deserto. Realtà o leggenda? Quale era l’oscuro mistero che quelle mura custodivano. Peter Faversham voleva scoprirlo a discapito di qualsiasi ostacolo.

21 Luglio 1798 zona sconosciuta all’interno dell’Africa.

Tutto mi sarei aspettato tranne che questa spedizione scientifica terminasse qui in questa regione dimenticata da Dio. 

Si… ormai ho la certezza che ne io, Tenente Harry Letellier  dell’Armata Imperiale Francese, ne gli altri disgraziati rimasti vivi, vedremo il sole domani. Ecco… li vedo, noi tutti li vediamo con la luna piena che c’è… forse avrebbe fatto meglio a non esserci, almeno ci avrebbe risparmiato la vista di tutto l’orrore che sta per scatenarcisi addosso. Sono tanti, indossano varie uniformi lacere ed antiche corazze… si muovono in silenzio, ritmicamente e si avvicinano sempre più. Noi stiamo aspettando… nessuno tra soldati e scienziati ha il coraggio di parlare. Molti pregano tenendo la testa tra le mani, ed altri si preparano allo scontro sperando in una morte rapida conservando però una pallottola per se stessi, come del resto farò anch’io. Nonostante la paura che mi attanaglia, riconosco che tutto ciò è uno spettacolo veramente affascinante al quale non crederebbe nessuno sano di mente. No… c’è la luna! Lei sa, essendo l’unica testimone silente di tutto questo; però… chi interrogherebbe la luna? Per questo traccio qui le coordinate della nostra posizione, forse un giorno… 

   «Ecco signori, il diario s’interrompe in questo punto», disse Peter Faversham chiudendo il volumetto dalla copertina vissuta che aveva appena ritrovato nel fondo di un baule. 

   «Certo! È alquanto bizzarro, anche se non nascondo che mi sarebbe piaciuto conoscerne la fine», disse il Dott. Wilson da dietro una nuvola di fumo sprigionatasi dalla sua pipa. 

   «Signori, non crederete mica ai vaneggiamenti di un francese vissuto cento anni fa? Magari era pure ubriaco o malato! Andiamo… e da chi sarebbero stati attaccati? Da un esercito silenzioso che indossava vecchie uniformi logore? Ve lo dico io come è andata. I francesi erano ubriachi e dei predoni con vecchie divise prese chissà dove li hanno attaccati», disse Mr. Talley.  

Faversham non era convinto, o forse preferiva credere che il diario del soldato francese avesse un fondo di verità, anche perché aveva già sentito parlare della perduta città di Kalash della quale nessuno aveva mai trovato l’ubicazione e chissà come mai, sin dalle prime parole di quel diario, il nome di quella città si era insinuato nella mente di Faversham, e non voleva uscirne! Kalash era una delle tante storie che popolavano i racconti dei popoli del deserto da anni, forse secoli. Realtà o leggenda? Una cosa era sicura: scoprirla avrebbe coronato la vita di qualsiasi archeologo. Questo pensiero si installò nella mente di Faversham, e ora lui partiva in vantaggio su chi l’aveva preceduto nella ricerca; lui aveva le coordinate scritte sul diario del francese. Già… Peter sentì che questa volta il destino gli offriva l’occasione di essere protagonista e di riscattare la reputazione di archeologo sognatore datagli dai soci del suo club.

    «Signori dite ciò che volete ma io sono deciso a rintracciare quella città, infatti organizzerò una spedizione! Chi vuol venire con me?» disse Faversham. 

    «Eh?! Andare in Africa? Scherzate o cosa?» disse stizzito il Dott. Wilson. 

    «Sono serissimo!» ribatté Faversham. 

    «Andiamo Peter, non vi rendete conto di inseguire una chimera? E da dove inizierete le ricerche una volta giunto in Egitto?» chiese ironico Mr. Talley 

   «Ci sono le coordinate tracciate dal soldato francese. Saranno più che sufficienti, e poi… non credevo che lo spirito d’avventura britannico fosse morto in voi!» rispose Peter con aria provocatoria. 

    «Ora state esagerando!» esclamò il Dott. Wilson. 

    «Spirito d’avventura non significa dover correr dietro alle farneticazioni di un pazzo francese!» ribatté Mr. Talley. 

   «Questo è troppo! Per voi non sono altro che l’archeologo sognatore! D’altronde  siete stati sempre facili nel dar giudizi affrettati, soprattutto su ciò che sfugge alla vostra razionalità.  Altro che associazione di distinti accademici… qui l’ignoranza regna sovrana!» affermò Peter con aria di sfida.   

La discussione stava prendendo dei toni troppo accesi da entrambe le parti, quando Mr. Harris, uno dei soci più “stimati” del club,  un pò per scherno e un pò per calmare gli animi disse: 

   «Su via signori, calma! Faversham non ha torto, bisogna dargli una possibilità.» Al sentir queste parole tutti i presenti si guardarono increduli e un vociare misto a disappunto e meraviglia, riempì la stanza. 

   «Ma cosa dite Harris?!» chiese il Dott. Wilson seguito in coro da molti altri. 

   «Semplicemente fare una… scommessa che a parer mio può essere molto divertente e interessante», rispose Mr. Harris guardando con aria d’intesa il Dott. Wilson e tutti gli altri.    

   «Faversham che ne dite? Accettereste questa sfida? Se voi ci porterete la prova che questa perduta città esiste, noi non vi daremo più del sognatore e verrete nominato responsabile del reparto egizio del British Museum, ma in caso contrario sarete voi a pagare», disse Mr. Harris sogghignando. 

   «Accetto! Potrei sapere quanto dovrei versare nel caso perdessi?» chiese Peter 

   «No… niente soldi siamo tra amici. Se tornerete sconfitto dovrete fare la strada da casa vostra sino a qui in… uniforme Napoleonica per una settimana!» disse Mr. Harris seguito da un coro di risate. Peter non rispondeva, si limitava solo a guardare seriamente Mr. Harris e tutta quella gente che lo stava deridendo senza alcun diritto.

   «Un momento! Nel caso avesse ragione Faversham non possiamo credergli sulla parola, ci deve portare delle prove», disse Mr. Talley. 

   «Già, è vero! Perché non ci riportate qualche “reperto” di quel silenzioso esercito, magari anche qualcosa appartenuta al francese, e se fosse ancora da quelle parti salutatecelo!» disse Mr. Harris con aria di scherno. 

Peter annuì sorridendo furbescamente, salutò tutti e guardando Mr. Harris e disse: 

   «Io vi porterò quella prova!»

Una volta a casa, Peter sprofondò nella poltrona davanti al camino e mentre fissava il fuoco, una moltitudine di pensieri gli attraversò la mente. Non riusciva a togliersi dalla testa le parole del soldato francese: “Sono tanti, indossano uniformi lacere e vecchie corazze, si muovono in silenzio… aiuto Dio mio!” Suggestionato da ciò che aveva letto, Peter vide le fiamme del focolare come danzare e trasformarsi in un esercito composto da soldati di svariate epoche. Gli sembrava d’esser finito tra di loro e marciare con essi attraverso un deserto spettrale popolato di resti umani affioranti, dove un pallido sole illuminava timidamente quella scena da incubo mentre un rumoroso vortice d’aria sollevava un muro di sabbia il quale avvolgeva tutto quel macabro palcoscenico. Deciso a saper dove fosse finito, Peter batté la mano sulla spalla del soldato accanto a lui, ma quando questi si voltò lo fece restare paralizzato dalla paura. Quell’essere aveva un volto scarnificato, quasi un teschio, fissò Peter per qualche secondo mentre quest’ultimo aveva il cuore in gola, con due occhi rossi come braci ardenti e… all’improvviso si avventò su di lui  rivelando un paio di mostruosi canini affilati. Peter urlò dal terrore e si ritrovò sulla poltrona davanti al camino, madido di sudore per ciò che aveva… “sognato”. Se lo avessero saputo i soci del suo club avrebbero riso alle sue spalle, solo che per Peter quello non era un semplice sogno ma una traccia da seguire.

Il giorno dopo, era già sul ponte di un vascello che da Dover lo portava a Calais sulla costa francese, da lì avrebbe poi proseguito via terra sino a Marsiglia per imbarcarsi poi alla volta di Alessandria d’Egitto. Successivamente, un fremente Peter Faversham, scalpitava sul ponte della stessa nave mentre quest’ultima si accingeva ad accostare al molo per poter completare la manovra d’attracco e appena i passeggeri iniziarono a scendere, Peter si unì a loro in gran fretta. Era giunto ad Alessandria finalmente! Peter trovò un alloggio, e senza neanche disfare i bagagli, iniziò a cercare di procurarsi il materiale necessario per la sua spedizione e una guida ma, appena faceva il nome della città di Kalash, si creava inspiegabilmente il vuoto intorno a lui nonostante le cospicue offerte in denaro.

   «Non troverete nessuno disposto a portarvi in quel luogo», disse un uomo alto sui cinquant’anni, con dei baffi grigi che gli conferivano un aria autorevole e distinta. Indossava un completo bianco di taglio europeo, mentre un fez rosso portato elegantemente, spiccava sul tutto. 

    «Posso sapere con chi ho l’onore di parlare?» chiese Peter incuriosito. 

   «Mi chiamo Rashid ma questo non ha importanza, sappiate solo che non siete stato l’unico a cercare quel luogo in passato», disse l’uomo 

   «E… qualcuno l’ha trovato?» chiese Peter. 

   «Sono partiti in tanti ma nessuno è più tornato indietro a fornire testimonianza», rispose Rashid. Peter allora mostrò il diario del soldato francese e spiegò le ragioni del suo viaggio; parlò a Rashid della scommessa e che lui “doveva” vincerla ad ogni costo .

    «Capite? C’è la  mia reputazione in gioco!» disse Peter. 

   «Allora andate ma… siete sicuro che sia solo per questo?» chiese Rashid. Peter rimase interdetto da quelle parole, e mentre si girava per rispondere vide che il suo misterioso interlocutore era come svanito nel nulla. Peter aspettò la notte per non dover affrontare il caldo, poi si mise in viaggio attraverso il deserto. Era stupendo: egli si trovava in un mare di sabbia completamente solo, orientandosi con il diario e la “stella del deserto” posta davanti alla sella del cammello. Molti pensieri gli attraversavano la mente, e una luna che sembrava più grande del solito lo salutava illuminandogli la strada. Anche quella notte c’era la luna a tener compagnia ai francesi, forse mi guiderà laggiù, pensò Peter, ma la stanchezza lo costrinse ad accamparsi presso una grotta naturale, con il proposito di riprendere il viaggio l’indomani all’alba. Infatti, il giorno dopo egli era già pronto per riprendere la marcia ma una tempesta di sabbia sorta come per magia, lo colse all’esterno della grotta costringendolo ad una rovinosa caduta dal cammello. Pur restando dolorante a terra, Peter notò qualcosa di familiare in quel turbinio di sabbia che lo stava avvolgendo. Era come il vortice scatenatosi nel suo “sogno”, e fu proprio da quella nube di polvere che comparve d’incanto una moltitudine di soldati dal volto e dalle membra scarnificate ricoperte da ciò che restava delle loro uniformi. Erano tanti e disuguali come gli eserciti e le epoche dalle quali provenivano. Marciavano compatti, in silenzio ed era proprio l’assenza di rumore a far più paura; fu l’ultima cosa che Peter ricordò prima di svenire. Quando riaprì gli occhi, vide delle colonne che si stagliavano verso il cielo poi, una volta in piedi, si rese conto con stupore di trovarsi tra le antiche rovine di una città ormai dimenticata dal tempo e dagli uomini. Quello dove si era risvegliato Peter, doveva essere stato un tempio o un palazzo regale, data la posizione elevata. Mura, edifici, strade… tutto era stato fagocitato dal deserto, il quale sembrava celare quelle rovine quasi custodissero un tremendo segreto. Che posto è? Come ci sono arrivato?, si chiedeva Peter mentre esplorava quel luogo. La tempesta! Si certo, deve essere stata lei a far riaffiorare queste rovine! Peter era sempre più spaesato, e mentre si guardava attorno esplorando ciò che restava di quei ruderi, inciampò in un oggetto che si rivelò essere un cappello a tricorno di foggia militare, con applicata sul lato sinistro una coccarda ormai sbiadita dal sole e dal tempo, la quale però  non lasciava dubbi circa la nazionalità del copricapo. «Ma è francese! Del periodo Napoleonico!» disse a voce alta. «Ma certo, la spedizione scientifica francese! Allora questa deve essere… no anzi, di sicuro è ciò che rimane della perduta città di Kalash, e io l’ho trovata finalmente!» Peter era euforico per la sua scoperta e seguitò a cercare altri indizi; trovò degli effetti personali appartenuti ai soldati e agli scienziati, ma nessuna traccia dei loro resti umani . «E questa? È… una sciabola da ufficiale!» Ma come la impugnò, ogni cosa iniziò a girare e a distorcersi intorno a lui mentre la sua vista si andava sempre più annebbiando. Quando tutto tornò normale, Peter si ritrovò nel medesimo punto, solo che la situazione era completamente cambiata, ora si sentiva assalito da un’ansia sempre più crescente.

Sì! Ero proprio lì; ad aspettare quelle ombre dagli occhi rossi che avanzavano in silenzio e poi… lo scontro con quella specie di demoni! Il crepitio assordante dei fucili che sparavano inutilmente contro un nemico invulnerabile, l’orrore, il panico tra noi militari e quella stramaledetta spedizione scientifica che dovevamo proteggere! Poi il corpo a corpo. I soldati che affondavano ripetutamente le baionette in quegli esseri mostruosi riuscendo così a trattenerli temporaneamente, ma per ognuno di loro che cadeva, altri dieci ne arrivavano. Era come se venissero vomitati dall’inferno! Peter era là in mezzo, quando un soldato francese si rivolse a lui nella sua lingua che egli capì perfettamente dicendo: «Mon Lieutenant que faison nous? Il n’y a pas moyen de sortir!» Eppure quella mischia furibonda non era affatto una situazione sconosciuta per lui. Senza neanche rendersi conto, ordinò ai soldati di formare un quadrato difensivo con gli scienziati all’interno; i militari si compattarono creando un muro di baionette contro il quale l’esercito di mostri lasciò parecchi dei suoi componenti ma, nonostante il valore dei francesi, quell’ultima e disperata difesa avrebbe ceduto lì a poco. Tutto ciò stava avvenendo fuori dal mondo “conosciuto”, in un’altro tempo e un altro luogo e forse proprio ai confini del… nulla, ma ciò non aveva importanza. Appena una parte della fila di soldati venne travolta, un’orda incontenibile di esseri dal volto scarnificato si riversò all’interno del quadrato. Era la fine! Peter istintivamente prese a roteare la sciabola staccando teste e trinciando le braccia degli attaccanti, sino a quando non sentì una fitta allo stomaco e un velo nero scese sui suoi occhi. Adesso… era come smarrito in una tenebra senza fine avvolta da un silenzio di morte, quando una voce sorta dal nulla iniziò a incitarlo e guidarlo: 

   «Peter svegliati dai!» Peter ne seguì il suono come una nave nella tempesta cerca di aggrapparsi alla luce di un faro in lontananza, e quando riaprì gli occhi si ritrovò disteso con la faccia a terra, mentre la sciabola giaceva piantata nella sabbia proprio davanti a lui. «Coraggio Faversham ormai siete tornato… in tutti i sensi!» disse il soccorritore di Peter. 

   «Rashid?! Ma… vi ho lasciato ad Alessandria tre giorni fa! È impossibile che siate qui», disse Peter meravigliato. 

   «Il tempo e lo spazio non hanno importanza per me», rispose l’elegante egiziano. 

   «Che mi è successo? Era tutto così reale!» disse Peter ancora incredulo. 

   «Non l’avete ancora capito? Sei tornato!» disse Rashid sorridendo. 

   «Tornato? ma che dite? Parola mia non capisco nulla di ciò che dite!» rispose Peter stizzito. Ciò che raccontò l’egiziano aveva dell’incredibile, ma più questi parlava, più Peter mostrava interesse e una certa convinzione anche se conservava dei forti dubbi. 

   «Peter ricordi ciò che hai visto?» chiese Rashid con fare insistente.  

   «Ricordo d’essermi trovato in mezzo a un combattimento. Rammento le urla, la paura e quei… mostri!» disse Peter con gli occhi lucidi. 

   «Niente altro?» chiese Rashid. 

   «Sì, un soldato francese si è rivolto a me nella sua lingua chiamandomi signor tenente, e io lo capivo perfettamente! Ricordo anche d’aver combattuto e un gran dolore allo stomaco e poi… più niente», disse Peter. 

   «Ciò che hai visto ha fatto parte della tua vita. Tu sei il tenente Harry Letellier comandante la spedizione archeologica francese, mandato qui nel 1798, e dico sei, perché…tu non moristi quella notte durante l’attacco da parte del mio esercito. Io ti detti una seconda vita, quella del non-morto!» disse Rashid.

I ricordi cominciavano a riaffiorare alla mia mente sempre più chiari e facilmente rammentai tutto, anche d’aver rifiutato la mia condizione di vampiro. Non potevo e non volevo accettarla, così scelsi di andare in una specie di catalessi; sì… un lungo obliò che durò anni. Poi il mio riposo venne interrotto da un’archeologo inglese di nome Peter Faversham! pensò Peter. «Si… ora ricordo tutto: quella notte mi svegliai e lo uccisi per nutrirmi e poi assunsi la sua identità, divenendo il professor Peter Faversham! Fu facile anche perché Faversham non era ancora mai stato a Londra e nessuno lì lo conosceva», disse Harry con soddisfazione. 

   «Man mano che il tempo passava, sentivo che volevi tornare ad essere Harry Letellier, e fu qui che ti spinsi a rileggere il tuo diario facendotelo trovare casualmente prima che ti recassi al tuo club come ogni sera. Allora, come devo chiamarti adesso? Signor professore o… signor Tenente?» disse Rashid sorridendo. 

   «Ho nuovamente la mia uniforme addosso no? Hai dubbi in proposito Maestro Rashid? L’ho indossata per tornare a Londra, devo ancora sbrigare una cosa!» disse Harry mentre gli occhi gli si illuminavano di una luce strana. Rashid non rispose, limitandosi a fare un cenno d’approvazione. 

***

   «Ma quanto ci mette ad arrivare? Non possiamo iniziare la partita se manca il quarto», disse Mr. Harris stando appoggiato al caminetto della grande sala del club. 

   «Magari avrà avuto un paziente da visitare», rispose Mr. Talley con un’aria di sufficienza. 

  «Beh, chiunque sia questo tizio malato, trovo molto scortese da parte sua privarci di un giocatore come il Dott. Wilson proprio stasera!» ribatté Mr. Harris con aria sdegnata. Ma l’attesa sarebbe stata di breve durata, infatti il Dott. Wilson entrò in quell’istante scusandosi per il ritardo. 

   «Ah! Certa gente si ammala sempre nei momenti meno indicati. Lo trovo molto sconveniente da parte loro», disse il Dott.Wilson con aria seccata. 

   «Va bene signori, ora che ci siamo tutti sediamoci e diamo il via alla nostra partita», disse Mr. Harris con soddisfazione. 

Iniziarono a giocare discutendo di vari argomenti più o meno interessanti, quando si udirono dei colpi alla porta. 

   «Ma chi può essere?» disse Mr. Harris. 

   «Forse qualcuno aspetta ospiti?» chiese il Dott. Wilson guardando i suoi amici seduti al tavolo. Nessuno tra i presenti attendeva visite ma intanto i colpi continuavano lenti e inesorabili, tanto da dare l’impressione di rimbombare per tutta la sala. 

   «Voglio proprio vedere chi ha l’ardire di interrompere la nostra partita!» disse Mr. Harris alzandosi di colpo dalla sedia. Aprì la porta di scatto ma vide solo la strada illuminata dalla fioca luce dei lampioni avvolti dalla nebbia. Mr. Harris richiuse la porta e nervosamente tornò dai suoi amici. 

   «Allora chi era?» chiese con curiosità Mr. Talley. 

   «Sicuramente qualcuno in vena di scherzi», rispose nervosamente Mr. Harris. Quasi a far da eco alle parole di quest’ultimo, i colpi risuonarono nuovamente facendo trasalire i quattro amici gelandoli sulle loro sedie. 

   «Adesso basta!» gridò Mr. Harris che scattando dalla sedia, si diresse come una furia verso la porta e spalancandola all’improvviso urlò: «Se non avete il coraggio di mostrarvi smettetela d’importunare dei gentiluomini! Prendetevela con i vostri pari e fateci il piacere d’andare all’inferno!»

   «È proprio da lì che vengo!» rispose una voce alquanto familiare. 

   «Ma chi… è?» chiese Mr. Harris trasalendo.

   «Già mi avete dimenticato? Ma io no di certo!» E sulla porta comparve come d’incanto Peter Faversham suscitando lo stupore generale. Era come se la nebbia lo avesse partorito. 

   «Faversham! Da dove venite? Quando siete arrivato?» chiese Mr. Harris stupefatto mentre Mr. Talley, il Dott. Wilson e il banchiere Grady, si facevano avanti incuriositi.

   «Ma… Dio del cielo Peter cosa indossate?» chiese ridendo Mr. Talley imitato dagli altri presenti. 

   «È un uniforme da ufficiale dell’Esercito Napoleonico», rispose Peter guardando tutti seriamente. 

   «Ah, sì… certo. La nostra scommessa. Scusate Peter ma l’avevo momentaneamente dimenticata! Allora, vi siete reso conto d’aver inseguito un mucchio di sciocchezze, di sogni e che naturalmente avete perso? Ditemi, da quanto indossate quella… quella cosa?» chiese Mr. Harris squadrando Peter da capo a piedi come fosse un povero pazzo. 

   «Da quando l’ho ritrovata in Africa non me la sono mai tolta», rispose Peter mentre i suoi occhi si animavano d’una strana luce. 

   «Santo cielo Faversham! La penitenza non contemplava tutta questa strada. C’è per caso un’altro motivo per cui avete portato addosso quegli stracci?» chiese sorridendo il Dott. Wilson. Peter restò in silenzio per alcuni secondi con gli occhi di tutti i presenti puntati su di lui, sentendosi addosso gli sguardi di scherno. 

   «Allora Peter, non teneteci sulle spine», disse il banchiere Grady con fare canzonatorio. Peter raccontò la sua avventura per filo e per segno, mentre Mr. Harris e compagnia lo seguivano divertiti, restando però quasi ipnotizzati a volte dalle sue parole. 

   «Ecco, questo è tutto», concluse Peter. 

   «Ah! Ma allora è diverso! Sì, certo dopo l’aver appreso con dovizia questa… storia con tutti i particolari pur interessanti, anche se a volte un pò fantasiosi devo riconoscere, che avete vinto la scommessa!» disse Mr. Harris rivolgendosi anche ai presenti, i quali si scambiavano sorrisi e sguardi d’intesa.

     «Ma… un momento Peter. Ci avevate promesso delle prove a sostegno della vostra storia. Ebbene dove sono?» chiese il Dott. Wilson con aria di finta serietà. 

     «Una la porto addosso», rispose Peter con calma. 

   «Sì, ma ammesso che sia la divisa di quel francese, come potete provarlo? E poi, dove sarebbero le prove circa l’esistenza di quel fantomatico esercito che avevamo chiesto di portarci?» ribatté sorridendo Mr. Harris. Per tutta risposta a un cenno di Peter la porta si spalancò e una densa nube di nebbia entrò all’improvviso. 

     «Peter ma come avete fatto? Qui non si vede a un palmo dal naso!» disse Mr. Harris. 

   «Tra poco vedrete e capirete», rispose Peter. La nebbia si diradò, e nella grande sala comparvero degli esseri dai volti scarnificati e dalle braccia scheletriche. Se ne stavano immobili nelle loro uniformi lacere, e corazze arrugginite, come se attendessero un’ordine, mentre tutti i presenti guardavano attoniti e impauriti. Un silenzio surreale era calato di colpo nella sala che sino a pochi attimi prima risuonava di voci allegre, e un forte senso di paura andava sempre più crescendo tra tutti i membri del club. No… Non ridevano più ora! Quel silenzio opprimente era calato sopra di loro come una pietra tombale. 

     «Non mi avevate detto di portarvi delle prove? Eccole! Chi meglio di loro», rispose sorridendo Peter. 

     «Dio ma… sono dei morti! Guardate ci sono anche dei soldati Napoleonici!» urlò Mr. Talley.  

     «Come è possibile? Non può essere!» disse spaventato il banchiere Grady passandosi il fazzoletto sulla fronte. 

     «I morti non vanno in giro indossando vecchie uniformi!» ribatté Mr. Harris. 

   «Avete ragione Amico mio, i morti no… ma i non-morti sì!» disse sorridendo Peter. L’orrore e la paura già si andavano diffondendo per la sala a macchia d’olio cancellando ogni forma di sorriso dai volti dei presenti, facendoli diventare delle vere e proprie maschere grottesche. 

    «È assurdo! È tutto così assurdo! Io non…», disse Mr. Talley con gli occhi spalancati. 

    «Voi cosa? Non ditemi! Avete difficoltà a credere a tutto questo? Poco importa, tanto entrerete a far parte del mio esercito, e poi c’è un’altra cosa: io non sono Peter Faversham! Non lo sono mai stato. Il mio nome è… Harry Letellier. Sì, signori miei, proprio quell’Harry Letellier tenente dell’Esercito Napoleonico, comandante la spedizione archeologica francese e autore di quel diario che voi avete tanto dissacrato con il vostro humor britannico! E ora che ci siamo presentati scriviamo la parola fine a tutta questa storia. Allora Inglesi, è ancora tutto così assurdo?» chiese Letellier guardando con aria vendicativa Mr.  Harris e soci.

    «Ora basta Peter! Lo scherzo è durato anche troppo!» urlò Mr. Harris cercando di mascherare la sua paura. 

    «Ancora insistete con la vostra spavalderia? Bene! Chissà che soldati perfetti sarete per me», affermò Letellier con soddisfazione. A un cenno di Letellier un gruppo di ciò che un tempo erano stati dei militari Francesi, iniziò ad avanzare lentamente verso Mr. Harris e gli altri i quali, in preda al panico più totale, cercavano disperatamente una via d’uscita. I più impavidi presero delle armi da taglio dalle panoplie poste sopra al camino e sulle pareti, cercando di difendersi formando una “disperata” trincea avvicinando tavoli e sedie. 

    «Questa già l’ho vista. Non servirà a molto!» disse Letellier con fare sarcastico. Mr. Harris stava con le spalle al muro, la sciabola che gli tremava in mano, la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Se ne stava lì, incapace di emettere un grido e di muovere un muscolo tale era il terrore che lo avvolgeva, mentre i suoi amici trovavano un destino terribile. «Non uccideteli! Essi devono far parte del mio esercito», ordinò Letellier. 

    «Ma perché? Perché?!» chiese con disperazione Mr. Harris. 

   «Ah… caro Harris. Noto con piacere che avete recuperato l’uso della parola. Che razza di miracolo mi sono perso. Il Perché chiedete? Incredibile… voi siete così boriosi da rifiutare anche ciò che accade sotto i vostri occhi? Cosa c’è? Non ridete più ora Mr. Harris? Avete perso lo humor britannico? Accidenti… se si viene a sapere in giro sono guai per voi, ma non temete sarò muto come una…tomba!» disse ridendo Letellier. Mr. Harris sconvolto cercò di indietreggiare e nel farlo inciampò in una delle tante sedie rovesciate a mo di riparo; cadde con la faccia in avanti ritrovandosi sporco del sangue dei suoi amici. Il banchiere Grady giaceva vicino a lui con la testa quasi staccata dal collo, mentre il Dott. Wilson era stato trapassato da più baionette. Tutto quell’orrore lo aveva sconvolto, egli cercò di scappare ma quando vide i non-morti che lo guardavano in silenzio con i loro volti scarnificati, quegli occhi infossati e rossi, quei canini bianchi e aguzzi e l’oscurità nella quale stava piombando la stanza… capì che tutto era finito. Girò la testa verso Letellier e disse con la voce rotta dall’angoscia: «Tutto avrei immaginato tranne che…», non finì la frase che Letellier lo infilzò da parte a parte con la sua sciabola. 

   «Mr. Harris non siete contento? Ecco la prova che volevate», disse con soddisfazione Letellier. Mr. Harris riuscì a emettere solo dei versi gutturali dato il sangue che gli riempiva la bocca, mentre le sue mani si erano attaccate all’impugnatura della sciabola piantata ancora nel suo stomaco quasi a volerla estrarre, ma appena questi lo fece, una copiosa quantità di sangue uscì dalla ferita. «Coraggio Mr. Harris non siete ancora morto. Vedete… questo è proprio il momento giusto per ciò che intendo fare di voi. No, non guardatemi in quel modo, per chi mi avete preso? Osservate il mio esercito, osservate i cosiddetti francesi ubriachi ricordate? Non ci sono sono solo francesi là in mezzo, e poi… vi troverete bene! Guardate, li riconoscete? Sono i vostri amici del club!» 

Mentre Letellier  parlava dandogli le spalle, Mr. Harris cercò di colpirlo con la sciabola che si era estratto dallo stomaco, ma Letellier rapido come una folgore gli afferrò la gola e il braccio armato e guardandolo in faccia gli disse: «Allora non hai capito! Tu diventerai come loro… la scommessa l’hai persa, ed è tempo di pagare!»

Mentre Letellier affondava i denti sul collo di Mr. Harris, provava un senso di soddisfazione sempre più crescente, quasi di onnipotenza nel sapere che lo aveva condannato a una “vita” peggiore della morte stessa.

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