”Vivere in una bolla invisibile è per Flavia l’unico riparo da una vita passata che vuole dimenticare ma che si ripresenta improvvisamente infida e pericolosa forse fatale perché lui, Arturo, è riuscito a trovarla. Cercare aiuto nelle persone, nei sogni e nei segni non le servirà. Ossessionata dal desiderio di solitudine e di vendetta, si farà giustizia da sola secondo la sua personalissima regola.
Regola numero zero
racconto
di
Elisabetta Bordieri
Aveva parlato abbastanza, profuso parole in quantità, palesate o celate tra le righe dei suoi pensieri, scritte nero su bianco o stilate in modo confuso, pensate e mai dette o solo vagamente accennate, ma nessuna evoluzione considerevole. Provò allora a prendersi del tempo, tempo a cui non aveva mai creduto, tanto meno al suo proverbiale fluire, e infatti non era cambiato nulla. Aveva anche cercato di recuperare qualche avanzo di amicizia, ma ognuno era piegato e chiuso sulla propria vita, cinico e indifferente. Poi aveva tentato di rinnovarsi definitivamente, di chiudere la tossicità della sua esistenza e darle un volto nuovo, ma anche lì un monumentale fallimento. Infine giocò anche la carta del cielo, si rivolse a qualcuno lassù ma trovò solo una manciata di Dei piccoli e distratti, spiaggiati perore nei cieli a cantare noiose nenie. Le restava il conforto di quella bolla invisibile in cui viveva, l’unico suo rifugio dove nessuno vedeva e nessuno sapeva o, forse, dove tutti facevano finta. Lì dentro si sentiva leggera come una piuma, custode di sé, lì dentro non poteva incontrare anima vivente a inquinare i suoi desideri, a scompaginarle i sogni, lì dentro l’ossigenazione cellulare riprendeva i suoi ritmi, lì e solo lì Flavia poteva piantonare il suo intrepido piano in attesa del giorno giusto. Fino a che quella mattina all’alba…
La deflagrazione la colpì in pieno. Sentì un boato spaventoso e il corpo avvampare di un calore devastante. Piegata su sestessa con le mani a proteggersi il volto, urlò tutto il dolore che poteva. Cadde in ginocchio, troppo tardi ormai per fuggire. Lembi di pelle bruciata lasciavano strascichi sul pavimento. Non le passò davanti la sua vita, solo la consapevolezza della fine. Ma non della sua.
Aprì gli occhi di scatto. Il fiato corto le troncava il respiro sul nascere, un sudore viscido sgorgava come sangue dalla pelle. Un sogno, un incubo, lo stesso che era tornato a turbarle le notti, già poco serene e tranquille, un segno, un richiamo, un incoraggiamento. Si alzò dal maleodorante letto e si infilò sotto una doccia bollente. Si fece schifo per il cattivo odore, non per il pensiero che si stava di nuovo facendo strada nella sua mente. Rimase a occhi chiusi fino a che non le si delineò la strategia per riprendersi dalla bancarotta dei suoi pensieri arenati. Sì, aveva parlato decisamente abbastanza, ora doveva agire e riprendersi la sua rivincita, chissà che il tempo non esistesse davvero. Prese l’accappatoio e tirò fuori il vecchio cellulare impolverato. Compose l’unico numero memorizzato e la donna rispose a metà del primo squillo.
«Chi è?»
«Buongiorno signora, sono Flavia, si ricorda di me?»
«No.»
«Ci siamo viste un bel po’ di giorni fa e…»
«…e allora saprà che non rispondo al telefono a quest’ora del mattino.»
«Sì, mi scusi, solo un momento, avrei bisogno di rivederla con una certa urgenza.»
«Da me, in tarda mattinata, oggi.»
E la tizia buttò giù senza darle la possibilità di controbattere. Si infilò due stracci addosso, si preparò una vagonata di caffè amaro e restò lì, seduta, agitata, immobile, in attesa che passassero le ore.Tanto è inutile, pensò, decisa comunque a riprovarci.
Arrivò trafelata e suonò al citofono senza nome, e il portone si aprì senza che nessuno rispondesse. Salì a piedi un numero di piani imprecisato, arrancando su per le scale, e trovò la porta accostata. La spinse ed entrò. Solita anonima e triste stanza priva di qualsiasi traccia di vita vissuta.
«Buongiorno.»
Nessuna traccia di essere vivente. Restò in piedi e attese.
«È arrivata troppo presto.»
Stizzita la donna apparve alle sue spalle.
«Non mi ha dato un orario preciso e poi la porta era aperta, comunque sono tornata perché…»
«Salti i preamboli, quelli li ha già elencati la volta precedente. Io concedo solo due incontri. Ma al secondo intendo venire subito al sodo, visto che mi trovo davanti una persona con degli evidenti ripensamenti, persona che tendenzialmente non mi piace. Non la faccio accomodare perché ho due minuti. Dica.»
Sfrontata e scostante, quella femmina la irritava. Canalizzò il nervosismo in calma apparente, distese la mente e rispose.
«Ho bisogno di… quella cosa lì, di quell’oggetto.»
«Questa è la stessa richiesta dell’altra volta e sappiamo com’è andata a finire. Mi sta facendo perdere tempo.»
«Ne ho bisogno, le dico.»
«I dettagli sono quelli che mi ha dato nel precedente incontro?»
«Gli stessi, sì.»
«La cifra è quella che già sa con un aggravio di qualche centinaio di euro dovuto alla sua riconsiderazione del caso.»
«Si chiama lucro.»
«Lo chiami come vuole, quella è la porta da cui è entrata volontariamente e dalla quale può anche uscire.»
«D’accordo, accetto.»
«Bene, la consegna del denaro avverrà due giorni prima di quella del materiale. La aggiorno telefonicamente per un ulteriore appuntamento. Non mi richiami.»
Girò le spalle e se ne andò in un’altra stanza lasciando a Flavia il compito di lasciare l’appartamento da sola e senza convenevoli.
I giorni iniziarono a passare e la sua vita era in simbiosi con quel telefono che portava con sé ovunque. Ma nessuna traccia di un benedetto trillo. Pensò e ripensò se fosse il caso di chiamare, ma la tipa era stata chiara. E attese. Poi, in un giorno non ben identificato, quel vecchio aggeggio emise un suono. Rispose di getto.
«Eccomi, mi dia pure le coordinate.»
«Pronto, tesorino!»
Una voce maschile, pacata e decisa dall’altro capo del telefono, le procurò una lacerazione nella parte alta dello stomaco. Una voce lontana e preistorica. Un timbro potente e torbido. Quella voce e quel timbro. Un sibilo. Il sibilo del serpente. Portò le mani alla bocca per contenere la nausea. Riattaccò immediatamente. Corse in bagno e vomitò schiuma bianca, bile marcia e tutta la sua anima dannata. Lui l’aveva trovata. Vivere praticamente reclusa sotto la sola scorta della sua coscienza, cambiare ogni dettaglio della sua vita, casa e numero di cellulare non era valso a nulla. Mille pensieri a raffica le attraversarono le viscere. Quel telefono, che credeva sicuro, squillò di nuovo. Atterrita, Flavia sapeva che doveva affrontare il mostro o sarebbe stata la fine e spinse il tasto verde di invio.
«Sì.»
«Ciao, cara, quanto tempo!»
«Come hai fatto.»
«Ti è piaciuto lo scherzetto, non ti avrò mica spaventata.»
«Come hai fatto.»
«A fare cosa? A far fuori la signora cattiva che ti doveva fabbricare una rudimentale bomba? Mi ha raccontato tutto sai? O intendi come ho fatto a trovare te?»
«L’hai uccisa…»
«Non direttamente. E dovresti ringraziarmi, l’ho fatto per il bene dell’umanità. Certa gente in circolazione è meglio che non ci sia. Regola numero uno: aiuta il prossimo.»
«Sei uno psicopatico maledetto.»
«Ah bella questa, vorrei ricordarti che quella che ha commissionato un ordigno sei tu.»
«Io non avrei ucciso innocenti.»
«Ah no? E cosa avresti fatto, sentiamo.»
«Avrei colpito te.»
«Ahahah cara, mi fai ridere. E c’era bisogno di una bomba? Ci sono tecnichemeno invasive e meno costose ma più sicure e… concludenti, credimi.»
«Perché non hai ammazzato subito me?»
«Avrei potuto sì, ma il tuo bel faccino non lo meritava.»
«Maledetto.»
«Sempre la stessa parola.»
Riattaccò in preda a un raptus violento omicida. Le tremava pure il sangue che scorreva a sbalzi. L’avrebbe ucciso con le sue mani in quel momento. Squillò di nuovo. Doveva cambiare tattica. Tentare una morbidezza che non le si addiceva. Ormeggiò la rabbia in un angolo buio del suo cervello e rispose.
«Cosa vuoi ancora, Arturo.»
«Che emozione quando mi chiami per nome. Mi hai sbattuto il telefono in faccia, Flavia. Regola numero due: sii sempre educata.»
«Senti, se vieni qui ne parliamo.»
«E di cosa dovremmo parlare, delle nuove modalità di esecuzione? Oppure, hai già pronto il piano B e appena entro mi spari? No aspetta, potresti offrirmi un caffè e avvelenarmi. La bella signora procurava anche pistole e veleno forse, ma ormai è fuori uso, neutralizzata, disattivata come la tua bomba. Parliamo al telefono, per ora non posso farmi vedere in giro, so che puoi capire il momento delicato, ma ho poco tempo.»
«Dove sei?»
«Ma amoruccio, cosa fai mi chiedi l’indirizzo per girarlo alla polizia? Non che troverebbe prove, è tutto sotto controllo, ma sarebbe sempre una scocciatura. Su via, ti facevo più scaltra.»
«Mi hai rovinato la vita, Arturo.»
«Curioso, la maggior parte delle donne che sguazza alla grande tra viaggi extra lusso, gioielli, yacht di non so quanti metri e ricchezze di ogni genere, non si sognerebbe mai di definire la propria vita rovinata e, soprattutto, poi non scappano come conigli.»
«Non sono mai stata interessata ai tuoi soldi.»
«Oh, sì sì lo so, lo so bene, dite tutte così alla fine. Ma solo alla fine perché prima vi stragodete di tutto e sperperate il patrimonio altrui poi, quando vi stancate, lasciate il malcapitato.Eh no bellezza, non funziona così.»
«Sai bene che nonsono mai stata una donna di quel genere. Mi vessavi continuamente.»
«Oh, oh, oh che parolona, vessare.»
«Sì Arturo è così. All’inizio pensavo fossero attenzioni. Non fare questo, non fare quello. Poi sei passatoa non girare vestita in quel modo, non vedere quella persona. Poi sempre peggio fino a non uscire se non ci sono io. Volevi una donna su misura e mi facevi vivere segregata. Così poi ho capito.»
«E cosa avresti capito.»
«Che voglio stare sola, senza te.»
«Eh già, angelo mio, ma questo non è possibile: regola numero tre.»
Basta, pensò. Fu un attimo. Il sangue non ribolliva più, i tremori avevano lasciato il posto a un autocontrollo imperturbabile, nella sua mente circolavano solo pensieri metodici e ben definiti. Tornò all’attacco.
«Oh, sì che è possibile, Arturino bello, perchého capito molto di più, sai? Vuoi sentire? So che manipoli il mercato finanziario, so che detieni il pacchetto di maggioranza di molti titoli azionari, so che speculi in borsa, so che divulghi notizie false abusando di informazioni privilegiate, so che compi operazioni di compravendita illecite, so che ottieni profitti solo sfruttando tutto e tutti, so che sei un gran farabutto!»
«Senti senti, la mia brava Flaviuccia, sveglia e spavalda. Ma quante belle parole messe tutte in fila! Molto più in breve si tratta di insider trading, cara. Ed è solo grazie a questo che hai vissuto nel lusso, signorina bella.»
«È un reato.»
«Mi stai stancando.»
«Ho registrato la telefonata.»
«Non è vero, non giocare con me e non tentare di fregarmi ancora, sai di cosa sono capace. Ti aspettavi la telefonata della bastarda quindi non lo puoi aver fatto.»
«Dimentichi che hai telefonato due volte.»
«Non ne avresti avuto il tempo lo stesso. E poi la polizia arresterebbe pure te per tentato omicidio. Non ti conviene.»
«Io non ho ucciso nessuno.»
«Ma hai dichiarato di volerlo fare.»
«Io volevo solo spaventarti.»
«Sì, certo, con una bomba. Regola numero quattro: non dire bugie.»
«Ti odio, maledetto.»
«Sempre lo stesso scontato aggettivo.»
«Marcirai in galera.»
«Non credo proprio, servirebbero troppe carte scritte e troppi testimoni.»
«Allora finirai all’inferno.»
«Questo potrebbe essere ma con te, tesoro, con te.»
Bussarono alla porta. Chi poteva essere? E perché bussare senza usare il campanello? E senza passare dal citofono? Chiuse la chiamata e salì nuovamente sull’altalena della confusione in preda al panico. Poteva essere lui. Nascosto prima a pochi passi sotto il portone. Oddio. Era lì. L’aveva incastrata. Perfido verme. E ora avrebbe ucciso anche lei. Ancora colpi insistenti alla porta. La gola serrata, il corpo inerme. Non poteva scappare, erain trappola. Poi una voce.
«Apra subito!»
Non era lui.
«Chi diavolo è?!»
«Nessun diavolo, solo la sua amica segreta.»
«Non ho amici.»
«Apra le dico! Ora!»
Aprì senza riflettere, meccanicamente.
La donna. La donna era lì, bella in salute, viva e vegeta.
«Che… che succede…non capisco…»
«Ora non deve capire ma venire via con me. Prenda il necessario.»
«Venire via… il necessario… cosa dice?»
«No, faccia lei. Il signorino molto probabilmente sarà qui tra poco e non credo voglia portarla a cena fuori.»
«Lei doveva essere morta.»
«Uh, ce ne vuole per uccidermi.»
«Lui mi ha detto che l’ha fatta uccidere. Come è possibile?»
«Lui è solo una carogna, e poco furbo. I sicari vanno scelti tra i professionisti. Mettere fuori combattimento un principiante, pagato poco peraltro, dopo anni e anni di addestramento, è roba da ragazzi e anche un divertimento. È ricco il suo fidanzatino, ricco sfondato ma un tantino avaro. È stata la mia fortuna. E la sua, direi. Ma se resto qui a parlare con lei, magari stavolta ci riesce da solo senza mandatari. Andiamo, non faccia altre domande, si muova.»
Flavia salì in una mal ridotta auto con la donna, e la bolla invisibile in cui aveva sempre vissuto, quel suo rifugio, dove nessuno vedeva e nessuno sapeva, si sgretolò in un attimo.
«Dove mi sta portando?»
«Alla polizia.»
Le si paralizzò il cuore ma non la voce.
«Lo sapevo, lo sapevo! Fermi questa maledetta macchina! Subito!»
«Ma lo sa che il suo amichetto ha proprio ragione? E cambi parola accidenti! Sono io la polizia, stupida ragazza. Possibile che non ci arriva? Il suo telefono è sotto controllo da quando è venuta da me la prima volta. Ha mai sentito parlare di agenti sotto copertura? Individui che esistono e vivono per salvare persone come lei incapaci di denunciare e che vogliono farsi giustizia da sole. Poi le cose sono degenerate e sono intervenuta.»
«Cosa… la polizia… allora… allora non può capire.»
«È lei che non capisce in che casino si era messa e, in ogni caso, io non sono un’assistente sociale, e comunque ora mi faccia guidare che tra poco in commissariato avrà da parlare per ore, e cerchi piuttosto di dire tutto quello che sa che lo sbattiamo dentro quell’infame. Lei sarà al sicuro in una struttura protetta. E ora stia un po’ zitta per favore: regola numero cinque.»
La sfrontatezza della donna, che pensava di averla salvata dall’orco cattivo, le procurò un risveglio interiore radicale. Lei non voleva essere salvata ma tornare leggera come una piuma, e custode di se stessa. Doveva tornare a essere sola.
Un micro secondo e si catapultò fuori dall’auto al momento giusto. Sentì solo l’imprecazione della poliziotta.
Elisabetta Bordieri
racconto
«Ma cosa fai, maledetta!»
Cambia parola pure tu, pensò. La bolla si stava ricomponendo mentre scappava e la poliziotta si dibatteva, bloccata dalla rabbia e dal traffico. Quando, dopo pochi secondi, tentò l’inseguimento a piedi, Flavia era già al sicuro, appiattita e grigia color asfalto nascosta dietro una piccola costruzione. Sì, nessuno poteva inquinare i suoi desideri, nessuno poteva scompaginarle i sogni. Nemmeno la polizia. Attese qualche minuto e riprese a correre. Che poi l’avessero pure salvata o arrestata, tanto non cambiava il senso e non le importava. Ora non doveva più piantonare il suo piano ma solo attuarlo. Non era più tempo di spaventarlo ma di ammazzarlo dentro. La bomba era lì, accanto a lei, nella sua tasca. La villa di Arturo non era distante e la buca delle lettere era esterna all’abitazione. Ci avrebbe messo poco. Il piano B era pronto e non sarebbe stato né un veleno, né una pistola. Molto più banale, molto più efficace e molto più doloroso, preparato da tempo con astuzia e pazienza. Aveva raccolto nel tempo ogni indizio e ogni particolare della vita losca di lui, aveva origliato telefonate, spiato incontri, trafugato documenti, circuito uomini di fiducia. Infilò la mano nello scomparto interno del giubbotto e prese il foglio. La bomba. Il necessario. Solo un foglio di poche righe scritte a mano da lei, che gli avrebbe devastato il futuro. Un preavviso di crack. Una semplice delazione. La comunicazione ufficiale delle banche e degli avvocati sarebbe arrivata a breve e poi a ruota, dopo accertamenti e controlli, la visita della polizia, della finanza e di tutte le forze militari terrestri ed extraterrestri. Il suo patrimonio si sarebbe nebulizzato e la lurida anima marcia di Arturo non avrebbe retto il colpo. Un omicidio diverso, senza esplosioni, senza ferite, senza veleni. Lo sfarinamento del denaro e della psiche. Un omicidio esemplare, perfetto. Quando decidi di uccidere vai dritto al cuore: regola numero zero.
tomlostriato
30 Agosto 2019 a 0:22
Letteralmente spiazzato ! Finale…col botto ?!
Divertente ed affascinante, coinvolgente e serrato .
Davvero bello !
Grazie
BuGia
29 Agosto 2019 a 21:42
Ce ne fossero sempre state, e ce ne possano essere tante in futuro, di donne come Flavia, così decise a reagire e a ribellarsi al potere maschile senza ricorrere alla Giustizia, da sempre schierata dalla parte dei più forti e dei più potenti: avremmo tanti bastardi in meno in giro per il mondo!
Maurizio Antonetti
29 Agosto 2019 a 20:55
Le parole sono un’arma, come ci insegna Flavia, ma sono anche arte, come ci insegni tu, con questa tua ultima, fulminante creazione letteraria, dal titolo perfetto. Chapeau!
Elisabetta Bordieri
29 Agosto 2019 a 15:42
Grazie a tutti, per aver letto e commentato.
Connubio170904
27 Agosto 2019 a 22:25
Spietata e crudele, imprevedibile e risoluta, Flavia vive in te, affascina, incute timore, prosciuga il fiato e lascia senza parole chi ti legge; Elisabetta, sei di una bravura incredibile e questa volta ti sei davvero superata.
Paola
27 Agosto 2019 a 21:37
È proprio vero che uccidi di più un uomo togliendogli quello a cui tiene di più (in questo caso denaro e potere) che se lo ammazzi, anzi, c’è più soddisfazione a vedere il suo declino
Racconto bello, fluido…. non ti fa staccare un attimo gli occhi dalle parole scritte con maestria dialettica. Ti adoro. ?
Andrea
27 Agosto 2019 a 18:44
La ricchezza del linguaggio rende ancora più avvolgente il racconto. Mi piace la tua Flavia e mi piace la tua fantasia.
Ciao amica mia. Un abbraccio.
Paolo
27 Agosto 2019 a 12:10
Insomma, la parte più sensibile di un uomo è il portafoglio …
Bello e raggelante, Flavia fa gelare il sangue anche in questo caldo finale d’estate.
Daniela
26 Agosto 2019 a 21:15
Che ganza questa Flavia! I colpi di scena la trasformano da amara vittima a impavida eroina.
Emiliano
27 Agosto 2019 a 10:06
Incantevole.. sorprendente. Nient’altro da aggiungere. Ogni tuo racconto mi affascina sempre di più. Così intenso da immedesimarmi nei personaggi stessi. Bravissima.
Ilaria
26 Agosto 2019 a 21:09
si dice ..”senza conoscere la forza delle parole, è impossibile conoscere gli uomini”.
la tua Flavia farà buon uso di quelle parole, come tu attraverso queste continui a farci provare emozioni.