La storia, si dice, non si ripete mai identica. Ma ha un vizio: ama travestirsi. E a volte, sotto il volto rassicurante della sicurezza, indossa ancora una volta la maschera lucida del cannone.

RIARMO, DISPERAZIONE E CORRUZIONE

Il Simplicissimus

Nel 1936, mentre il mondo appariva ancora immerso nella fragile pace del dopoguerra, la Germania di Hitler avviava un ambizioso piano quadriennale di riarmo. A guidarlo fu Hermann Göring — un tempo leggendario pilota del circolo volante del Barone Rosso, ormai trasformato in simbolo di decadenza, corruzione e abuso di potere. Il progetto, pur sostenuto da una macchina industriale formidabile, si scontrò presto con un ostacolo cruciale: la Germania esaurì l’oro necessario per acquistare materie prime, rivelando la profonda fragilità di un regime che si presentava come invincibile. Spinta più dalla paura di essere superata che da una reale prontezza militare, la Germania nazista entrò in guerra con un riarmo incompleto, dando inizio a una spirale di distruzione che il mondo non ha mai dimenticato. Oggi, in un’Europa nuovamente attraversata da tensioni geopolitiche e progetti di riarmo, questa vicenda storica torna a interrogarci. Quali lezioni possiamo trarre da un passato in cui l’ansia di potenza ha oscurato la lucidità politica ed economica? Questo articolo riflette sui pericoli di un riarmo non solo militare, ma anche ideologico. (f.d.b.)


Nel 1936 Hitler varò il suo piano di riarmo quadriennale che affidò a Hermann Göring, divenuto un corpulento e panciuto cocainomane, dall’affilato pilota che era stato al tempo in cui combatteva nel circolo volante di von Richthofen, ovvero il Barone Rosso. Ma, ancor prima che scadesse il quadriennio, la Germania esaurì l’oro con cui pagare le materie prime necessarie per le armi e, benché avesse un sistema industriale formidabile, dovette entrare in guerra sebbene fosse più o meno a metà dell’obiettivo stabilito, ma temeva che il riarmo dei vicini capovolgesse la situazione. Il che tra l’altro fregò l’Italia mussoliniana perché tra le clausole del patto d’acciaio c’era quella secondo cui una guerra non sarebbe scoppiata prima del ’43 – ’44. Contrariamente alla favola che viene propalata dalla storiografia americana che si giurerebbe sia stata elaborata dalla Disney, ma che fa testo per i media, la Germania entrò in guerra impreparata e fu soltanto l’innovativa strategia dello Stato Maggiore tedesco ad avere ragione degli avversari: i francesi, per esempio, avevano più carri armati e meglio armati, ma non sapevano come usarli.

Tutto questo mi ha ricordato il piano di riarmo(1) dell’Ue, anch’esso quadriennale che, oltre ad essere un infame sistema per rubare ancora soldi ai ceti popolari e conferirli ai soliti noti, è tuttavia completamente privo di senso dal punto di vista militare. I sistemi d’arma ad alta tecnologia di oggi, assieme alla capacità industriale necessaria per produrli, richiedono decenni per essere sviluppati. Niente di tutto ciò è stato messo in atto, né lo sarà tra quattro anni. Inoltre, nessun produttore europeo in campo bellico può mettere insieme granché senza componenti di provenienza statunitense e dunque l’idea di sviluppare l’industria europea delle armi in così poco tempo, è fondamentalmente un inganno che poi si sviluppa su scala planetaria se si pensa che una sostanziosa percentuale delle componenti americane, soprattutto riguardo all’elettronica, è a sua volta prodotto in Cina. Tra quattro anni, insomma, non ci saranno armi europee anche perché la Nato fin dalla nascita è focalizzata sulle forze Usa, mentre l’apporto europeo è sostanzialmente di contorno. Il che significa che non esiste alcuna strategia militare europea essenziale per un riarmo che avesse un senso.

Stabilito il fatto che il piano di riarmo è del tutto insufficiente non solo per fare la guerra alla Russia, ma anche per produrre il minimo armamento necessario per un fantomatico esercito Ue o per utilizzare gli eserciti nazionali che tuttavia avrebbero senso solo nel caso di Germania, Francia e Italia, ci dobbiamo fare una domanda. Perché si parla di quattro anni, vale a dire un termine del tutto assurdo? La ragione sta nel fatto che tra quattro anni Bruxelles spera che Trump sia sostituito da qualche fantoccio con la penna automatica come Biden o da qualche altro cadavere ambulante che riprenda appieno il saccheggio globalista e la frenesia bellica, salvando così la Ue dalla dissoluzione. Sarà difficile perché gli Usa cercano di ritirarsi dalla guerra per evitare la bancarotta e inoltre è del tutto improbabile che la guerra possa essere alimentata fino al 2029.

Ma poi c’è anche il problema Zelensky: le grida di tradimento che si sono levate dalle capitali europee quando Trump ha messo alle strette il comico di Kiev, ne illustrano le ragioni. Per anni, mentre gli ucraini morivano, molti dignitari europei prendevano il treno per Kiev e tornavano con milioni di dollari nel loro bagaglio diplomatico per poi distribuirli agli amici di merenda. Però il buon Vladimiro, anche se strafatto di coca, ha segnato tutto nel suo taccuino: se la guerra finisce egli può ricattare l’intera leadership europea. Il problema è che anche l’amministrazione americana potrebbe usare quel libretto. Di certo ha la forza e la capacità di ricatto per farselo consegnare, magari offrendo a Zelensky protezione dopo l’inevitabile caduta. Dunque, anche Washington potrebbe mettere nei guai molte figure di rilievo della scena Ue.

Quindi capite che dramma si sta vivendo a Bruxelles e magari in molte capitali europee, probabilmente quelle più guerrafondaie, che adesso cercano in ogni modo di continuare la guerra, affastellando piani privi di senso e cercando di provocare in ogni modo la Russia nella speranza che scattino le clausole Nato. La guerra è la loro ultima speranza.

Redazione

 

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