Una replica rispettosa ma critica alle parole della Senatrice Segre sull’Ucraina e sulla memoria storica.
RISPOSTA ALLA INTERVISTA DI LILIANA SEGRE
Elena Basile
In questa lettera aperta, Elena Basile risponde con rispetto ma fermezza all’intervista rilasciata da Liliana Segre al Corriere della Sera il 5 maggio 2025. Pur riconoscendo il valore simbolico e morale della Senatrice nel panorama italiano, l’autrice sente il dovere civile di confutare alcune affermazioni che, a suo avviso, rischiano di distorcere il dibattito pubblico su questioni cruciali come la guerra in Ucraina, il ruolo della NATO e la memoria storica del Novecento. Con tono misurato ma critico, Basile mette in discussione il paragone tra Russia e Germania nazista, ritenendolo non solo inappropriato, ma lesivo della complessa verità storica e potenzialmente pericoloso in un momento in cui il linguaggio della politica rischia di farsi strumento di propaganda. Un contributo alla riflessione democratica che rivendica il diritto alla dissidenza e alla pluralità delle voci, nel segno della responsabilità e della memoria condivisa. (f.d.b.)
Sento il dovere di oppormi ad alcuni argomenti utilizzati da Liliana Segre nell’intervista pubblicata dal Corriere della Sera il 5 maggio 2025. La Senatrice rappresenta una delle voci più autorevoli e lucide della comunità ebraica, una sorta di icona, nel bene come nel male, di un certo potere italiano. Appare essenziale confutare alcune tesi da lei sostenute, proprio in quanto in grado di influenzare l’opinione pubblica, seminando una confusione che potrebbe essere nociva al dibattito democratico.
Spero che la Senatrice non me ne voglia e non mi denunci nuovamente per antisemitismo. Io la leggo con attenzione e rispetto. Mi domando se Liliana Segre faccia lo stesso con i miei scritti e quelli di tanti altri, a cominciare da Moni Ovadia e Raniero La Valle, che esprimono una critica senza indulgenze alle politiche di Israele e non solo al Governo di Netanyahu.
Ecco, in sintesi, le mie obiezioni a una certa retorica che traspare dalle risposte assertive della Senatrice.
1. Si afferma, in un inciso, di non voler confondere un governo democraticamente eletto, quello di Netanyahu, con un movimento terroristico, Hamas.
In effetti, Hamas è stato anch’esso eletto democraticamente a Gaza nel 2007 e aveva fatto non poche aperture sul riconoscimento di Israele, che vennero rimandate al mittente. Con Hamas non è mai stato intavolato un dialogo che avrebbe potuto stabilire un circolo virtuoso, come avvenuto con l’OLP, organizzazione terroristica che ha poi scelto la via politica. Dispiace, inoltre, che la Senatrice non abbia ricordato come Hamas sia stato finanziato dal Qatar con la complicità della CIA e di Israele, al fine di ostacolare la crescita politica dell’Autorità Palestinese, e che le Nazioni Unite stabiliscano che un movimento di liberazione di un popolo dall’occupazione illegale di uno Stato straniero non sia considerato terrorista. In altre parole, quando Hamas uccide i soldati israeliani non è un movimento terrorista, ma lo diventa quando uccide i civili.
Infine, un governo democraticamente eletto ha responsabilità maggiori rispetto a un movimento terroristico, ed è quindi ancora più colpevole se si macchia di crimini di guerra e contro l’umanità, come il Governo di Israele. Frantz Fanon, nel libro I dannati della Terra, ha ricostruito la disperazione dei paria della storia, i rifugiati palestinesi, che hanno scelto necessariamente la lotta armata come palingenesi identitaria di un popolo perseguitato e dimenticato. Se possiamo, quindi, comprendere la disperazione che porta alla violenza, ci riesce impossibile intendere le ragioni del terrorismo di Stato di Netanyahu. Nel mio libro L’Occidente e il nemico permanente,(1) la seconda parte è interamente dedicata al conflitto israelo-palestinese, che attraversa, come è noto, un secolo e più di storia.
2. La Senatrice si oppone alla menzione di genocidio per qualificare l’azione del Governo di Israele, sebbene la CIG, organo dell’ONU, abbia chiesto al Governo di Israele di fornire alla Corte le prove delle misure intraprese per evitare il genocidio, considerandolo quindi implicitamente plausibile. Possiamo noi sostituirci al giudizio della Corte? La Convenzione sul genocidio del 1948 ha l’intento di fermare anche solo il tentativo di genocidio, rintracciabile nell’azione concreta di Israele e nelle molteplici dichiarazioni dei componenti del Governo di Netanyahu e dello stesso Trump.
3. La Senatrice parla dell’odio tra i due popoli senza nominare l’occupazione illegale, secondo le Nazioni Unite, dal 1967 da parte di Israele dei territori palestinesi, né il regime di apartheid instaurato da Israele in Cisgiordania, dove non esiste Hamas ma è presente l’Autorità Palestinese. Afferma inoltre, come Trump e Netanyahu, che il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza nel 2005 sia stata un’opportunità per i palestinesi che non andava sprecata. Dimentica di menzionare che la smobilitazione dell’esercito israeliano da Gaza era dovuta, secondo le leggi del diritto internazionale, al fatto che Gaza non è mai stata israeliana e, cosa ben più grave, non ricorda l’assedio — contrario al diritto internazionale — con cui Israele, già all’epoca, ha centellinato aiuti e risorse ai palestinesi, mantenendoli in una situazione di povertà. Parlare di odio tra due popoli non fotografa con equità una situazione caratterizzata da un popolo espropriato e sotto occupazione, e un altro che colonizza e utilizza la forza in modo arbitrario, creando in risposta la violenza terroristica dei palestinesi, ai quali sono stati levati reali canali politici per poter realizzare lo Stato di Palestina, come da risoluzione 181 dell’ONU del 1947.
4. Lo Stato di Israele si autodefinisce ebraico dal 2018. Credo che la comunità ebraica nel mondo venga in questo modo ingiustamente implicata nelle azioni di Israele. Se concordo con la Senatrice nella netta distinzione tra Israele e diaspora, vorrei tuttavia chiedere se non si ritenga un dovere politico e morale, da parte degli esponenti della comunità ebraica, la condanna dell’occupazione israeliana illegale della Palestina. Molti si sono appellati agli esponenti più illustri della diaspora affinché levassero la voce, senza ambiguità, per impedire lo sterminio in corso. La condanna di Israele, l’applicazione delle sanzioni, il riconoscimento simbolico dello Stato di Palestina, l’esecuzione del mandato di arresto di Netanyahu decretato dalla CPI, la fine della cooperazione militare tra USA, Europa e Israele sono, ad avviso della Senatrice, misure opportune per far cessare il conflitto (a mio avviso e ad avviso di tanti altri, anche personalità ebraiche), il genocidio?
5. La Senatrice denuncia l’antisemitismo ma non la repressione nelle università statunitensi e in Europa, soprattutto in Germania, delle manifestazioni pacifiche a favore del popolo oppresso di Palestina. L’antisemitismo è stato per secoli rivolto a un popolo per le sue caratteristiche somatiche, per la sua religione e la sua lingua, a una minoranza debole e discriminata, rinchiusa nei ghetti. Come si può parlare di antisemitismo se gli studenti o i pochi intellettuali coraggiosi insorgono con veemenza contro le politiche di Israele e contro tutti coloro che le difendono, ebrei e non ebrei? Se essi denunciano un potere subdolo che maschera, dietro una apparente equanimità, il sostegno alla pedina atlantica in Medio Oriente e alla sua strategia colonialista e ormai di pulizia etnica? Se i tedeschi non avessero ripudiato l’Olocausto e le politiche antisemite, non sarebbero ancora condannati e odiati? La Senatrice non pensa che la disumanizzazione dei palestinesi, realizzata dal Governo di Netanyahu, non sia poi così diversa rispetto a quella che ha colpito gli ebrei?

6. Infine, la Senatrice sente il bisogno di paragonare la Russia alla Germania nazista e di sostenere la continuazione della guerra ucraina, possibile grazie al sostegno della NATO a Kiev contro una potenza nucleare, la Russia. Il paragone è, a mio avviso, offensivo verso il popolo russo, che ha registrato 25 milioni di vittime (contro il mezzo milione anglosassone) per liberare l’Europa dal nazismo. La guerra russo-ucraina è, come molti analisti occidentali hanno dimostrato con libri e idonea documentazione, una guerra per procura statunitense contro la Russia, un tentativo di regime change che, dopo tre anni di conflitto, ha massacrato il popolo ucraino e fatto fallire un Paese. Il paragone tra Putin e Hitler non ha nessun fondamento storico, in quanto Mosca, con il PIL del Texas, ingenti materie prime, un territorio immenso e un tasso demografico decrescente, non ha alcun interesse nella conquista dei Paesi europei. La guerra cesserebbe subito se si promettesse un’Ucraina federale, neutrale, vicina economicamente all’Europa ma non militarizzata dagli anglosassoni in funzione antirussa. Sui territori conquistati sarebbe possibile trattare.
Spero che la Senatrice legga con animo privo di pregiudizi le mie argomentazioni, non le consideri un oltraggio oppure, peggio, una manifestazione di odio nei suoi confronti, ma l’espressione della normale dialettica democratica.
Da Senatrice che ha giurato sulla Costituzione, dovrebbe accettare la critica ai suoi punti di vista da parte di tutti i cittadini italiani, inclusa un’ex ambasciatrice, scrittrice ed editorialista de Il Fatto Quotidiano.

“Più grande è la menzogna, più la gente ci crederà.”
— Joseph Goebbels (spesso citato per denunciare i meccanismi della propaganda odierna)
Approfondimenti del Blog
Descrizione
Sono passati due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, che continua a seminare lutti e disperazione. Un nuovo conflitto è sorto in Medio Oriente, come conseguenza della mancata soluzione alla questione palestinese che si trascina da più di un secolo. Le due crisi presentano il rischio di trasformarsi in guerre globali e nucleari, e i loro resoconti mediatici si basano sulla stessa narrativa dominante, sebbene gli scacchieri internazionali siano molto diversi: prevale un approccio di stampo etico e religioso, lo scontro tra il bene e il male, rispetto a un’analisi razionale e storica. Come mai? Non è una coincidenza. L’autrice illustra come i giochi strategici globali siano frutto di una visione patologica del mondo dell’Occidente che, braccato dal declino che esso stesso ha creato, porta avanti disegni imperialistici ed espansionistici, focalizzandosi sulla supremazia militare e relegando in un angolo diplomazia e mediazione: si allontana così l’idea di un Occidente sano, possibile protagonista del nuovo riformismo, e si alimenta il bisogno di un nemico permanente, che è ormai dato per scontato dai governanti occidentali. Prefazione di Luciano Canfora. Postfazione di Alberto Bradanini.
Fonte: La fionda