“Il pacifismo ha fatto un fiasco totale, oggi il mondo è coperto dei cadaveri di ragazzi. L’unica grande vittoria dei pacifisti fu quella di aver raggiunto la firma del trattato antinucleare. Una settimana dopo Mao, lui che era un simbolo, buttò l’atomica”

Fernanda Pivano

 

Immaginaria eppure profondamente vera, la cittadina di Spoon River da cent’anni richiama i lettori attraverso le voci di coloro che un tempo l’abitarono e che, dopo la morte, affidano ricordi, rimpianti ed emozioni agli epitaffi incisi sulle proprie lapidi.

È da queste lapidi che il poeta americano Edgar Lee Masters (1868-1950) divenuto celebre per un solo libro, l’Antologia di Spoon River del 1916. Gli epitaffi – raccontati in prima persona dai defunti – di un’immaginaria cittadina Usa, simbolo dei borghi di Petersburg e Lewistown, dove il poeta visse e risiedette come anche il presidente Lincoln, che detestava. Davanti alla schiettezza ruvida con cui Masters racconta adulteri, aborti, tradimenti, bancarotta e banche strozzine, era naturale che i concittadini storcessero il naso. Ma parlare di Spoon River è parlare soprattutto di una giovanissima Fernanda Pivano. Siamo in Italia, negli anni del fascismo. Una “ragazzina” chiede a un importante scrittore di spiegarle la differenza tra letteratura inglese e letteratura americana. Lavorano insieme, per la stessa casa editrice. Una casa editrice il cui direttore editoriale sarà torturato e ucciso dai nazisti nel 1944, dopo essere stato scoperto a pubblicare clandestinamente il giornale di Giustizia e libertà. È questo il clima in cui la ragazza pone la sua buffa domanda, la cui risposta oggi ci appare così scontata.
Il grande scrittore si passa la pipa dall’altra parte della bocca per nascondere un sorriso e non risponde. Una mattina, porta alla ragazza un libro. Si intitola Spoon River Anthology. Lei lo apre, “proprio alla metà”, e resta folgorata da due versi: «mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì». Colta da un impulso irrefrenabile, comincia a tradurlo in italiano. Per parecchi anni traduce e traduce gli stessi ritratti, finché sono ormai parte di lei. Un giorno, lo scrittore le trova il manoscritto con le traduzioni in un cassetto. Lei si vergogna, aspetta “con un gran batticuore” che lui dica qualcosa. Ma lui dice solo: «Allora ha capito che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese », e si porta via il manoscritto.

Nel 1943, quello scrittore, Cesare Pavese, e quella ragazzina, Fernanda Pivano, curano la prima edizione italiana del capolavoro di Masters, che esce con il titolo di Antologia di S. River, ammiccamento a un improbabile Santo, al quale la censura concede il lasciapassare. Salvo poi rimangiarselo qualche giorno dopo e sequestrare il libro per “immoralità della copertina” – una copertina bianca orlata di verde -.
Fernanda Pivano è stata sicuramente molto più che un’americanista: è stata un crocevia della cultura italiana dopo la fine della guerra, quando molti, grazie prima di tutto a Elio Vittorini e al cinema d’oltreoceano (fino a quel momento assai poco conosciuto nella nostra Italia autarchica che si sognava romana), scoprirono non soltanto l’America ma anche e soprattutto la voglia d’America.
Nata a Genova il 18 luglio 1917 figlia di Riccardo Pivano e Mary Smallwood, seconda di due fratelli, vi abita fino all’età di dodici anni. Vive in una famiglia che lei stessa definisce molto vittoriana e rispettabile. Il nonno materno Francis Smallwood, scozzese, conosce la nonna Elisa Veronesi e non si muove più dall’Italia. Gli studi in linea con le tradizioni alto-borghesi della sua famiglia, liceo classico a Torino e le lauree in lettere e in pedagogia, conferiscono alla sua vita di relazioni un’attitudine aristocratica e la isolano da sentimenti e percezioni normali, favorendo nel prossimo riflessi di freddezza o per converso di adorazione, proprio per la difficoltà o rinuncia di Fernanda a interagire con un mondo omologato a un livello diverso. La passione per la letteratura italiana e straniera ma anche l’appoggio per i movimenti di emancipazione femminile e giovanile degli anni Sessanta, fanno di Fernanda l’avveduta ancella, per più e più generazioni. La stessa Pivano racconta nei Diari 1917 – 1973 (editi da Bompiani) il primo incontro: il supplente «giovane giovane» che nel 1935 per alcuni mesi entusiasmò la classe del Liceo D’Azeglio di Torino con letture del Momigliano, di De Sanctis e di Croce, prima dell’arresto e del confino, era Pavese, mentre la Pivano era l’allieva che registrava «lo straordinario privilegio» di ascoltarlo mentre «leggeva Dante o Guido Guinizelli e li rendeva chiari come la luce del sole». La passione comune per lo studio rimase segno forte anche quando si incontrarono di nuovo, nell’estate del ’38: tornato dal confino lo scrittore, già universitaria la Pivano, fu allora che Pavese suggerì alla giovane Fernanda, il «Gôgnin» (musetto) come scherzosamente la chiamava, di leggere i libri di Ernest Hemingway, Walt Whitman, Sherwood Anderson ed Edgar Lee Masters, un suggerimento che avrebbe cambiato la vita della Pivano e poi, anche grazie a lei, la cultura e l’editoria italiana.
Fernanda firma con Einaudi il contratto per tradurre A Farewell To Arms, di Hemingway, e non si ferma più. La sua carriera di traduttrice prosegue con molti noti e importanti romanzieri americani: William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Sherwood Anderson, Gertrude Stein. È stata inoltre promotrice della pubblicazione e della diffusione in Italia delle opere della beat generation e non solo, portando alle luci della ribalta testi importantissimi come “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, di Jack Kerouac che con il suo famosissimo libro “On the Road” (Sulla Strada) è considerato uno dei maggiori e più importanti scrittori statunitensi del XX secolo, nonché “padre del movimento beat”, ma anche “Addio alle armi” di Ernest Hemingway, traduzione questa, che costerà caro alla giovane Pivano, perché durante il ventennio fascista era strettamente vietato far circolare dei testi stranieri. Fu così che, quando il Ministero della Cultura Popolare scoprì la traduzione di Addio alle armi di Hemingway, Fernanda Pivano venne arrestata. I giorni di carcere fecero capire alla Pivano che ciò che al regime dava fastidio non era solamente la circolazione di questi libri stranieri, ma anche il loro contenuto. Il romanzo di Hemingway, si sa, è un testo estremamente pacifista, che racconta di diserzione.

Fernanda Pivano è stata anche esperta cultrice di musica leggera d’autore, come testimonia l’introduzione all’autobiografia di Bob Dylan, “Blues, ballate e canzoni” del 1972. Ma le poesie dell’Antologia di Spoon Revers ispirarono nel 1971 Fabrizio De André che trasse l’album: “Non al denaro, non all’amore né al cielo”. 

Fernanda Pivano incontra Fabrizio de André per la prima volta il 13 maggio 1971 proprio per parlare del disco che stava preparando ispirato a Spoon River. «Fabrizio era bellissimo, reso più affascinante da una timidezza di quelle che hanno, solo di rado, i geni». Il manager di Fabrizio le chiede di fargli un intervista per la copertina del disco, ma era noto che lui non ne rilasciava. Allora Fernanda nasconde sotto il letto della camera d’albergo un piccolo registratore. Ecco la parte iniziale:

Pivano Hai voglia di raccontarci come ti è venuto in mente di fare questo disco? Fabrizio Spoon River l’ho letto da ragazzo, avrò avuto 18 anni. Mi era piaciuto, e non so perché mi fosse piaciuto, forse perché in questi personaggi si trova qualcosa di me. Poi mi è capitato di rileggerlo, due anni fa, e mi sono reso conto che non era invecchiato per niente. Soprattutto mi ha colpito un fatto: nella vita, si è costretti alla competizione, magari si è costretti a pensare il falso o a non essere sinceri, nella morte, invece, i personaggi di Spoon River si esprimono con estrema sincerità, perché non hanno più da aspettarsi niente, non hanno più niente da pensare. Così parlano come da vivi non sono mai stati capaci di fare.

LA COLLINA(1)

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina. […]

La sera del 18 agosto 2009 Fernanda muore nella clinica milanese Don Leone Porta, dove era ricoverata da qualche tempo. iI funerali si svolgeranno il 21 agosto nella stessa Basilica di Carignano, dove dieci anni prima erano stati celebrati i funerali di Fabrizio De André. Dopo la cremazione è sepolta nel cimitero di Staglieno a Genova accanto alla madre.
Aveva 92 anni.

(1) Dall’ “Antologia di Spoon River”
di Edgar Lee Masters – Traduzione a cura di Fernanda Pivano

BIBLIOGRAFIA


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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