”Nell’estate del 1816, una giornata piovosa e grigia, sulle rive del lago di Ginevra in Svizzera…
FRANKENSTEIN, O IL MODERNO PROMETEO
Duecento anni fa Mary Shelley dava alle stampe un romanzo che è la trasposizione fantastica delle scoperte dell’epoca e che ne esorcizza le paure
È il primo gennaio del 1818 quando la storia del chimico Victor Frankenstein e della sua mostruosa, folle creazione viene data alle stampe. Nel solco della letteratura gotica – con rovine, paesaggi desolati e segreti inconfessabili – e sullo sfondo del rapido progresso scientifico-tecnologico nasce quasi per caso il primo romanzo di fantascienza. A questo la giovane autrice, Mary Shelley, affida i suoi sogni di gloria. Discende da un’illustre famiglia di scrittori Mary Wollstonecraft antesignana del femminismo e del saggista e scrittore politico William Godwin. Mary ha una sorella Fanny Imlay. Purtroppo la Shelley perde la madre appena dopo la nascita.
Nell’estate del 1816, una giornata piovosa e grigia, sulle rive del lago di Ginevra in Svizzera, Mary Shelley in compagnia del proprio compagno Percy Bysshe Shelley, Lord Byron, John William Polidori, Mary Wollstonecraft Godwin e della di lui sorellastra Claire Clairmont che aspettava una figlia di Byron dopo essere stata la sua compagna a Londra. In quel periodo Byron aveva perso interesse per Claire ma in Percy Shelley trovò un buon amico. L’incontro fu organizzato da Claire. Nelle lunghe giornate passate in casa a chiacchierare gli argomenti sono principalmente gli esperimenti condotti nel XVIII secolo da Erasmus Darwin, il quale afferma di esser riuscito a rianimare la materia morta ed il galvanismo (contrazione di un muscolo stimolato da una corrente) e la possibilità di ricomporre e ridare vita alle parti di un essere vivente. Spesso Lord Byron per divertimento propone di scrivere storie di fantasmi ed è così che Mary Shelley ha l’intuizione del suo Frankenstein o il moderno Prometeo è il risultato più riuscito di questa competizione tra sodali. «Le storie devono far gelare il sangue e battere forte il cuore» dice Mary. Prometeo è l’antitesi di Zeus, è un titano amico dell’umanità e del progresso, ha spesso simboleggiato la lotta del progresso e della libertà contro il potere. Percy dopo aver letto una prima stesura del romanzo incoraggia la scrittrice a proseguire. Alla morte della moglie di Percy i due decidono di sposarsi. Nel maggio del 1817 Mary termina di scrivere “Frankenstein”, che viene pubblicato anonimo nel 1818 con una prefazione scritta da Percy. Mary dovrà subire l’umiliazione di non essere creduta autrice del romanzo che viene attribuito da critici e lettori a Percy Shelley. Il suo nome compare sulla copertina solo alla terza edizione, nel 1831, quando il circolo romantico è ormai disperso: nel 1821 muore a Londra l’amico William Polidori; l’anno successivo Percy Bysshe Shelley, il marito di Mary, che annega nel golfo di La Spezia, e nel 1824 Lord Byron muore per difendere l’indipendenza della Grecia.
La breve introduzione, che da allora viene premessa al romanzo come parte integrante della storia, pone fine all’animato e testimonia del carattere fortemente “sociale” dell’iniziativa. Frankenstein offre, infatti, una trasposizione fantastica alle scoperte filosofico-scientifiche di cui si discute anche tra letterati – dall’evoluzione della specie all’uso dell’elettricità nelle teorie di Luigi Galvani – ed esorcizza le paure causate da un’incerta legislazione sulla neonata scienza dell’autopsia. Durante la stesura di Frankenstein, Mary Shelley prese ispirazione sia da altri testi – tra cui “Paradise Lost” (Paradiso perduto) del 1667 di John Milton, in cui Satana, l’angelo Lucifero che si è ribellato a Dio, è un evidente richiamo al mostro che si è ribellato al suo creatore e Faust, lo scienziato tedesco reso celeberrimo dell’omonimo poema di Goethe, che in cambio della conoscenza stringe un patto col diavolo, a cui promette l’anima – sia dalla mitologia, cioè il famoso Prometeo (presente nel sottotitolo dell’autrice), che si ribella agli dei per donare il fuoco agli uomini, mentre Victor Frankenstein, allo stesso modo del personaggio mitologico, tenta di donare agli uomini la possibilità di sfuggire alla morte. E poi – dalle Metamorfosi di Ovidio – così come Prometeo plasmò gli uomini dalla creta, Victor Frankenstein plasmò la sua “creatura” assemblando cadaveri.
Confortata dal successo che il romanzo riscuote – una seconda edizione appare nel 1823 – Mary Shelley decide di uscire allo scoperto dando maggiore credibilità al suo racconto. La nota introduttiva si aggiunge, dunque, a complemento del genere romanzesco, secondo un’usanza abbastanza consolidata, per suggerire una raccapricciante sovrapposizione tra l’autrice e il suo personaggio: se Victor Frankenstein(1), infatti, è l’autore del mostro, creato dalla dissezione e dall’assemblaggio di membra di cadaveri, Mary Shelley è colpevole di averne tramandato la storia indugiando su un’idea altrettanto orrenda con le più svariate tecniche narrative.
Il romanzo, infatti, prende avvio in forma epistolare attraverso le lettere che il capitano Robert Walton comincia a scrivere alla sorella per raccontarle di una sua missione al Polo Nord. Durante questa missione Walton incontra Victor Frankenstein. Victor proviene da un’agiata famiglia svizzera che gli ha garantito un’infanzia serena e un’adolescenza felice, indirizzandolo sulla strada degli studi scientifici, intesi come strumento per indagare e migliorare la realtà. Decide quindi di dedicarsi agli studi di chimica e di filosofia naturale e si iscrive all’università di Ingolstadt, ma un grave lutto lo colpisce: la madre muore di scarlattina, dopo essere stata contagiata da Elizabeth, figlia orfana di una sorella del padre.
Ecco la prima lettera che il capitano Robert Walton – che sarà il narratore della storia – invia a sua sorella «A Mrs Saville, Inghilterra. San Pietroburgo, 11 dicembre 17**. Sarai felice di sapere che l’inizio di un impresa, da te sempre avvertita come carica di brutti presagi, non è stato, in realtà, accompagnato da alcuna disavventura». Nelle parole del primo narratore, Robert Walton, ansioso di comunicare alla sorella Margaret i progressi della sua avventura, l’autrice infonde la stessa sete di conoscenza, lo stesso trepido entusiasmo che faranno di Frankenstein un suo inaspettato compagno.
Il giovane Victor Frankenstein, ossessionato dall’utopia di dare la vita alla materia inanimata, studia con accanimento e, nel corso di alcune ricerche clandestine, crede di aver scoperto il segreto della vita. Victor trascorre così dei mesi cercando di creare un essere vivente assemblato con parti del corpo provenienti da cadaveri, che egli studia nottetempo scoperchiando le tombe dei cimiteri. Una notte, finalmente, la creatura prende vita ma, quando vede il mostro muoversi, Frankenstein fugge terrorizzato.
È a partire da questa cellula narrativa che il romanzo si dilata progressivamente per accogliere temi e suggestioni diverse e consentire quasi a ogni personaggio di narrare la propria storia in prima persona, rinnovando al lettore la pungente sensazione della paura. “Horror” è dunque la parola che Mary Shelley distribuisce con insistenza, ma anche con un certo studio. La capacità di non avvertire orrore per i cadaveri è infatti il motivo che spinge Frankenstein ad applicarsi nel campo dell’anatomia. Orrore, è tuttavia, il sentimento che avverte alla vista della sua creatura deforme e che dal momento della creazione connota tutti gli aspetti del suo lavoro.
Nel romanzo è presente il tema della scienza trasgressiva, che viola i limiti segnati per la conoscenza umana e si configura come colpa “satanica”, come smisurato peccato d’orgoglio simile a quello originario di Lucifero, che perciò non può che attirare maledizione e sventura. Lo studioso, trascinato dal suo folle orgoglio scientifico, sfida Dio, sostituendosi a lui e attribuendo all’uomo le prerogative della creazione della vita. Di qui il sottotitolo del romanzo, che allude a Prometeo, il Titano che aveva forgiato gli uomini con la creta, violando un divieto degli dei.
A distanza di duecento anni, le infinite riscritture del romanzo testimoniano che il mito di Frankenstein continua a prosperare e confermano, secondo il giudizio di Walter Scott (1771-1832 poeta e romanziere scozzese), la straordinaria capacità dell’autrice di usare il fantastico per “aprire nuovi canali del pensiero”. Il libro è attraversato dalla tematica del “doppio”, che lega tra loro i destini di Frankenstein e della sua abominevole creatura. Nell’atmosfera gotica che pervade buona parte del libro, si scontrano l’aspirazione di Victor di creare un essere perfetto e il desiderio di quest’ultimo di essere riconosciuto come un essere umano nonostante il proprio aspetto deforme e terrificante. Immergersi nelle sue pagine continua a essere un’esperienza stimolante. Speculari sono le scene in cui creatore e mostro si scambiano i ruoli: nella prima Victor, terrorizzato da ciò che sta facendo, si sbarazza della donna – una Eva mostruosa – simile a lui, che gli ha richiesto, e che possa fargli compagnia e con cui ritirarsi in Sud America, lontano da tutti. La creatura gli giura allora vendetta, promettendogli di consumarla durante la sua prima notte di nozze con la sua sposa Elizabeth. Il mostro uccide Elizabeth mentre Victor osserva impotente attraverso i vetri. Interrogandosi sui limiti dell’uomo e della scienza su questioni cruciali del nostro presente – si pensi al latente desiderio di immortalità e all’uso sempre più sofisticato e massiccio delle intelligenze artificiali – in un periodo storico di grandi scoperte ed innovazioni scientifiche, Frankenstein, o il Moderno Prometeo indica anche che le ragioni del conflitto stanno nel profondo della personalità stessa, nel tentativo costante di far dialogare il sapere scientifico con quello umanistico.
Bibliografia:
“Frankenstein ossia il Prometeo moderno”, Mary Shelley, Milano, Mondadori.
“Il dizionario dei mostri”, . Fossati Milano, Garzanti, 1993.
“ Mary Shelley: una biografia”, Spark Firenze, Le Lettere, 2001.
“Il Prometeo di Mary Shelley“, Spina, Firenze, La Nuova Italia, 1971.
NOTE
(1) È bene ricordare che il Frankenstein del titolo è proprio Victor, cioè lo scienziato, e non la sua creatura, che nel corso del romanzo viene chiamata il Mostro, la Cosa o, appunto, la Creatura.