Una storia di ricongiungimento, ma anche un inno all’amore eterno
RITROVARSI DOPO VENT’ANNI: IL DIALOGO TRA PENELOPE E ODISSEO
di Riccardo Alberto Quattrini
Dopo vent’anni di separazione, Odisseo e Penelope si ritrovano nel palazzo di Itaca, finalmente liberi dalle ombre che li hanno tormentati. Lui, il re errante, racconta le sue avventure nei mari e i suoi incontri con mostri e divinità, ma anche con donne che hanno cercato di trattenerlo lontano dalla sua vera meta. Lei, la regina fedele, narra la sua battaglia silenziosa contro i Proci, una lotta fatta di astuzia, pazienza e una determinazione incrollabile.
In un dialogo intimo e profondo, le loro voci si alternano, intrecciando memorie di dolore, speranza e resilienza. Odisseo rivive i momenti più difficili del suo viaggio – Polifemo, Circe, le Sirene, Calipso – e confessa le sue debolezze, mentre Penelope svela le sue paure, le sue strategie per proteggere Itaca, e la solitudine di chi ama senza sapere se rivedrà mai il proprio compagno.
Ora, non più giovani, ma forgiati dal tempo e dalle sfide, Penelope e Odisseo si guardano negli occhi con la consapevolezza di aver costruito un amore che ha sfidato il destino. E quando si affacciano insieme sul mare, lo stesso che li ha separati per così tanto tempo, trovano non solo un riflesso del loro passato, ma una promessa per il futuro.
“Ritrovarsi dopo vent’anni” non è solo una storia di ricongiungimento, ma un inno all’amore eterno, alla forza della fedeltà e al potere della speranza che riesce a vincere ogni avversità.
La notte era scesa sul palazzo di Itaca. L’eco della battaglia contro i Proci si era ormai spenta, e il silenzio avvolgeva le sale dove un tempo regnavano i banchetti e le risate. Ora c’erano solo loro due, Penelope e Odisseo, seduti l’uno di fronte all’altra, come due naufraghi che cercano di raccontarsi il mare che li ha divisi.
Penelope lo fissava. Davanti a lei c’era l’uomo che aveva atteso per vent’anni. Non era più il giovane re che aveva salutato sulla spiaggia di Itaca, ma un uomo segnato dalle rughe e dalle cicatrici, con uno sguardo che portava il peso di mille battaglie. Eppure, era lui. Lo aveva riconosciuto non solo dal modo in cui aveva scoccato l’arco, ma dal tono della sua voce, dal modo in cui il suo nome vibrava sulle sue labbra.
“Sono tornato, Penelope,” disse Odisseo, la voce roca, quasi incrinata dall’emozione. “Ma non senza cicatrici. Non senza colpe.”
Penelope lo guardò, cercando di mantenere la calma. “Vent’anni,” sussurrò. “E in tutto questo tempo mi sono chiesta dove fossi. Cosa stessi facendo. Se stessi lottando per tornare da me, o se…” Si fermò, lasciando il dubbio sospeso nell’aria.
Odisseo si chinò verso di lei, prendendole la mano. “Sempre, Penelope. Sempre ho lottato per tornare da te. Ma il viaggio è stato lungo, e io… non sono sempre stato l’uomo che avresti voluto.”
Odisseo racconta le sue avventure
Odisseo abbassò lo sguardo, come se la memoria stessa dei suoi viaggi fosse un peso troppo grande da sostenere. Quando parlò, la sua voce era più bassa, quasi un sussurro.
“Dopo Troia, credevo che gli dèi mi avrebbero permesso di tornare a casa in breve tempo. Ma il mare… il mare aveva altri piani.”
Si interruppe, e nei suoi occhi passò l’ombra di mille ricordi. Per un istante, Penelope poté vedere ciò che lui aveva vissuto.
La tempesta si abbatteva sulla nave, le onde alte come montagne si frangevano contro i fianchi dello scafo. Gli uomini urlavano, aggrappandosi alle corde come naufraghi già condannati. Il vento ruggiva, strappando vele e speranze. Odisseo era al timone, con i capelli fradici incollati al volto, le mani strette fino al sangue. “Resistete!” gridava, anche se sapeva che non c’era nessuna costa vicina, nessun rifugio.
E poi… il silenzio. La nave sbatté contro una spiaggia sconosciuta, e loro crollarono sulla sabbia come relitti umani. Quando alzarono lo sguardo, videro la grotta del ciclope.
Odisseo scosse il capo, come se volesse allontanare quell’immagine. “Polifemo ci accolse con falsa ospitalità, poi si rivelò un mostro. Divorò due dei miei uomini davanti ai miei occhi. Solo con l’astuzia riuscii a salvarci. Lo accecammo con un palo rovente e fuggimmo, legandoci sotto i ventri delle sue greggi. Ma quella vittoria mi costò caro: Poseidone, suo padre, giurò che non avrei mai più visto Itaca.”
Si interruppe di nuovo, lasciando che Penelope digerisse quelle parole. Poi continuò, e con la sua voce tornò il passato.
La nave scivolava lentamente verso l’isola delle Sirene. L’aria era carica di un canto dolce e terribile, che prometteva tutto ciò che un uomo avrebbe potuto desiderare. “Legatemi all’albero,” ordinò Odisseo, mentre i suoi compagni si tappavano le orecchie con la cera.
Il canto delle Sirene si alzò, un suono impossibile da ignorare. “Penelope!” urlò Odisseo, il cuore straziato dalla nostalgia e dal desiderio. Vedeva il suo volto riflesso nel mare, mentre le Sirene promettevano amore, pace, e la fine di ogni sofferenza. Ma le corde lo trattennero, e la nave oltrepassò il pericolo.
Tornato al presente, Odisseo si passò una mano sul volto. “Ogni prova, Penelope, ogni canto, ogni inganno, era una lotta contro la tentazione di arrendermi. Ogni volta che credevo di non farcela, chiudevo gli occhi e immaginavo il tuo volto. Era questo che mi teneva in vita.”
Penelope non distolse lo sguardo. “E poi arrivasti da Calipso,” disse, con un filo di voce. Odisseo annuì. L’isola di Ogigia, era la dimora della ninfa Calipso è un luogo remoto, incantato e paradisiaco. È ricca di una natura rigogliosa, con boschi di cipressi, prati fioriti e sorgenti cristalline. La caverna di Calipso, adornata di piante rampicanti, è un rifugio accogliente e armonioso.
Nonostante la sua bellezza, Ogigia rappresentò una prigione per Odisseo, che vi rimase bloccato per sette anni. Simbolicamente, l’isola incarna la tentazione e la stasi, contrapponendosi al desiderio di Odisseo di tornare a casa e affrontare il proprio destino. Ogigia è un luogo sospeso tra il reale e il mitico, che esplora il dualismo tra piacere e responsabilità.
Per sette anni, il tempo sembrò fermarsi. L’isola di Calipso era un paradiso, un luogo dove nessuno avrebbe sofferto la fame o la paura. Lei mi amava, e mi offriva l’immortalità. Ma ogni notte, guardavo il mare, e il tuo volto mi appariva come un miraggio. “Devo tornare,” le dissi un giorno, e per la prima volta vidi il dolore sul volto di una dea. Ma il mio cuore non poteva essere trattenuto.”
Odisseo racconta l’incontro con Nausicaa
Odisseo abbassò lo sguardo, come se quel ricordo gli pesasse più di altri. Quando parlò, la sua voce era grave ma intrisa di gratitudine.
“Penelope, tra tutte le donne che ho incontrato durante il mio viaggio, Nausicaa è stata forse quella che più mi ha toccato per la sua purezza e il suo cuore gentile. Era una giovane principessa, eppure per me fu come una dea. Mi salvò la vita quando non avevo più nulla, nemmeno la forza di sperare.”
Si interruppe, cercando le parole, poi chiuse gli occhi e il ricordo lo travolse.
“Mi svegliai sulla spiaggia dopo l’ennesima tempesta. Il mare mi aveva sputato fuori come un relitto inutile. Non avevo più nulla: i vestiti erano stati strappati dalle onde, il corpo era coperto di sabbia e di alghe, e ogni muscolo urlava di dolore. Mi sentivo un uomo morto. Mi trascinai a fatica fino a un boschetto vicino, cercando riparo sotto gli alberi, e lì mi lasciai cadere, troppo esausto per pensare al futuro.”
Il mio sonno fu interrotto da un suono che non udivo da anni: risate. Giovani voci femminili, che si mescolavano al suono dell’acqua che scorreva. Quando aprii gli occhi, vidi un gruppo di ragazze sulla riva, che giocavano e lavavano i loro abiti. Al centro c’era lei, Nausicaa, con i capelli dorati che brillavano al sole, come un faro di speranza. Era radiosa, eppure semplice. Non aveva nulla della superbia o della freddezza delle dee che avevo incontrato prima. Era umana, e in quell’umanità c’era tutta la sua forza.”
“Quando mi vide, non fuggì.” La voce di Odisseo tremava leggermente, mentre il ricordo prendeva vita. “Era solo una ragazza, Penelope, ma ebbe il coraggio di restare. Io ero un uomo distrutto, un naufrago sporco, nudo, con gli occhi disperati di chi non ha più nulla da perdere. Ma lei… lei mi guardò come se fossi degno di essere salvato. Non c’era paura nei suoi occhi, solo compassione.”
“Chi sei, straniero?’ mi chiese, la voce gentile, ma ferma. Con il poco fiato che mi restava, le raccontai della mia lunga odissea, del mare che mi aveva tradito e del desiderio di tornare a casa. Mi ascoltò senza interrompermi, poi si voltò verso le sue ancelle e disse: ‘Questo uomo è sotto la protezione degli dei. Portatelo al fiume, lavatelo, e dategli abiti puliti.”
Odisseo fece una pausa, gli occhi persi nel ricordo. “Penelope, in quel momento sentii una dignità che credevo di aver perduto per sempre. Quelle parole, pronunciate da una giovane principessa, mi restituirono la speranza. Non ero più un relitto. Ero ancora un uomo.”
“Mi condusse al palazzo di suo padre, il re Alcinoo. Mi accolsero come un ospite, con rispetto e ospitalità, anche se non sapevano chi fossi. Ma Nausicaa… Nausicaa continuò a trattarmi con quella dolcezza disarmante, che era fatta di grazia e di innocenza. Mi guardava non come un guerriero, né come un uomo distrutto, ma come qualcuno degno di fiducia. Mi fece credere, per la prima volta in tanti anni, che sarei tornato a Itaca.”
Penelope ascoltava in silenzio, il volto impassibile, ma nei suoi occhi brillava una luce di emozione. “E tu, Odisseo?” chiese infine. “Cosa hai provato per lei?”
Odisseo sorrise, un sorriso appena accennato, pieno di riconoscenza. “Non amore, Penelope. Ma una profonda ammirazione. Lei era la luce dopo l’oscurità, una mano tesa verso un uomo che si stava affogando. La sua innocenza mi ricordava ciò che il mare e gli anni mi avevano strappato. Ma nel mio cuore c’eri solo tu. Sempre tu.”
Un dono e un addio
“Quando lasciai l’isola dei Feaci,” continuò Odisseo, “Nausicaa mi diede un dono: un panno ricamato con le sue mani. Disse che mi avrebbe protetto durante il viaggio, e che, ovunque fossi andato, avrei ricordato la sua terra e la sua bontà. Lo portai con me, Penelope, e ogni volta che lo guardavo, mi ricordavo che il mondo non è fatto solo di mostri e inganni. È fatto anche di gentilezza e speranza.”
Odisseo tornò a guardare Penelope, con un’espressione carica di emozione. “Nausicaa mi salvò, Penelope. Non con le armi o con la magia, ma con il suo cuore puro. E grazie a lei, potei continuare il mio viaggio. Potei tornare a te.”
Penelope lo fissò a lungo, poi si alzò e gli posò una mano sulla spalla. “Odisseo, se è grazie a quella ragazza che sei qui, allora non posso che ringraziarla anch’io. E spero che, ovunque sia, sappia che ha aiutato un re a ritrovare la sua regina.”
Fuori, il vento portava con sé il suono del mare, e il ricordo di Nausicaa sembrava galleggiare su quelle onde, dolce come il suo sorriso e immortale come la sua gentilezza.
“E ora sono qui,” concluse Odisseo. “Ho affrontato mostri, tempeste e dee, ma la battaglia più grande è stata quella contro me stesso. E ogni volta, Penelope, ogni volta vincevi tu.”
La sala grande del palazzo di Itaca era vuota, ma Penelope poteva ancora sentire l’eco dei banchetti che per anni avevano riempito quelle mura di scherno e di arroganza. Si sedette accanto al telaio, il suo eterno alleato, e guardò Odisseo con occhi che rivelavano una forza che nessuna guerra, nessun assedio poteva scalfire.
“Non erano mostri, né dei, Odisseo,” iniziò, con una voce ferma ma venata di amarezza. “Ma uomini. Uomini che si consideravano nobili, e che invece si rivelarono predatori.”
Fece una pausa, come se stesse ripercorrendo mentalmente i lunghi anni di assedio. “Quando ti sei allontanato, sapevo che avrei dovuto proteggere Itaca in tua assenza. Ma non immaginavo che il nemico non sarebbe venuto dal mare, né con spade in pugno, ma con sorrisi, promesse e un’insistenza che lentamente divorava tutto ciò che avevamo costruito.”
Penelope si alzò, camminando lentamente per la sala, come se le sue parole cercassero di riempire ogni angolo del silenzio. “Ogni giorno, temevo che uno di loro mi costringesse a cedere. Temevo per Telemaco, ancora troppo giovane per affrontare uomini tanto spietati. Ma la mia paura più grande, Odisseo, era che tu fossi davvero morto, che non ci fosse speranza, che tutto ciò che stavo facendo fosse inutile.”
Si fermò accanto al telaio, accarezzando i fili come si farebbe con un vecchio amico. “Eppure, ogni notte, quando tutti dormivano, trovavo conforto in questo telaio. Disfacevo ciò che avevo tessuto durante il giorno e, in quel gesto, mi sembrava di sfidare il tempo stesso. Ogni filo che tiravo via era un giorno guadagnato, una piccola vittoria contro chi voleva distruggere la nostra casa.”
Penelope indicò il telaio con un gesto gentile. “Sai, Odisseo, non era solo una tela. Era un segno. Ogni volta che la guardavo, ricordavo a me stessa che dovevo essere forte, che non potevo cedere. La tela era la mia arma, e l’astuzia la mia alleata. Come tu hai affrontato Polifemo con l’intelligenza, io ho affrontato i Proci con questa trama infinita.”
“Ogni giorno tessevo, ogni notte disfacevo. Era il mio modo di dire al destino: non ancora. Itaca è ancora nostra. Non permetterò che venga presa.”
La determinazione di rifiutare i Proci
Penelope tornò a sedersi, il volto segnato ma indomito. “I Proci erano insistenti, ognuno convinto di essere il più degno. Antinoo era il più arrogante, un uomo che non conosceva limiti né rispetto. Eurimaco era più subdolo, cercava di blandirmi con dolci parole, come se le sue menzogne potessero spezzare la mia volontà. E gli altri… non erano migliori. Ridevano, banchettavano, si spartivano il tuo bestiame come se fosse già loro. Ma io… io non potevo cedere.”
Fece una pausa, respirando profondamente. “La loro insistenza era un martello, giorno dopo giorno. Ma io mi aggrappavo a ogni scusa, a ogni stratagemma, per rimandare la scelta. Dicevo che dovevo finire la tela, ma sapevo che non avrei mai scelto nessuno di loro. Mai, Odisseo. Perché nel mio cuore, sapevo che saresti tornato.”
Le speranze di Penelope
“Sai cosa mi ha mantenuto viva?” chiese Penelope, fissandolo. “La speranza. Ogni giorno, guardavo il mare, e anche se le voci dicevano che eri morto, io rifiutavo di crederci. C’era qualcosa in me, una piccola luce, che mi diceva che eri là fuori. Che stavi combattendo per tornare.”
Si passò una mano tra i capelli, quasi volesse scacciare il ricordo di quelle notti interminabili. “Ho pregato Atena. Ho pregato gli dèi. E ho pregato te, anche se eri lontano. Pregavo che trovassi la forza di tornare, che il mare ti restituisse a me. E alla fine… eccoti qui.”
Penelope guardò Odisseo, il volto serio ma pieno di amore. “Non sono una guerriera come te, Odisseo. Non ho spade né archi. Ma ho combattuto con quello che avevo: il tempo, l’astuzia, e la speranza. Ho tenuto Itaca al sicuro, ma non l’ho fatto per i Proci, né per gli dèi. L’ho fatto per noi. Perché un giorno potessimo sederci qui, insieme, e raccontarci le nostre battaglie.”
Odisseo non parlò subito. Si avvicinò a lei, le prese le mani e le strinse forte. “Penelope, tu sei la più grande delle guerriere. Non c’è mostro o dea che possa eguagliare la tua forza. Hai salvato Itaca e il nostro nome, quando io non potevo. E ora, siamo di nuovo insieme.”
E in quel momento, nella sala che aveva visto anni di arroganza e di dolore, il tempo sembrò finalmente fermarsi. Non c’erano più Proci né telai da disfare. Solo due anime che, dopo vent’anni, si ritrovavano.
La sala del palazzo sembrava trattenere il respiro. Era vuota, ma non silenziosa: le pareti portavano ancora l’eco di vent’anni di attesa, di battaglie combattute e di silenzi pieni di promesse. Penelope e Odisseo sedevano vicini, ma non come due giovani innamorati. No, erano altro, qualcosa di più grande. Erano due anime che, dopo aver sfidato il tempo e la morte, si ritrovavano.
Penelope guardò Odisseo. Il suo volto era segnato dalle rughe, ma ogni linea raccontava una storia: la saggezza di chi ha lottato, la sofferenza di chi ha perso, e la forza di chi è tornato. I suoi occhi, una volta limpidi come l’acqua di un ruscello, erano ora profondi come un mare al crepuscolo. Eppure, in quel volto trasformato dal tempo, lei vedeva ancora l’uomo che aveva amato. Non era cambiato nel modo che contava.
“Odisseo,” disse, e il suo nome cadde dalle sue labbra come una preghiera. “Non siamo più quelli che eravamo, ma forse siamo qualcosa di meglio. Due che hanno imparato ad amare nonostante il tempo, la distanza, e il dolore.”
Odisseo sorrise, un sorriso lieve, come il sole che si affaccia sull’orizzonte dopo una lunga tempesta. “Penelope, il tempo non ci ha sottratto nulla. Ci ha restituito tutto. Ogni passo, ogni pericolo, ogni battaglia… erano tutte per tornare a te.”
Si presero per mano, e quel gesto, semplice ma eterno, sembrava contenere tutto ciò che erano stati e tutto ciò che sarebbero stati.
“Il nostro amore,” continuò Odisseo, “non è il fuoco di una giovinezza che brucia in fretta. È la fiamma calma e sicura che illumina la notte più buia. È il legno d’ulivo del nostro letto, radicato, eterno, immutabile.”
Penelope annuì, un sorriso appena accennato sul volto. “E come il legno d’ulivo, il nostro amore resiste. Anche quando il vento soffia più forte, anche quando le radici sembrano sul punto di spezzarsi. Resiste, Odisseo, perché siamo noi. E ora, finalmente, siamo insieme.”
Odisseo si alzò, con il passo lento di chi porta sulle spalle il peso degli anni e delle avventure. Porse una mano a Penelope, aiutandola a sollevarsi. Lei intrecciò le sue dita alle sue, e insieme, senza dire una parola, uscirono dal palazzo.
Il vento li accolse, lieve e fresco, come un respiro nuovo. Camminarono fino alla scogliera, dove il mare si apriva davanti a loro, immenso e senza fine. Si fermarono sul bordo, fianco a fianco, guardando l’orizzonte.
Il sole stava tramontando, e il cielo era un’esplosione di colori: oro, arancio, porpora, che si mescolavano come una tela dipinta dagli dèi. Il mare sotto di loro rifletteva quella luce, un infinito gioco di bagliori e ombre che danzavano sulle onde. Ogni onda sembrava raccontare una storia, e ogni storia finiva là, dove il cielo si chinava a baciare l’acqua.
Penelope si strinse a Odisseo. “Questo mare ci ha separati per vent’anni,” sussurrò, la voce appena percettibile sopra il mormorio delle onde. “Ma ora lo guardo, e non vedo più la distanza. Vedo solo ciò che ci ha condotti qui.”
Odisseo le sfiorò il viso con la mano, i suoi occhi fissi sull’orizzonte. “Il mare è stato il mio nemico, ma è anche il ponte che mi ha riportato a te. E ora lo guardo non con paura, ma con gratitudine. È infinito, Penelope, come il nostro amore.”
Stettero così, per un lungo momento, due figure solitarie su quella scogliera, ma non più sole. Il vento portava con sé il profumo del sale e il suono di nuove promesse. Il sole si tuffò lentamente nel mare, lasciando il mondo avvolto in un abbraccio di luce calda.
E mentre la notte scendeva su Itaca, loro rimasero lì, fermi, a guardare l’infinito, sapendo che, dopo tutto, non c’erano né mostri né dei che potessero mai separarli di nuovo.

Elisabetta Bordieri
15 Gennaio 2025 a 15:10
Una storia meravigliosa, scritta con maestria da proporre nelle scuole!
Solo che.. “mostri e dei” spesso ritornano…
Riccardo Alberto Quattrini
15 Gennaio 2025 a 15:52
Tutto parla di lui/noi, anche negli articoli, e poi mi accusano di pensare poco.