Roma è fatta così, crolla un muro o si apre una buca sulla strada e subito affiorano resti romani

 

Latrina Romana

LATRINE ROMANE

Il crollo di una parte del muraglione di sostegno del piazzale antistante la chiesa di S. Pietro in Montorio, avvenuto nell’ottobre del 1963, ha portato alla luce i resti di un’antica latrina romana.
Dell’ambiente, orientato in senso NO-SE, si conservano soltanto due muri, in opera mista, tra loro ortogonali interrotti alle estremità. Infatti, la realizzazione del muraglione di sostegno, che sappiamo essere stato eretto nel 1605 quando fu sistemato anche l’accesso alla chiesa, causò evidentemente la perdita del lato est dell’ambiente e danneggiò le altre murature. Un canale, largo circa 0.40 m e profondo m 0.80, corre su tre lati.


SEDILE RINVENUTO NELLE TERME DI CARACALLA

Il piano di scorrimento del canale è in bipedali e le sponde sono rivestite di cocciopesto. La pavimentazione a mosaico geometrico dell’ambiente risulta, quindi, distanziata dalle pareti per la presenza di detto canale

Parallelo a quest’ultimo corre un’altra canaletta di servizio per le pulizie, attualmente quasi del tutto scomparsa.

Usualmente sul canale di scarico, destinato allo scorrimento dell’acqua, erano disposti i sedili in pietra, generalmente di marmo, detti sellae pertusae, opportunamente forati nella parte superiore per permetterne l’uso, ma in questo caso non è stata rinvenuta alcuna traccia di tale arredo. 


Quindi è da ritenere che una serie di tavole mobili forate, disposte su supporti collocati probabilmente su sporgenze, di cui se ne conservano due lungo il muro ovest, costituissero i sedili.

Una soluzione analoga è stata supposta per altre latrine pubbliche e private: a Pompei, nell’Agora degli Italiani a Delo, nella villa di Settefinestre (Grosseto) e in Britannia. Sul lato sinistro della parete di fondo, a ridosso della parete ovest, è visibile una piattabanda attestante la presenza di una porta, ora tamponata, comunicante con un secondo vano, non scavato.

Su questo lato l’intonaco dipinto è stato notevolmente danneggiato dai lavori di sottofondazione del muraglione della soprastante piazza. Per questo stesso motivo fu demolita la parte nord della pavimentazione a mosaico, danneggiando il canale di scolo, per far posto a due grossi pilastri di cemento che furono addossati al muro nord.

Sul lato ovest si conserva un largo tratto della muratura ancora parzialmente rivestita di intonaco. La decorazione pittorica ad affresco presenta uno schema lineare. Lo stile pittorico, simile a coevi esempi a Roma come nella domus di via Eleniana e nella villa sotto l’abside della basilica di S. Giovanni in Laterano, permette di datare la latrina agli ultimi decenni del II inizi del III sec.

(Raffaele M. Maiorano)

Roma è fatta così, crolla un muro o si apre una buca sulla strada e subito affiorano resti romani, purtroppo spesso i luoghi vengono richiusi, perchè costa il mantenerli aperti, e perchè non c’è una politica turistica che li renda vantaggiosi economicamente.

La latrina di via Garibaldi infatti non è visitabile nè è stato scavato ulteriormente.

Prima delle terme, i Romani si accontentavano di bagnarsi entro bacini posti in luoghi bassi non decorati e poco luminosi, ma le Terme poi furono un voto all’igiene, alla cura, all’arte e alla bellezza.

“I romani hanno pensato soprattutto a ciò che quelli [i Greci] avevano trascurato: a pavimentare vie, a incanalare acque, a costruire fogne che potessero evacuare nel Tevere tutti i rifiuti della città tanta è l’acqua condotta dagli acquedotti da far scorrere i fiumi attraverso la città e attraverso condotti sotterranei”
(Strabone – Geografia)

I Romani erano un popolo fortemente civile e l’giene personale nonchè cura del corpo rivestivano per loro una grande importanza nella vita quotidiana, importanza che poi decadde con l’avvento dei barbari ma soprattutto del cristianesimo per il quale il corpo era peccato e curarlo era vanità.

I Cataloghi Regionari, un elenco dei monumenti romani redatto nel IV sec. d.c. enumerano ben 150 latrine a Roma, sicuramente latrine pubbliche, altrimenti non sarebbero state incluse nei monumenti cittadini.
Dovranno passare duemila anni per rivalutare l’igiene, basti pensare che nel medioevo farsi il bagno più di una volta all’anno era considerato peccato, che nel ‘600 e ‘700 si coprivano coi profumi le conseguenze della scarsissima igiene e che la necessità dell’acqua corrente fu pienamente sentita e attuata nel’900.

L’IGIENE ROMANA

A Roma invece, soprattutto a partire dalla diffusione delle terme e dei bagni ci si lavava in modo completo ogni giorno, adoperando come detergenti soda, liscivia, pietra, ma anche una specie di liscivia oleosa. Apuleio nel suo famoso processo decantò l’uso del dentifricio.
Uomini e donne, molto attenti alla salute e bellezza della pelle, facevano abbondante uso di oli profumati, che ammorbidivano, idratavano ed emanavano gradevoli odori.

Poco sappiamo delle latrine pubbliche e private dei Greci, mentre sono state ritrovate in gran numero nelle rovine di città romane. Nell’antica Roma infatti i bagni privati erano pochi e solo le famiglie abbienti potevano permetterselo.

Per il resto della popolazione c’erano le latrine pubbliche, dotate di acqua corrente in perpetuo transito e collocate spesso sotto un portico, per cui il transito era protetto dalla pioggia ma il locale era molto arieggiato. Se trattavasi di luogo chiuso veniva servito da numerose finestre sempre aperte.

Le prime latrine pubbliche sorsero in età imperiale. L’acqua dei tetti veniva fatta affluire nelle cisterne per poterla utilizzare, invece le latrine delle case venivano evacuate per mezzo di grossi tubi di terracotta che scaricavano i residui in una fossa, un “pozzo nero”, oppure sullo scolo del selciato.

È inconcepibile ai nostri giorni ma nelle latrine pubbliche la gente si incontrava e chiacchierava; non c’era nè il pudore nè la necessità di privacy di oggi, nè tanto meno il fastidio dei cattivi odori. Sulla suddivisione della sessualità i pareri sono discordi: alcuni suppongono che in uno stesso bagno affluissero uomini donne e bambini, assolutamente da escludere almeno per buon senso, altri che nelle latrine di lusso i sessi fossero divisi ma in quelli popolari commisti.

Non si deve dimenticare che i romani erano tutti soldati e avvezzi alle caserme, anzi ai castra, per cui erano abituati a condividere i bagni. Nessuno poteva chiedere rispetto ai suoi simili se non aveva servito la patria, e soprattutto non poteva sognarsi una carica pubblica. Per le donne la faccenda era diversa, pur non temendo la nudità, visto che le terme erano miste, non avrebbero mai condiviso una latrina, un po’ come avviene oggi in un campo di nudisti.

Pulizia della latrina

DESCRIZIONE

L’ambiente delle latrine era di solito rettangolare o semicircolare e aveva sedili di marmo lungo le pareti, sospesi sopra un canale dove scorreva l’acqua. Due mensole scolpite a forma di delfino servivano da appoggio alle braccia e da separazione col vicino, per comodità e per rispettare gli spazi.

Talvolta, al di sopra dei sedili, c’erano delle nicchie con statue di eroi e divinità oppure vi era un altare della Fortuna, come a Ostia, oppure un gioco d’acqua, o una pittura.

Talvolta vi era un bassorilievo della Dea Carnea, spesso invocata per il buon svolgimento dei bisogni corporali, oppure della Dea Igea, addetta al’igiene in generale, nonchè alla salute.

I Romani sapevano che la pulizia della persona e del territorio erano fondamentali per la salute. Non a caso la parola Igiene viene dal nome della Dea Igea.

I Romani non ritenevano il corpo una cosa immonda, per cui non era strano invocare una divinità perchè aiutasse a espletare i bisogni, e a pregare dentro una latrina non era disdicevole. Sarà il cristianesimo a relegare il corpo e le funzioni corporali nel settore della vergogna.

Pertanto i romani trovavano perfettamente normale espellere le feci o espellere aria dall’ano, anzi per queste due funzioni, ovvero perchè avvenissero nel modo migliore, invocavano due divinità: Sterculius per la prima funzione e Crepitus per la seconda. Le donne avevano una divinità tutta per loro, dato che proteggeva le mestruazioni: la Dea Mena. La raffigurazione di quest’ultima appariva pertanto solo nei bagni femminili.

SPUGNA PER PULIRSI

L’impianto idrico era costituito da un canale, posto al di sotto dei sedili, lungo come il perimetro della stanza, in cui cadevano gli escrementi, che venivano portati via dall’acqua corrente, fino alla cloaca più vicina.

Il canale era rivestito in cocciopesto, l’ottima malta romana con cui si impermeabilizzavano le pareti delle condotte o delle fognature, malta che ha assolto il suo compito in molti casi per ben duemila anni.

I sedili invece per igiene erano generalmente in pietra o marmo, ma in alcuni casi anche di legno, la pavimentazione sempre per l’igiene era in sectile, cioè a lastre marmoree, o in mosaico (tessere di pietra o marmo), materiali che potevano essere puliti sfregando con segatura, o con pomice e sempre tanta acqua. Le pareti erano dipinte per quel gusto tutto romano di abbellire qualsiasi ambiente, fosse un mercato, un’horrea o una latrina.

Davanti ai sedili poi, correva una canaletta nella quale scivolava acqua pulita, per lavarsi come si fa in un bidet. Si detergevano con spugne dotate di manico, che si infilavano sui bastoncini, e dopo l’uso le sfilavano gettandole nell’acqua corrente, da cui sicuramente venivano recuperate, lavate e riproposte all’uso.

LATRINE DEL 100 A.C. (SICILIA)

Si sono rinvenuti negli angiporti orinatoi un po’ differenti, formati da anfore o da doli spezzati a giusta altezza. Tali recipienti venivano poi svuotati dai fullones per tingere stoffe e conciare pelli.

Questo recupero avveniva anche a Roma tanto che Tito si risentì col padre per la pignoleria di aver tassato i tintori sull’orina raccolta nelle latrine. Al che Vespasiano rispose: “Pecunia non olet” cioè “Il denaro non puzza”.

Per ciò che riguarda gli accampamenti il discorso non cambia. I soldati romani non andavano nella boscaglia a fare i bisogni, ma anche lì costruivano latrine. Lo Strategikon (XII, 22) infatti raccomanda la costruzione delle latrine fuori del campo, per evidenti motivi igienici e di respirabilità.

Tuttavia nel De Bello Gallico Cesare dà divieto assoluto che in sua assenza i soldati escano dal campo finchè lui non torna, il che fa pensare che in alcuni casi si tenessero nel campo svuotandole aldifuori con l’ausilio di una pattuglia. Si sa che ad ogni sosta degli eserciti in marcia, venivano preparate delle latrine volanti per le truppe.

Persino ai confini dell’impero, nelle fortificazioni del Vallo di Adriano, ai confini con la Scozia, sono state trovate enormi latrine con acqua corrente che permetteva di portar via i rifiuti.

LE FOGNE

cloaca maxima

Canali e catene fognarie ne sono state rinvenute nell’antichità ma furono i Romani, già istruiti dagli etruschi, i più mirabili costruttori di cloache.

Risale ai Tarquini la costruzione della Cloaca Maxima, che attraversava l’Urbe partendo dalla Suburra verso il Foro Boario e costituiva un enorme sotterraneo di 600 m, alla cui entrata nell’area del Foro sorgeva il tempietto di Venere Cloacina (Purificatrice).

Ciò che oggi rimane della magnifica costruzione risale all’età di Silla e di Augusto. Già Strabone ammirava la Cloaca Maxima per la sua grandiosità e Plinio il Vecchio la afferma incrollabile ed eterna.

Nelle città fornite di impianto fognario, le canalizzazioni seguivano i tracciati delle strade.

Se il rilievo del terreno lo permetteva, si cercava di creare una rete di canalizzazioni secondarie che sboccavano in un collettore principale, che conduceva le acque putride fuori città. Si hanno esempi di fognature già nel 100 a.c.

LATRINE PUBBLICHE

Enuncia il graffito di una latrina “Dopo aver goduto dei piaceri della tavola è bene fare un salto qui prima di dedicarsi, poi leggeri, ai piaceri dell’amore

Non solo gli acquedotti contribuivano dunque a mantenere l’igiene e la salute nel popolo romano, uso ai bagni delle terme, ma si disponeva di una vasta rete di bagni pubblici all’interno dei frequentatissimi edifici termali, presso i fori o lungo le vie più trafficate; del resto le terme erano poco costose o addirittura gratuite, per cui ci andavano poveri e ricchi.

Si accedeva infatti pagando una tassa al portiere se queste non erano gratuite per volere dell’imperatore (vedi Augusto) o di un donatore (vedi Agrippa).

Le foriche, nelle terme o aldifuori di queste, erano costituite da pesanti basamenti in pietra o in marmo su cui erano posti dei sedili, l’uno accanto all’altro, mentre in basso c’erano delle canalette in cui scorreva acqua corrente, utilizzata per lavarsi con delle spugne infilate su bacchette che venivano, dopo l’uso, lavate e infine gettate nella canaletta, si che ognuno disponesse di una spugnetta pulita per sè solo.

Per ciò che riguarda le insule, la carenza di pressione dell’acqua nelle tubature, comportava che l’acqua riusciva a servire al massimo un primo piano, sempre che non si abitasse in zone troppo elevate.

La maggior parte delle insulae, stracolme di abitanti, erano solo dormitori per cui per lavarsi si andava alle terme e per defecare nelle latrine pubbliche, il che già denota un livello sociale ed igienico progredito rispetto all’epoca in cui si usava semplicemente l’orinale che si andava a svuotare nei pozzi neri o si faceva volare il contenuto dalla finestra come avvenne poi nel medioevo.

LATRINA DI VIA GARIBALDI (ROMA)

Si trattava per lo più di luoghi assai gradevoli e riccamente ornati, con mosaici, stucchi, zampilli d’acqua, talvolta con mensole laterali su cui poggiarsi, o col rilievo di una divinità a cui raccomandarsi per una sana evacuazione, oppure con scene marine, o con immagini di altre divinità non inerenti.

In queste latrine spesso la gente si incontrava e scambiava due chiacchiere riuscendo perfino a strappare qualche invito a pranzo, come osserva spiritosamente Marziale:

Vacerra in tutte quante le latrine
ora stando in una, ora in altra,
consuma l’ore e siede tutto il giorno. 
Egli ha una gran voglia di mangiare.
non quella di cacare

L’imperatore Vespasiano per rimpinguare le casse dell’impero, non solo tassò i fullonici, ma fece costruire per le strade degli orinatoi a pagamento che da lui presero il nome di Vespasiani, uno dei quali è ancora visibile all’ingresso della Passeggiata Archeologica a Roma.

Per entrare nelle foriche pubbliche bisognava dunque pagare una cifra minima, riscossa dal conductor, così come avveniva per l’ingresso alle terme.

Ai tempi di Augusto e di Tiberio invece erano gratis, così variando a seconda delle disposizioni, ma furono sempre o gratis o a prezzo minimo, come le terme.

Qualora gli scarichi delle latrine non finissero nelle cloache, ma nei pozzi neri, venivano prelevati di notte dal conductor fornicarius che evidentemente guadagnava anche con la raccolta dei rifiuti dei pozzi neri, rivendendosi la materia come concime.

LATRINE PRIVATE

Le cloache dell’Urbe non erano dunque in comunicazione con gli appartamenti delle insulae,  per cui ad eccezione dei ricchi possessori di domus, che avevano la latrina privata, tutti gli altri dovevano ricorrere alle latrine pubbliche (foricae), amministrate da appaltatori del fisco: i conductores foricarum.

PITALE ROMANO IN ARGILLA

Nell’insula, se le latrine erano presenti, stavano al piano terreno, dove l’acqua pulita e quella nera potevano scorrere facilmente dalle condotte che correvano lungo la strada.

Gli inquilini avevano un recipiente, detto lasana, in cui venivano svuotati i vasi da notte. L’urina però veniva recuperata per il lavaggio dei panni e la concia delle pelli.

È stato ritrovato in Bulgaria nel castrum di Novae, uno dei suddetti pitali, ovvero vasi da notte che venivano usati appunto quando si andava a dormire e ci si svegliava con i bisogni corporali.

Come i nostri contadini di un tempo trovavano molto più pratico orinare nel pitale piuttosto che uscire all’aperto.

Marziale narra di orci, i dolia, posti all’angolo delle strade per la raccolta dell’urina e gli svuotatori si chiamavano: fullones, così come la tintoria si chiamava fullonica. L’imperatore Vespasiano per rimpinguare le casse dell’impero, non solo tassò i fullonici, ma fece costruire per le strade degli orinatoi a pagamento che da lui presero il nome di Vespasiani, uno dei quali è ancora visibile all’ingresso della Passeggiata Archeologica a Roma.

Se gli scarichi delle latrine non finivano nelle cloache, ma nei pozzi neri, venivano prelevati di notte dal conductor fornicarius che evidentemente guadagnava anche con la raccolta dei rifiuti dei pozzi neri, rivendendosi la materia come concime.

SISTEMA FOGNARIO ROMANO

La latrina della domus, un lusso in una casa di lusso, veniva collocata a piano terra o al primo piano.

Colpisce il fatto che molto spesso la tazza era collocata in cucina, evidentemente per l’utilizzazione delle stesse tubature di carico e scarico.

Colpisce sia la mancanza di separazione per gli odori, e pure la mancanza di riservatezza nell’espletare i bisogni corporali.

La mancanza di un luogo appartato per defecare fa comprendere come l’atto fosse considerato con più naturalezza rispetto ad oggi, ma non dimentichiamo l’uso dei re di defecare in una sedia apposita, di fronte ai personaggi di corte, protratto fino all’ottocento.

LATRINE AD OSTIA

Le latrine erano usuali nelle città romane ai cittadini e ad Ostia, una cittadina fortunosamente conservata se ne sono rinvenute parecchie. La città, come tutte quelle romane, era dotata di un sistema fognario sin dalla fondazione della colonia nel IV sec.a.c.

LATRINE DI OSTIA

Particolare la grande latrina vicina alle Terme del Foro, delle quali faceva probabilmente parte. Vi si scorgono i sedili di marmo allineati lungo i tre muri dell’ambiente, dotati di una serie di doppi fori, orizzontali e verticali, sopra i quali sedere.

Sotto ad essi, in un canale profondo, scorreva l’acqua di evacuazione, proveniente dallo scolo di una delle vasche delle terme, e davanti, nella pavimentazione, una canaletta, alimentata da una piccola fontana, forniva l’acqua per lavarsi. Due porte girevoli, anche qui si nota la modernità dei Romani, davano un accesso rapido e disinvolto all’ambiente.

A sud del Foro, all’inizio del cardo massimo, si trova una latrina pubblica di grandi dimensioni, affiancata da un ninfeo. In molti appartamenti, domus o edifici di riunione, nel sottoscala, è istallata una latrina, a uno, due o più posti. Si possono vedere per esempio nella domus della Fortuna Annonaria, dove la latrina è corredata da una piccola fontana nella parte bassa del muro, nelle case a giardino o nel caseggiato dei Triclinii, sede della corporazioni dei costruttori vicino al foro.
Nell’Insula delle Volte Dipinte, nel quartiere verso l’antica linea di costa, la latrina dell’appartamento al primo piano si trova in un passaggio vicino alla cucina in modo da utilizzarne gli scarichi in un unico fognolo.

LATRINA DI PIAZZA ARMERINA

La latrina di Piazza Armerina

Dal peristilio attraverso una porta si perveniva in un cortile a cielo aperto, che aveva la funzione di areare la latrina.

La forma è trapezoidale, ai lati, sopra una cloaca, si trovavano i Seggi Marmorei con foro centrale, la latrina era fornita di vaschetta impropriamente detta per le abluzioni.

LA DECADENZA

Caduto l’Impero Romano le latrine, private del rifornimento idrico degli acquedotti, caddero in abbandono, si tornò a gettare l’urinale nei pozzi neri, o dalla finestra.

Per avere nuovamente il gabinetto in casa bisognerà attendere il ritorno dell’acqua nelle abitazioni, perchè bagni pubblici e latrine pubbliche erano inverecondi, col cristianesimo bisognava ignorare il corpo o meglio mortificarlo, i piaceri andavano evitati e il Dio del sacrificio supplicato e pregato per evitare il peggio.

Nel Medioevo le condizioni igieniche crollarono miseramente portando alla diffusione di molte malattie, tra cui alcune gravi come il tifo e l’epidemia di peste del 14° secolo. L’uso del “vaso” (di rame o terracotta) prese il sopravvento, mentre le latrine pubbliche scomparvero.

 

 

 

BIBLIO

  • – Rodolfo Lanciani – I Commentarii di Frontino intorno le acque e gli acquedotti, silloge epigrafica aquaria – Roma – Salviucci – 1880 –
  • – Water and Wastewater Systems in Imperial Rome – in WaterHistory.org, – International Water History Association –
  • – Sesto Giulio Frontino – R. H. Rodgers (translator) – De Aquaeductu Urbis Romae [On the water management of the city of Rome] – University of Vermont – 2003 –
  • – P. Fedeli – La natura violata. Ecologia e mondo romano – Palermo – 1990 –
    – Jérôme Carcopino – La vita quotidiana a Roma – Editori Laterza -1971 –

 

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