«Che cosa può essere un fatuo senza la sua presunzione? Se togliete le ali a una farfalla, non resta che un verme»
(Nicolas de Chamfort)
 
Nel 2014 è uscito per Laterza un libro molto interessante di Tony Judt, Novecento. Il secolo degli intellettuali e della politica, (Thinking the Twentieth Century) che ho letto con vero piacere, poiché condivideva idee che mi portavo dietro fin dai tempi del liceo.

Grande storico del Novecento, uscito postumo dopo la sua morte avvenuta a New York nel 2010 all’età di 62 anni, vittima di una terribile malattia degenerativa, la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Scritto assieme al collega di Yale Timothy Snyder, affronta il tema in modo compiuto del ventesimo secolo, definendolo, appunto, secolo degli intellettuali.
Nato a Londra nel 1948 da una famiglia di ebrei originari dell’Europa dell’Est, Judt si laureò a Cambridge e si perfezionò all’Ecole Normale di Parigi. È qui che ebbe modo di riflettere sui due opposti modi di concepire il ruolo dell’uomo di cultura: quello impersonato da Jean-Paul Sartre e l’altro da Raymond Aron. Fu quest’ultimo a influenzarlo, insieme a Camus. Sartre predicava la necessità per l’intellettuale di portare il suo specifico contributo alla Rivoluzione; dall’altra Aron richiamava all’etica della responsabilità, all’attenzione alle conseguenze pratiche delle idee. Per l’uno, l’intellettuale può prostituire la verità, se ciò serve ad un fine superiore di natura politica; per l’altro, egli deve sì interessarsi alle cose del mondo, ma portarvi un contributo di comprensione senza lasciarsi accecare dall’ideologia. Era un modo di concepire i propri compiti, quello di Aron, che era stato in verità di una sparuta minoranza nel Novecento, solo pochi intellettuali non hanno servito o non si sono resi complici degli opposti totalitarismi. Anche Norberto Bobbio, oggi facilmente dimenticato, già negli anni Cinquanta difendeva il ruolo pubblico dell’intellettuale in modo antitetico a quello che emergeva dalla figura dell’ «intellettuale organico» gramsciano, che tanta presa ebbe nel nostro Paese. Come dimenticare il memorabile viaggio in Cina degli intellettuali italiani, organizzato nel 1956 da Antonello Trombadori, in cui la maggior parte dei presenti manifestarono sconfinata ammirazione per il regime rivoluzionario? Uno dei più entusiasti fu Franco Fortini, pronto a isolare Bobbio che aveva manifestato delle perplessità. Non consideravano ciò che era in gioco, cioè l’autonomia della cultura, la sua libertà dal potere e la sua universalità umana. Cioè, proprio quei valori del liberalismo classico di cui gli intellettuali alla Sartre hanno fatto strame. Il tratto caratteristico dell’intellettuale liberale dei tempi passati, dell’«intellettuale freelance», era stato, secondo Judt, proprio quello di sostenere ogni sforzo volto a superare o a inserire in un contesto più ampio gli interessi particolari. Con la fine della parabola sartriana, secondo la profezia del sociologo americano Daniel Bell, la fine delle ideologie porta con sé una forma nuova di liberalismo, che fa dell’egoismo la virtù suprema, che ha finito per trionfare. Dunque, il progetto culturale neoliberista, nato nei campus statunitensi a metà degli anni Settanta, avrebbe poi dato il via, a partire dai governi di Reagan e della Thatcher, alla politica degli ultimi trent’anni. Nessuno realizzò più velocemente la possibilità dell’intellettuale di trasformarsi in un interessato consigliere del prìncipe(1).
Gli ex marxisti radicali, furono i primi neocon e i precursori degli intellettuali washingtoniani di oggi, che ottengono i loro stipendi da Fox News di Murdoch. Judt definisce questa generazione «schifosa» (pretty crappy), la consapevolezza di un persistente «tradimento dei chierici», dove gli intellettuali hanno giustificato tutto, dallo stalinismo alla guerra in Iraq, non ché del doppio fallimento del compromesso socialdemocratico e del liberalismo classico.
Anche da noi, gli esempi non mancano. Anzi, si può dire che la nostra «rivoluzione neoliberale», tra gli anni Ottanta e Novanta, abbia visto come protagonisti di prima fila molti ex marxisti di colpo convertitisi al liberismo e all’individualismo metodologico. Ma, ad un diverso livello, l’elenco potrebbe allungarsi a dismisura e si troverebbero i nomi di intellettuali ex marxisti diventati liberali che è come avessero semplicemente cambiato d’abito: ma l’idea, di avere la ricetta in tasca per ogni problema, e l’arroganza di essere sempre nel giusto, rimane in loro la stessa di prima.
Raymond Aron amico e compagno di scuola di Sartre ma antitetitetico nel pensiero, scrisse, fra i tanti, L’oppio degli intellettual un libro che si colloca tra il pamphlet e il saggio, di una straordinaria attualità, pur essendo stato scritto nel 1955. Nelle prime due parti del libro, Aron  prende di petto soprattutto i «miti» politici (sinistra, rivoluzione, proletariato) e quella forma di idolatria della storia attraverso cui i maîtres à penser «progressisti» (Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Maurice Merleau-Ponty…) di cui certa intellighenzia si è nutrita giustificando il totalitarismo sovietico e i suoi crimini. L’oppio degli intellettuali resta la critica più feroce e ficcante dell’intellettuale di sinistra: lo analizza, lo storicizza, lo racconta e lo demolisce. Non con l’invettiva, ma con il ragionamento e con gli strumenti storici, economici e sociologici, che Aron manovra con una destrezza eccezionale  

Nel libro di Judt, una domanda rimane però irrisolta: un intellettuale che non voglia chiudersi nella torre d’avorio dei propri studi, che cosa può concretamente fare per la società in cui vive? Forse già porre la domanda presuppone una fiducia troppo forte nel potere delle idee.

Ad un certo punto nel film Iron Lady, Margaret Thatcher interpretato dalla bravissima Meryl Streep, dice che il padre le ha insegnato che tutto parte dalla testa e che alle idee bisogna tutto sottomettere. E se fosse proprio questa la vera «presunzione fatale» che ci tocca allontanare dai nostri animi?
 
 
BIBLIOGRAFIA.

“Novecento. Il secolo degli intellettuali e della politica”

Tony Judt, Timothy Snyder

Traduttore: P. Marangon

Editore: Laterza

Collana: Economica Laterza

Anno edizione: 2014

Formato: Tascabile

Pagine: XV-413 p. , Brossura

 

“L’oppio degli intellettuali”

Raymond Aron

Editore: Lindau

Collana: Biblioteca

Anno edizione: 2008

Pagine: 425 p. , Brossura

 

 

NOTE.  (1) «Coloro è quali solamente per fortuna diventano, di privati, prìncipi, con poca fatica diventano, ma con assai si mantengono».
(Niccolò Machiavelli, Il Principe)

 

 

 

 

 

Carica ulteriori articoli correlati
Carica altro Riccardo Alberto Quattrini
Carica altro SAGGI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Controllate anche

«WOKE, LA GRANDE CANCELLAZIONE E LA GRANDE SOSTITUZIONE (II PARTE)»

L’ideologia woke vuole l’eliminazione di ciò che disapprova …