Nel ‘500 lo facevano addirittura di ferro. Il busto era uno strumento obbligato per l’eleganza delle signore, ma anche un mezzo di costrizione psicologica. Al punto che, come racconta Maria Giuseppina Muzzarelli, per molti diventò un feticcio del fascino femminile. Oggi è di nuovo in auge.

Sfogliando una rivista femminile o gettando uno sguardo alle vetrine di biancheria intima non sfugge il ritorno della voga dei corpetti, con o senza lacci, con o senza giarrettiere. Oggetti ricercati, guarniti di preziosi pizzi, o più economici “bustier” in tessuti chiari magari a fiorellini. Che li rendono adatti anche a giovanissime, propongono un gioco di seduzione a partire dall’enfasi del busto: ciò dopo una quarantina d’anni di letargia di questo capo.

 

   Sofia Loren ha rappresentato negli anni Sessanta, in forma ironica ma fino a un ceri punto, la scena della seduzione nei confronti di Marcello Mastroianni in “Ieri, oggi e domani” (1963), indossando una guêpière nera che le strizzava la vita ed esaltava il seno e il fondo schiena. Da allora sono passati più lustri, mentre ne sono passati meno dalla scomparsa degli ultimi negozi e laboratori di busti non d’uso ortopedico ma per signore eleganti e non sempre filiformi. In quei locali, provette bustaie con artistica bravura “aggiustavano” i corpi femminili ricorrendo a stecche, satin, elastici e pizzi (valenciennes per definizione). Qualche risultato riuscivano a ottenerlo e abiti a vita stretta e gonna a corolla diventavano alla portata anche di donne con fisici non proprio da mannequins.

Alla fine degli anni Sessanta, i busti, usati, amati ma anche discussi già da un po’, vennero assunti a simbolo dell’oppressione del corpo femminile e gettati metaforicamente al rogo. Finirono in quarantena – ma qualche capo avvolto nella carta velina è stato conservato avvedutamente da chi ne possedeva di belli e ben fatti – e ora tornano alla ribalta. Tutto come da copione: la moda, volta per definizione al futuro, saccheggia sistematicamente il passato, ne trae spunti, lo ripropone con modifiche, se ne appropria, lo cannibalizza. Questo succede da secoli e il fenomeno è noto a tutti nelle sue linee generali, ma meno per quanto riguarda singole fogge o capi. Capita così che si ritenga nuovo qualcosa che abbiamo. Semplicemente dimenticato

[stextbox id=’info’ mode=’undefined’ bwidth=’2′ bcolor=’ebdf0c’]

IL CORSETTO, UNA VOLTA ENTRATO IN USO, NON È PIÙ USCITO DAI COFANI E DAGLI ARMADI DELLE DONNE PER QUASI QUATTRO SECOLI ED AL SUO UTILIZZO SI SONO ACCOMPAGNATE NEL XIX SECOLO SIA CRITICHE CHE GIUSTIFICAZIONI DELL’USO DI UN OGGETTO CHE RICHIEDEVA UN SISTEMATICO ESERCIZIO ALLA COSTRUZIONE [/stextbox]

La moda nasce nelle città

La storia del corpetto inizia nel Trecento con la nascita della moda. La moda nasce allora quando, nelle città comunali, si diffuse il gusto dell’esibizione e dell’imitazione e fiorirono numerose le botteghe artigiane che producevano nuovi tessuti e inediti capi di abbigliamento. Non si trattava solo di un fenomeno legato al lusso (le corti erano da tempo, e continuarono ad essere, luoghi di esibizione del lusso) e limitato a poche persone. Nel Trecento i corpi di donne (ma anche di uomini) giovani vennero enfatizzati da corpetti corti e stretti. Per gli uomini si trattò dell’invenzione del farsetto, una sorta di protogiacca accompagnata da calze attillate e vistose, mentre per le donne la sottolineatura del busto avveniva tramite abiti aderenti come non s’era mai visto prima, scollati a disco e ovviamente lunghi fino a terra (le gambe delle donne, diversamente da quelle degli uomini, sono state sottratte alla vista fino al XX secolo avanzato). Fu così che questa parte del corpo femminile risultò ben sottolineata e se ne accorsero eccome i contemporanei che, scandalizzati, parlarono di “sformata mutazione d’abito” e di “stranianza d’abito non bello né onesto” (così scrive Giovanni Villani nella sua “Cronica). Su questi abiti attillati si indossavano sopra vesti ampie a limitare l’esibizione delle forme.

Nel corso del XV secolo cioppe o pellande alla moda nascosero il busto femminile spostando il punto di vista sotto il seno e affermando l’uso di abiti più casti che alludevano a perpetui stati di gravidanza. Alla fine del Cinquecento ebbe luogo un’altra significativa modificazione della silhouette femminile che recuperava l’esibizione del busto con l’adozione di corpetti attillati che finivano a punta all’altezza del bacino. L’iconografia testimonia questo uso destinato a durare, con varianti, per un paio di secoli o quasi.

Il busto aderente, anzi strizzato in vita, cominciò ad essere accostato a gonne molto ricche di tessuto e tenute lontane dal corpo da strutture sottostanti delle faldee, che le leggi suntuarie (norme che disciplinavano l’accesso a vesti ed ornamenti emanate da secondo Duecento fino alla fine del settecento) presero a limitar4 o a proibire dal XVI secolo.

Dunque nel Cinquecento nasce il vero e proprio busto che, associato a gonne gonfie, doveva dare al corpo femminile la tipica forma ad anfora, non senza sofferenze per le donne. L’effetto era infatti ottenuto grazie ad apposite strutture indossate sopra agli abiti: è giunto fino a noi (Museo Stibbert, Firenze) un esemplare in ferro della metà del XVI secolo simile a quello realizzato per Eleonora di Toledo nel 1549. Il busto, stretto in vita fino ad arrivare a ridottissime circonferenze, con grave sacrificio da parte delle donne, ha procurato modificazioni del corpo. Ovviamente l’uso di un busto non va automaticamente identificato con una pratica feticista giacché, come in tutte le cose, a distinguere la normalità dalla patologia è l’atteggiamento e la misura. L’epoca vittoriana è stata il periodo d’oro del feticismo del corsetto che, serviva a disciplinare la donna, a renderla docile e “femminile”.

A questa idea di femminilità le donne aderirono per secoli lottando per arrivare a un giro-vita davvero esiguo ottenuto con un lungo esercizio di progressive tensioni dei lacci. Nella mente di molti è presente l’immagine del film “Via col vento”, ricavato dall’omonimo romanzo di Margaret Mitchell del 1936, nella quale la

mamy nera stringe il busto di Rossella che si regge saldamente a una colonnina del letto per resistere alla manovra di tensione dei lacci. Ciò rientrava nelle pratiche preparatorie all’uscita pubblica di una giovane che voleva apparire seducente e alla moda.

La donna si libera dei lacci

 La moda ha continuato infatti ad esigere per secoli il corsetto che, se anche non fosse nato per essere connotato sessualmente, lo è comunque diventato attraverso una costruzione culturale di lungo periodo e a lungo ha continuato ad alimentare le fantasie maschili. Esso si è imposto anche nella moda popolare, come dimostra il fatto che molti costumi regionali femminili hanno il loro punto di forza in una sorta di cintura-busto che stringe ed enfatizza la vita, oltre a sostenere i seni. Il corsetto è diventato via via meno presente nella moda femminile tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Paul Poiret, padre dell’haute couture” insieme con Frederich Wort, è ricordato fra coloro che hanno liberato il corpo delle donne dalla morsa dei busti ma non è stato il solo a contrastare questa moda. La “Rational Dress Society” fondata in Inghilterra nel 1881, si è duramente opposta a quest’uso ed ha operato per introdurre un modo di vestire più confortevole e salutare. Movimenti critici nei confronti dei busti nel nome della libertà e dell’igiene del corpo nacquero in molte città negli anni Ottanta del XIX secolo in un’epoca nella quale il campo della moda non fu del tutto estraneo a rilevanti temi culturali e sociali quale fu, ad esempio, la questione femminile.

Oltre mezzo secolo dopo, opporsi al busto fu un modo per contribuire alla liberazione femminile e il foglio intitolato “La donna socialista”, che uscì a Bologna fra il 1905 e 1906, si occupò anche di questo artificio di bellezza che era al tempo stesso una sorta di strumento di tortura. Il medico che firmava la rubrica “Un consiglio alla settimana” criticò severamente l’”ambizioncella del figurino” che comportava molti pericoli (“gli spostamenti degli organi interni del tronco e del bacino, e la ostacolata funzione di essi, sono gli inconvenienti a cui dà costantemente luogo l’uso prolungato del busto troppo stretto, inconvenienti che molto spesso diventavano vere malattie serie, talvolta inguaribili”) e si era diffusa, a suo dire, persino nelle campagne. I capricci poco igienici della moda andavano lasciati alle signore della borghesia e alle dame dell’alta società che avrebbero potuto “portare busti alti e stretti con assai minor danno… data la poca o nessuna fatica richiesta dagli scarsi lavori ai quali esse pongon mano”.

Dopo Worth e Poiret fu Coco Chanel a imporre alla moda la liberazione del corpo femminile da molte se non tutte le costrizioni precedenti. Per Gabrielle Bonheur Chanel la vera eleganza non poteva prescindere dalla piena possibilità del libero movimento ma il New Look di metà anni Cinquanta avrebbe riportato in auge busti e crinoline. Alla fine degli anni Sessanta del Novecento le rivendicazioni femminili e femministe segnarono la crisi del busto. Oggi, dopo la conquistata liberazione del corpo femminile da imposizioni maschili, il mito del “vitino di vespa” – almeno dalle nostre parti e almeno in teoria – non è del tutto assente. Si registra proprio ai nostri giorni il record mondiale per il girovita, del quale è detentrice tal Cathie Jung, titolare di un “vitino” di 38,1 centimetri: il tema è oggetto di considerazioni on line su un apposito forum.

Sta di fatto che sono tornati attuali corsetti, oggi definiti bustier, che molte giovani donne si accingono ad indossare ignare della storia di questo seducente capo adottato qualche anno fa da Madonna in una versione pensata per lei da Jean Paul Gautier, che a sua volta ha scelto per il suo profumo una bottiglia a forma di busto femminile stretto in un corsetto.

Il piacere del feticcio

Il corsetto, una volta entrato in uso, non è più uscito dai cofani e dagli armadi delle donne per quasi quattro secoli ed al suo utilizzo si sono accompagnate nel XIX secolo sia critiche che giustificazioni dell’uso di un oggetto che richiedeva un sistematico esercizio alla costruzione. Il corsetto modella, disciplina, evoca piacere e lo rappresenta per i feticisti. Si intende per feticismo una forma di eccitazione sessuale legata a determinati oggetti definiti appunto “feticci”, ricorrendo a un termine, derivato dalla lingua portoghese, che allude ai simboli venerati dalle popolazioni primitive con le quali i mercanti di schiavi entrarono in contatto nel XVIII secolo. I piedi e il busto sono stati nei secoli e in diverse aree, tanto in Occidente come in Oriente, amati dai feticisti che associano l’idea del piacere a certe zone del corpo o a determinati articoli di abbigliamento, fino al punto di fare del feticcio stesso l’oggetto del desiderio sessuale, c’è che ritiene che il feticismo sia sempre esistito e che chi invece colloca lo sviluppo del fenomeno nella moderna società occidentale. In molte culture si praticano interventi di modificazione del corpo per motivi feticistici. Tra i casi più conosciuti vi è quello della fasciatura dei piedi delle bambine cinesi nel nome del culto per il “loto d’oro” un piede che non misurasse più di 8 centimetri.

 

BIBLIOGRAFIA

Breve storia della moda Italiana”. M. G. Muzzarelli, Bologna 2001

“Fetish. Moda, sesso e potere”. V Steele, Roma 2005

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Controllate anche

«FUGA DI UN FIGLIO DEL WEF»

La ribellione inattesa di un erede dell'élite globale …