Esattamente cent’anni fa una singola azione ne determinò altre come nel gioco del domino

L’attentato di Sarajevo in un’illustrazione di Achille Beltrame per La Domenica del Corriere

LA SCINTILLA CHE SCATENÒ LA GRANDE GUERRA

Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza… 


Alan Turing, in un suo saggio: Macchine calcolatrici ed intelligenza del 1950, anticipava questo concetto.

Esattamente cent’anni fa una singola azione ne determinò altre come nel gioco del domino, ciò accadde il 28 giugno 1914 a Sarajevo, quando un giovane di nome Gavrilo Princip sparò due colpi di pistola uccidendo l’erede al trono imperiale austriaco, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia, scatenando il primo conflitto mondiale.

Di Gavrilo Princip si è sempre saputo molto poco, ora con l’uscita del libro di David James Smith, autore di Una mattina a Sarajevo. 28 giugno 1914 la figura di questo giovane è più chiara. Nato nel luglio del 1894 in Bosnia, quindi poco più che ventenne quando, dopo aver camminato per più di 300 chilometri e attraversato montagne e valichi, giunse a Sarajevo, con il suo pesante carico di fucili e bombe, con il fondamentale aiuto di altre due persone, che era dunque riuscito a portare da Belgrado.

La terra da cui proveniva all’epoca era amministrata dall’Austria Ungheria ma soggetto alla sovranità formale della Sublime Porta, termine che designava il governo dell’Impero ottomano, in particolare l’ufficio del gran visir e delle relazioni con l’estero. Il nome si mantenne nelle cancellerie europee fino alla caduta dell’Impero e all’abolizione del sultanato (1922). Gavrilo era il sesto di nove fratelli, uno dei soli tre che sopravvissero all’infanzia, infanzia all’insegna della povertà e dalle precarie condizioni di salute dove si ammalò di tubercolosi.

Dunque senza un soldo, sfinito, solo spinto da un desiderio che il movimento ultra-nazionalista serbo in cui militò nel 1912, abbandonando la scuola, lo aveva indottrinato, esaltato e pronto a tutto. Così, senza un piano preciso, giunse a Sarajevo.

Non ancora ventenne, lo si potrebbe definire, per molti versi, un giovane semplice e ingenuo che per nulla si preoccupò di celare le proprie tracce, necessarie per evitare le inevitabili indagini della polizia, che non avrebbe avuto difficoltà a rintracciarlo, in considerazione che per legge, tutti i forestieri che giungevano a Sarajevo avevano l’obbligo di segnalarne il loro domicilio. Probabilmente ci aveva pensato, ma le aveva ritenute marginali visto che intendeva uccidersi in ogni caso, sperando così di diventare un martire della Serbia, un assassino suicida. Quindi si recò dall’amico Danilo Ilić un serbo-bosniaco nato in Bosnia nel 1891 che viveva con la madre, una lavandaia di nome Stoja. Nel 1913 si era trasferito a Belgrado dove era diventato giornalista e membro della Mano Nera una società segreta. Fu lui, dunque, a reclutare oltre a Gavrilo Princip, Nedelijko Ciabrinovic, Vaso Cubrilovic, Trifco Grabez, Muhamed Mehmedbasic e Cvietko Popovićper assassinare l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria.

La mattina del 28 giugno Ilić e Princip uscirono per incontrare i loro compagni cospiratori e per occupare i posti, ritenuti strategici, lungo la strada dove il corteo sarebbe transitato. Non sapevano che la polizia era già sulle loro tracce. Aveva fotografato la valigia oramai vuota, così la stanza e la casa dove aveva alloggiato ospite dell’amico, immortalandola per i posteri.

Furono il caso e il fato, e una straordinaria serie di circostanze che portarono l’arciduca e la sua consorte a transitare davanti a Gavrilo come due piccioni, una metafora che in altre circostanze un cacciatore accanito come l’arciduca avrebbe di certo apprezzato, ma anche l’approssimazione della congiura e le vite che essa distrusse da quella giornata.

Lungo il fiume Appel all’altezza del Ponte Latino, Francesco Ferdinando decise di cancellare il programma stabilito che prevedeva l’attraversamento dei tortuosi vicoli in direzione del museo, ma non volle neppure ripercorrere la strada fatta in precedenza, così, dopo una sosta al municipio per i ricevimenti e i discorsi di benvenuto. Uscito dal municipio il corteo proseguì la visita. L’autista della vettura in testa però non fu informato o non capì, e lasciò il lungofiume come da programma, inoltrandosi in una stradina laterale verso il museo, tirandosi dietro il resto delle auto. Gli venne gridato di tornare indietro e l’autista si fermò studiando il modo migliore per girare, ma probabilmente l’auto rimase bloccata posteriormente dal resto del corteo, che ora era fermo. Tutto ciò accadde a pochissimi metri da Princip, il quale circondato dalla folla colse al volo l’occasione, prese la bomba ma non aveva spazio per alzare il braccio, così estrasse la pistola, si avvicinò all’automobile dell’arciduca, e sparò due colpi a bruciapelo: uno colpì l’arciduca alla giugulare, l’altro la duchessa all’addome. Princip si puntò la pistola addosso ma fu fermato da un passante, che gli si buttò addosso impedendogli di spararsi. In quel momento regnava il caos: alcuni scambiarono i colpi di pistola per il ritorno di fiamma delle automobili (un fenomeno molto comune in quei primi modelli) mentre parte della folla e i poliziotti si scontrarono per catturare il giovane assassino. Princip inghiottì il cianuro, ma essendo scaduto, provocò solo un attacco di vomito, la folla iniziò a pestarlo e forse avrebbe finito per linciarlo se la polizia non fosse riuscita a strapparlo dalle loro mani. Nel parapiglia Princip lasciò cadere la bomba e solo l’arrivo di altri poliziotti riuscì a disperdere la folla e arrestare il giovane attentatore.

Nel frattempo l’automobile con a bordo i reali corse in cerca di aiuto; «Sofia cara! Sofia cara! Non morire! Vivi per i nostri figli!» urlava Francesco Ferdinando, con la moglie che rispose debolmente: «Non è niente», mentre gli aiutanti cercavano in ogni modo di fare qualcosa. L’auto si diresse alla residenza del governatore che distava solo pochi minuti. I due erano stati colpiti alle 10:30 del mattino: Sofia morì intorno alle 10:45, Francesco Ferdinando intorno alle 11:00.

Con la dichiarazione di guerra dell’Impero austro-ungarico al Regno di Serbia. il 28 luglio 1914 ebbe inizio il conflitto in seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo.

I due blocchi belligeranti videro da una parte gli Imperi centrali: Germania, Austria, Ungheria, Impero ottomano e la Bulgaria ma solo dal 1915, dall’altra le potenze Alleate: Francia, Regno Unito, Impero russo e Italia anch’essa. La mobilitazione contò 70 milioni di uomini reclutati in tutto il mondo. All’inizio del conflitto ci fu l’invasione austro-ungarica della Serbia e la fulminea avanzata dell’esercito tedesco in Belgio, Lussemburgo e nel nord della Francia, dove giunse a 40 chilometri da Parigi. La sconfitta sulla Marna nel settembre 1914 congelò le speranze della Germania di una guerra breve e vittoriosa, che invece degenerò in una logorante guerra di trincea, speculare in tutti i fronti perdurando fino al termine del conflitto.

La guerra si concluse definitivamente l’11 novembre 1918 quando la Germania, ultimo degli Imperi centrali depose le armi e firmò l’armistizio imposto dagli Alleati. I maggiori imperi esistenti al mondo – tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo – si estinsero, generando diversi stati nazionali che ridisegnarono completamente la geografia politica dell’Europa.

Una volta arrestato, Gavrilo Princip, come già aveva pensato, tentò di suicidarsi ingerendo del cianuro, la seconda volta sparandosi. Nessuno dei due tentativi andò a buon fine: nel primo caso vomitò il veleno, mentre nel secondo caso la pistola venne allontanata prima che potesse sparare. La giovane età non permetteva, secondo la legge, la condanna a morte, così gli diedero vent’anni di prigione. Ne trascorre solamente quattro nella prigione di Terezín, dopodiché morì di tubercolosi. Era il 28 aprile del 1918 aveva 23 anni.

Cosa determinò quella singola azione nel contesto storico?

Militari morti: 9.912.000. Militari feriti: 21.380.000. Militari dispersi: 7.750.000. Civili morti: 6.740.000. Perdite effettive: 24.402.000.

Pertanto, senza scomodare la III legge della dinamica dove stabilisce che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, riflettiamo sempre, prima di compierla.

Riccardo Alberto Quattrini

Bibliografia:

 

 

 

Descrizione

“Tutti sanno che la miccia che fece esplodere il primo conflitto mondiale fu l’attentato di Gavrilo Princip, in una mattina simile a tante altre, a Sarajevo nel giugno 1914. Nessuno conosce però la storia di questo ragazzo, invasato e determinato, che in nome dell’indipendenza serba decise di uccidere l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, e sua moglie. Questo libro di David James Smith racconta l’incredibile e inimmaginabile storia della vita di Princip con delicatezza unita a rigore scientifico sorretti da un folgorante passo narrativo che a tratti sconfina in quello proprio del thriller. L’autore si muove con leggerezza nell’ambito del grande reportage senza rinunciare a soffermarsi sui particolari inediti più minuti, ricostruisce il contesto familiare e sociale di provenienza di Princip, i tratti salienti del suo carattere, le sue timidezze, gli amori, il modo in cui fu usato e abusato, fino a ricordare ciò che hanno pagato i suoi familiari e i suoi amici, per la sola colpa di essergli parenti o di averlo conosciuto. La vicenda dell’uomo che con due spari ha generato la più grande carneficina della storia umana.” (Roberto Saviano)

 

 

 

 

 

Descrizione

Nel 1943, mentre lavorava sui codici segreti militari nel famoso laboratorio di Bletchley Park, Alan Turing confessò a un collaboratore la sua ambizione di voler «costruire un cervello». La storia del sogno di Turing – che non costruì un cervello, ma riuscì ad avviare il progetto del primo calcolatore elettronico inglese – è la storia stessa della nascita dell’informatica e dello sviluppo delle idee sull’intelligenza artificiale: gli scritti qui proposti, elaborati da Turing in rapida successione tra il 1945 e il 1950, ne sono una parte fondamentale. I primi due articoli sono di carattere essenzialmente pratico, e mostrano la preoccupazione di Turing – che non era certo un teorico visionario – di fornire solide basi ingegneristiche alle sue teorie. Seguono poi due famosi scritti ( Macchine intelligenti e Macchine calcolatrici e intelligenza ) in cui Turing comincia davvero a parlare di «cervelli artificiali», introducendo tra l’altro il suo famoso test (che lui però considera un semplice «gioco di imitazione»). Nasce così, settanta anni fa, l’intelligenza artificiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Featured image, A. Beltrame – “L’assassino a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie”.

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