Ulisse il personaggio forse più avvincente e suggestivo dell’Occidente
ULISSE L’OCCIDENTALE OVVERO L’ANTESIGNANO DEL VIAGGIARE
”Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, o chi fino alla Colchide si è spinto, Giasone, che poi tornando esperto e ricco di ragione il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari! J.Du Bellay -Les regrets
Ulisse il personaggio forse più avvincente e suggestivo dell’Occidente, la figura che ha letteralmente afferrato l’immaginario occidentale sino a plasmarne le fondamenta culturali è inafferrabile. Eroe dal multiforme ingegno, Ulisse
continua ad affascinarci proprio per questo. Dall’isola di Calipso a quella dei Feaci, dall’accecamento di Polifemo al canto delle Sirene, dai sortilegi di Circe alla discesa nell’Ade, al drammatico incontro con i mostri Scilla e Cariddi, per giungere alla strage dei Proci e al riconoscimento finale con Penelope. Il modo in cui Ulisse è stato accolto, letto, interpretato nel corso delle epoche e nelle parti più lontane del globo, ben oltre le Colonne d’Ercole. La sua figura, il suo ritratto nell’interpretazione offerta dall’arte e dalla letteratura, assume caratteri insospettati, si arricchisce e si complica. Ulisse è l’antesignano di tutti gli esploratori, l’eroe della conoscenza, come Dante lo descrive e lo canta, ha d’altronde sempre ossessionato tutti coloro che si sono trovati a leggerlo, a studiarlo, a comprendere la sua figura.
Il fascino della figura di Ulisse lo si ammira nel suo viaggiare e nel suo esplorare terre nuove. La conoscenza per Ulisse è fondamentale, è sì costretto a viaggiare errabondo sul mare dall’ira di Poseidone, ma non rifiuta mai di fare esperienza del nuovo che gli si palesa, in un divenire continuo, durante i suoi viaggi. Così all’arrivo nell’isola dei Ciclopi, mentre i compagni lo esortano a ripartire, Odisseo(1) vuole scoprire chi vi abita, e più tardi vuole ascoltare il canto delle Sirene. Odisseo è curioso, se pur paziente, accorto e consapevole dei rischi del viaggiare. Ulisse, dunque, è l’antesignano degli esploratori moderni, quelli del Rinascimento e poi dell’Ottocento e del Novecento. Ulisse un precursore di Cristoforo Colombo. Amerigo Vespucci pensa a Ulisse quando percorre le acque dell’Oceano, e più tardi lo farà anche lo spagnolo Pedro Sarmiento de Gamboa, egli, avendo studiato, sostiene che Ulisse, dopo aver fondato Lisbona (Ulixabona), abbia attraversato l’Atlantico e fondato la Nuova Spagna. Anche Alfred Tennyson, celebre poeta inglese dell’età vittoriana, gli dedicherà una lode:
[…] Non posso fare a meno di viaggiare: berrò
Ogni goccia della vita: tutto il tempo ho assaporato
Molto, molto ho sofferto, sia con coloro
Che mi amavano, che solo, sulla riva, e quando
Con tumultuose correnti le piovose Iadi
Agitavano l’oscuro mare: io son diventato un nome;
Per aver sempre vagato con cuore affamato
Molto vidi e conobbi; città d’uomini
E costumi, climi, consigli, governi,
E non di meno me stesso, ma onorato da tutti;
E assaporai il piacere della battaglia coi miei pari,
Lontano sulle risonanti pianure della ventosa Troia.[…]
Anche altri esploratori inglesi come Ernest Shackleton quando percorrono faticosamente l’Antartide al seguito di Robert Scott, penseranno a quell’Ulisse come loro precursore. Ecco, questo Ulisse, quello di Dante e di Tennyson, e anche quello di Joseph Conrad con Cuore di tenebra (Heart of Darkness), e l’“Ulisse” di James Joyce dove narra le vicissitudini di un uomo moderno – non il destino di un eroe – alle prese con i problemi della quotidianità. Anche i personaggi ricordano quelli dell’Odissea. C’è Stephen che assomiglia alla figura di Telemaco, il figlio di Ulisse, Leopold Bloom agente pubblicitario di origini ebree che girovaga per la città di Dublino, proprio come il leggendario Ulisse vagava per il Mediterraneo, e Molly che ci riporta alla figura di Penelope. Si passa così dall’eroe greco antico, coraggioso e mai domo, a quella dell’eroe moderno, prevalentemente un inetto con il suo Io frammentato, confuso, debole ed irrisolto. È il modello occidentale di uomo: l’uomo che vuole conoscere il mondo. Non conquistarlo e colonizzarlo, compiti ai quali provvedono, in ambito mitico, piuttosto Enea, e persino Giosuè alla conquista della Terra Promessa. Oggi che la terra è stata scoperta, circumnavigata, percorsa, occupata in tutta la sua rotondità, oggi che non resta quasi più un lembo da perlustrare, mentre il pianeta appare sempre più un astro trasparente.
Ma Odisseo non vuole girovagare per mari aperti, naviga di porto in porto, è un susseguirsi di approdi temporanei, giusto un attimo per inorgoglirsi del risultato conseguito, per poi precipitare subito nel nuovo abisso di ignoranza che gli si spalanca sotto i piedi. Sogna solo il momento in cui la sua nave approderà nel piccolo porto di Itaca. Ulisse, dunque, è un navigatore forzato, un paziente costruttore di conoscenza legato agli affetti familiari: Eumeo, il porcaro del suo palazzo, il cane Argo, la vecchia nutrice Euriclea, il figlio Telemaco, la moglie Penelope, il padre Laerte (da giovane era stato uno degli Argonauti, i primi navigatori al mondo).
Alla fine dell’Odissea, le scene di riconoscimento avvalorano che la patria a cui Odisseo vuole tornare, sono soprattutto i corpi dei suoi cari: vuole sentire il vecchio cane strofinarsi alle sue gambe, rivedere Laerte prima che muoia, stringere fra le braccia il corpo adulto di Telemaco, l’incontro più significativo con la sua sposa, quando, accarezzandole le rughe che ormai attraversano il viso di Penelope, termina di raccontare come abbia egli stesso costruito il loro letto dall’ulivo, Penelope allora gli getta le braccia al collo e gli bacia il capo, suscitando in lui la voglia di piangere. «Piangeva stringendo la sposa diletta, accorta», dice Omero. Nei sei versi che seguono c’è tutta la similitudine di come appaia gradita la terra a chi fa naufragio e scampa ad esso nuotando ma, tutto incrostato di salsedine, tocca la riva con gioia. Il parallelismo non si riferisce solo a Odisseo perché piangeva stringendo la sposa, ma descrive l’esperienza di lui che lo ha visto sopravvivere al disastro in mare per ben tre volte, e in una, mostrarsi davanti a Nausicaa cosparso di sale, e Nausicaa dalle bianche braccia accogliere con garbo e cortesia lo sconosciuto che invoca la sua misericordia.
«Così le era caro lo sposo, guardandolo», conclude con questi versi Omero. Parla dunque di lei, Penelope, tramite la storia e le immagini di lui. Penelope e Odisseo, dunque, diventano di nuovo una cosa sola, una sola carne. Il rapporto carnale con Itaca è anche il prototipo del turista con i suoi viaggi in terra straniera, il suo allontanamento temporaneo da sé per far ritorno a sé, un passaggio all’ignoto per far ritorno al noto, al famigliare presso i suoi.
Questo vale anche là dove sembra perdersi e non tornare. Itaca resta sempre nel suo orizzonte, insieme alla patria e al mito della patria. Ulisse è in realtà modernamente consapevole dei propri limiti, fiero delle sue rughe e del suo invecchiare, lontano dall’atteggiamento edonistico del turista odierno. Non a caso rifiuta l’offerta di immortalità con cui lo tenta Calipso. «Non voglio l’eterna giovinezza, cibarmi per sempre di ambrosia e di miele». Egli è ben consapevole dei propri limiti e cosciente della condizione di estrema fragilità umana.
L’Odissea è un racconto di fantasia, ma sicuramente è stata ispirata da tanti paurosi e stravaganti racconti di marinai dell’antichità al ritorno dalle loro esplorazioni dell’allora sconosciuto Mare Mediterraneo. Lo scrittore Omero raccontò le tante successive avventure di Ulisse che navigava in giro per il Mediterraneo inesplorato. Omero inventa nomi nuovi per i luoghi dei suoi racconti e per gli storici è stato un lieto passatempo sin dai tempi dell’antica Grecia e Roma, cercare di individuare i veri luoghi descritti nell’Odissea. C’è anche sempre stata un’accesa concorrenza da varie località turistiche che rivendicavano paternità per i luoghi visitati da Ulisse. Comunque c’è una certa concordia riguardo a vari episodi dell’Odissea che si individuano in località situate in Sicilia, nella costa sud-ovest dell’Italia e in Sardegna. In tempi antichi si trattava per i greci, di zone inesplorate del Mediterraneo e quindi ideali per l’ambientazione di un racconto avventuroso.
NOTE
(1) – L’etimologia del nome “Odisseo” è ignota. Lo stesso Omero cerca di spiegarla nel libro XIX connettendola al verbo greco “ὀδύσσομαι”, il cui significato è “essere odiato”. Odisseo, quindi, sarebbe “colui che odia” (in questo caso i Proci, che approfittano della sua assenza per regnare su Itaca) oppure “colui che è odiato” (in questo caso da tutti coloro che ostacolano il suo ritorno a Itaca).
BIBLIOGRAFIA
Odissea. I viaggi di Ulisse – Omero – Curatore: Clementina Coppini. Editore: Dami Editore.
Il grande racconto di Ulisse – Piero Boitani Editore: Il Mulino. (2016) pg. 668.