” Amo il tradimento, ma odio il traditore.

 Giulio Cesare

L’espressione “voltagabbana” deriva dal nome con cui era chiamato il soprabito largo e lungo, senza cintura, spesso con cappuccio e a volte foderato di pelliccia, che in passato era indossato principalmente dai militari, ma anche per lavoro da operai e contadini: la gabbana appunto, derivazione di gabbano. Utilizzato anche nel Medioevo per proteggersi dal freddo e dalla pioggia, la gabbana poteva essere rivoltata ed indossata anche al rovescio, motivo per cui i militari che disertavano l’esercito, utilizzavano questo stratagemma per non essere riconosciuti durante la fuga e per essere scambiati per cittadini comuni. Nel Medioevo aveva già un significato politico specialmente nella Francia: dalla Rivoluzione Francese e il Direttorio e il Consolato e l’Impero e la Restaurazione, nessun Paese al mondo ha avuto un patrimonio altrettanto cospicuo e fastoso di girouettes (banderuola). Il termine ci giunge dalla Francia dove vi è un Esemplare Supremo, l’uomo che Napoleone definiva «une merde dans un bas de soie» (una merda dentro una calza di seta). Parliamo di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord(1): prima sacerdote  e vescovo di Autun, poi deputato agli Stati Generali e difensore del Clero, poi rivoluzionario nonché nemico del Clero e in quanto tale scomunicato dal Papa, poi servo di Napoleone e sostenitore del ritorno dei Borboni e sostenitore degli Orléans. Grazie a tutto ciò morto nel suo letto a ottantaquattro anni, più ricco di quel che fosse mai stato e di nuovo devoto al Papa. Ossia in odore di santità. 

Napoleone non fu da meno. Da giovane venerava Marat e Robespierre, «Ecco i miei dei», diceva e, dopo un simile debutto, si fece imperatore. Da imperatore si mise a distribuire troni e principati ai fratelli, alle sorelle, agli amici. Se c’è un Paese che ha imparato a puntino la lezione francese, questa è proprio l’Italia. Il voltagabbanismo ebbe inizio tra il 1799 e il 1814 quando i sindaci toscani saltavano dal granduca Ferdinando d’Asburgo-Lorena a Napoleone, da Napoleone di nuovo al granduca, dal granduca di nuovo a Napoleone. C’è una poesia satirica di Giuseppe Giusti “Brindisi di Girella” con la quale nel 1848 il poeta schiaffeggiò i nostri più modesti esemplari.

Ciò introdusse nel vocabolario la parola «girella», versione toscana del termine girouette, voltagabbana. 

Dunque, voltagabbana si dice per indicare, con una connotazione negativa, qualcuno che cambia spesso e con leggerezza opinione o atteggiamento, per ottenere vantaggi personali.

Anche nell’antichità non mancarono queste figure negative.

Il nome di Giuda, molto usato nel Medioevo, in ebraico significa “lodato”: paradossale, per l’uomo divenuto simbolo dell’infamia. Peraltro su di lui i Vangeli sono parchi di notizie. Giovanni scrive che “era figlio di Simone” (Gv 6:71) e che tra i dodici svolgeva non troppo onestamente il suo ruolo di tesoriere (Gv 12:6). Non aggiunge altro. Eppure la sua vicenda nel Medioevo ha avuto un successo travolgente ed è stata raffigurata centinaia di volte. 

Giotto. Bacio di Giuda. Cappella degli Scrovegni, Padova

Una delle rappresentazioni più famose probabilmente è quella fatta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, all’inizio del ‘300. Ma non è l’unica: è in buona compagnia con il Ciclo della passione di Lorenzetti ad Assisi o con il Bacio di Giuda di Cimabue e di Beato Angelico. Il perché di questo profferire di immagini è chiaro: il richiamo a Giuda aveva un valore simbolico enorme in un’epoca dominata dagli eretici. Ma non erano loro gli unici destinatari del messaggio morale legato a Giuda: il suo nome tornava per connotare i nemici della fede, gli infedeli: ottomani o saraceni, genericamente islamici. Non è un caso se nel Canto XVIII dell’inferno Dante descrive Maometto squarciato e storpiato proprio come Giuda viene rappresentato negli Atti degli Apostoli. È sempre Dante, fiorentino come Giotto e Lorenzetti a inchiodare Giuda nel ruolo del traditore per antonomasia. Nel cuore del Medioevo compone la Commedia, – divenuta “Divina” quando, 70 anni dopo, Giovanni Boccaccio usò quell’aggettivo nel Trattatello in laude di Dante -, e infila Giuda nella bocca centrale di Lucifero, accanto a Bruto e Cassio.

Bruto, uccisione di Cesare.

Talleyrand una volta disse: “Il tradimento è una questione di date”. Non aveva torto. Più volte nel corso dei secoli, chi in un epoca è stato considerato traditore, con le generazioni successive è diventato un eroe. Fu così per gli oppositori ai totalitarismi del Novecento. O, riavvolgendo il film della Storia, per gli irredentisti come Cesare Battisti o i tirannicidi come Bruto e Cassio.

La carrellata è assai lunga.

Ci fu Arminio in tedesco Hermann (17 a.C.-19 d.C.) che, prima di diventare l’eroe dei Germani contro i Romani, aveva servito nell’esercito romano di stanza in Germania, diventando luogotenente della cavalleria ausiliaria ottenendo anche la cittadinanza. Quando nell’anno 9 d.C. a Teutoburgo l’esercito romano, guidato da Publio Quintilio Varo si scontrò con coalizione di tribù germaniche comandate da Arminio divenuto capo dei Cherusci. La battaglia ebbe luogo nei pressi dell’odierna località di Kalkriese nella Bassa Sassonia, e si risolse in una della più gravi disfatte subite dai Romani: tre intere legioni (la XVII, la XVIII e la XIX) furono annientate, oltre a 6 coorti di fanteria e 3 ali di cavalleria ausiliaria. Per riscattare l’onore dell’esercito sconfitto, i Romani diedero inizio a una guerra durata sette anni, al termine della quale rinunciarono a ogni ulteriore tentativo di conquista della Germania. Il Reno, pertanto, si consolidò come definitivo confine nord-orientale dell’Impero per i successivi 400 anni.

Marco Giunio Bruto.

Nella storiografia e nella letteratura Marco Giulio Bruto (85-42 a.C.) è il simbolo romano del tradimento. Ordì lui la congiura che portò all’assassinio di Giulio Cesare nel 44 a.C., suo padrino politico, al punto da essere definito “figlio” da Cesare morente “Tu quoque Brtute fili mi”. Bruto si era già schierato contro Cesare, combattendo al fianco di Pompeo. Ma poi si era riconciliato con il dittatore e questi lo aveva favorito. Tuttavia, nelle fonti antiche, l’etichetta di traditore si alterna a quella di salvatore della patria: lui e i congiurati, ribellandosi al progetto assolutista di Cesare, volevano difendere le tradizioni repubblicane. Dagli storici più fedeli agli antichi valori dell’Urbe, infatti fu considerato un eroe.

Le famiglie rinascimentali sono una miniera per gli appassionati di congiure. Un caso per tutti fu quel Lorenzino de’ Medici (1514-1548), che si guadagnò il soprannome di Lorenzaccio per aver assassinato il cugino, duca Alessandro e signore di Firenze. Il tradimento ebbe una gran risonanza in quanto i due, oltre che parenti, erano stati compagni di balordi. Dopo l’assassinio, motivate da questioni politiche ed ereditarie, premeditato ed eseguito insieme a un sicario, Lorenzino fuggì da Firenze e si rifugiò nella nemica Venezia, dove morì. Ma nella sua patria non tutti lo biasimarono: come Bruto, fu considerato un tirannicida da molti.

Galeazzo Ciano.

 

Aveva sposato la figlia del duce, Edda Mussolini, e ne pagò il prezzo. Soprattutto dopo il 25 luglio 1943, quando Galeazzo Ciano (1903-1944) votò l’ordine del giorno che portò alla caduta del suocero. Da quel momento Mussolini, arrestato ma poi liberato dai tedeschi, lo mise in cima alla lista dei traditori. Dopo l’8 settembre Ciano fu “scaricato” dal nuovo governo Badoglio e con la nascita della Repubblica sociale la sua situazione precipitò. Il genero del duce cercò protezione in Vaticano, poi fuggì in Germania. Ma erano i tedeschi a volerlo morto: il suo doppio tradimento (della famiglia e del partito) andava punito in modo esemplare. A Monaco di Baviera Ciano fu arrestato ed estradato in Italia. A Verona fu condannato per alto tradimento e fucilato, era l’11 gennaio 1944.

I coniugi Rosenberg.

Essere ebrei e comunisti nell’America degli Anni ’50 significava essere immediatamente sospettati di spionaggio. Successe ai coniugi Rosenberg Julius (1918-1953) ed Ethel (1919-1953), figli di immigrati ebrei a New York. In piena Guerra fredda i Rosenberg divennero il simbolo del maccartismo, la campagna anticomunista del senatore Joseph McCarthy. Accusati di essere spie sovietiche, dopo un processo che divise l’opinione pubblica finirono sulla sedia elettrica nel 1953. Anche se Julius pare avesse avuto contatti con lo spionaggio sovietico, i due furono dipinti come martiri, vittime del maccartismo, e furono difesi da intellettuali di tutto il mondo.

 

Whittaker Chambers.

Scrittore e giornalista americano, Whittaker Chambers (1901-1961), in gioventù aveva aderito al Partito comunista degli Stati Uniti, fondato nel 1919. Fedele alla causa dell’Unione Sovietica, divenne negli anni ’20 e ’30, una spia sovietica. Ma poi tradì la causa socialista e passò dall’altra parte. Nel 1948 nel processo contro Alger Hiss, un diplomatico statunitense accusato di essere a sua volta un comunista e una spia, divenne il testimone chiave per inchiodarlo. La testimonianza di Whittaker, ormai accanito anticomunista, si rivelò decisiva per dimostrare che Hiss aveva giurato il falso. Fino alla fine della sua vita l’ex spia Chambers sostenne le battaglie americane anticomuniste.

Sebastiano Ricci. Il rapimento di Elena.

Dunque, ciò significa che, su un piano storico, non è possibile stabilire chi tradisce? La questione è spinosa e antica. Lo conferma il fatto che nei secoli si è provato più volte a stabilire per legge che cosa costituisse reato di tradimento o lesa maestà. E sempre, al di là del piano giuridico, si è posta la questione morale. Un aspetto sul quale anche la letteratura ha detto la sua. Sono nati così personaggi che hanno il nome di Jago (che trama alle spalle di Otello), Macbeth (assassino del legittimo re), Madame Bovary e Anna Karenina (fedifraghe). Per non parlare dell’amante seriale Don Giovanni o della greca Elena, il cui rapimento-tradimento d’amore scatenò addirittura la guerra di Troia.

 

Il tradimento politico e quello morale, nell’antichità era quello che destava più scandalo. Tradire la polis era un gesto tanto frequente quanto vituperato: la città andava infatti difesa e chi si accordava col nemico era considerato moralmente responsabile. Altrettanto grave era tradire l’amicizia o l’ospite, meno grave tradire la moglie. La quale però non poteva permettersi di tradire il marito.

Qui di seguito le pene che infliggevano ai voltagabbana. 

La pena più severa – la morte – era però riservata a chi tradiva la patria. Sì, perché non c’era peggior colpa che tradire, le pene pertanto dovevano essere crudeli ed esemplari che servissero da monito a tutti. Il tradimento infatti può costare molto caro a uno Stato o a una comunità. Per questa ragione ogni civiltà ha riservato a chi lo commette le punizioni peggiori, prima fra tutte la morte, data nei modi più diversi. Già nell’antico Egitto esisteva il reato di “alleanza con il nemico” che costava la vita, così come ad Atene. Nella Grecia del V secolo a.C. chi non rispettava i valori della democrazia era invece punito con l’ostracismo, l’esilio decennale. Anche per gli adulteri le pene erano dure; sempre nell’antica Grecia le donne che si macchiavano di questo reato venivano umiliate con la violenza anale praticata con ortaggi mentre i loro amanti rischiavano di essere uccisi. Nemmeno i Romani erano teneri con i voltagabbana: per piccoli tradimenti i condannati venivano solo torturati, ma per tutti gli altri c’era la morte. I traditori della res publica dovevano essere gettati vivi dalla Rupe Tarpea, oppure incorrevano nella decapitazione o nella pena dell’arbor infeix. Parente della crocifissione, questo rituale di morte era destinato ai traditori che si erano macchiati di reati contro Roma, essi finivano legati a un albero e fustigati allo sfinimento, prima di essere abbandonati a loro stessi: morivano dopo una lunga agonia. Una delle punizioni più frequenti nell’Urbe era però la fustigazione a morte, riservata ai figli venuti meno ai princìpi della civitas. Le vestali che tradivano la castità invece, chiuse in un antro, morivano di inedia. In epoca medievale subentrarono forme nuove di tradimento (per esempio la rottura del contratto feudale tra vassallo e signore) e furono inasprite le pene per i delitti contro i sovrani. Una delle più temute era sicuramente lo squartamento, pratica che assumeva tinte horror nella versione inglese hanged (impiccato), drawn and quartered (“impiccato, tirato e squartato”). Il colpevole dopo esser stato trascinato da un cavallo, veniva sospeso per il collo, evirato ed eviscerato vivo. Prima che perdesse i sensi, veniva decapitato e il suo corpo era diviso in quattro parti. I sospettati di tradimento invece venivano appesi a testa in giù (pena che ispirò la carta dei tarocchi dell’appeso), issati e strattonati finché non confessavano.

 

Le adultere nel XIV-XVII secolo furono prese di mira anche in Cina: venivano cavati loro gli occhi o gettate in pasto alle tigri assieme agli amanti. E persino le vittime di stupro meritavano questa condanna. Mentre i traditori (o giudicati tali dai tribunali speciali) della Francia rivoluzionaria, nel XVIII secolo, finivano ghigliottinati: una morte tutto sommato più rapida rispetto a quelle più antiche.

Nell’Alto Medioevo, per esempio, era grave tradire Dio o la Chiesa. Ma nel Basso Medioevo era forse peggio tradire il signore del feudo. La fides, da sempre un collante sociale forte, per chi tradiva appariva antitetico alla figura dell’eroe e del cavaliere. Rinnegare l’amico e il signore era perciò gravissimo, ma ciò non impedì che in età feudale accadesse spesso.

Con l’istituzionalizzarsi del cristianesimo, si invertirono i pesi: il reato di lesa maestà restava grave, ma ledere la maestà divina era intollerabile.

Non a caso dopo l’anno Mille in Italia il numero delle immagini di Giuda nell’arte crebbe esponenzialmente, passando dalle 37 immagini del XII secolo alle 65 del XIII con un imponente salto di 201 nel XIV secolo. Lo scopo era chiaramente didattico: insegnare al popolo, in un epoca in cui fiorivano apostasie ed eresie, che rinnegare l’ortodossia cristiana era una colpa mortale (Giuda infatti, nella tradizione, muore impiccato). Non senza varianti bislacche. Si diffuse infatti anche la convinzione che traditori si nasceva. Secondo questa interpretazione teologica, Giuda era venuto al mondo per compiere la volontà divina: era quindi traditore per natura.

Nicolò Macchiavelli, qualche secolo dopo, non la pensava così, vissuto in anni di potere sanguinario, si dedicò più alla ragion politica, che alla religione, capì che non si viene al mondo fedifraghi. Lo si diventa per opportunità politica o per necessità storica. Per cause insomma che nulla hanno a che vedere con la natura. Ebbe a dire: «Nacqui povero, ed imparai prima a stentare che a godere.»

Debet qui reflectat.

NOTE

(1) Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord. Principe di Benevento (1754-1838). È stato un vescovo cattolico, politico e diplomatico francese appartenente al casato dei Talleyrand-Périgord. Talleyrand è considerato tra i maggiori esponenti del camaleontismo. Persona di grande intelligenza politica e anticipatore dei suoi tempi, dimostrò di saper vedere nel futuro molto più lontano di quanto sapessero fare i suoi contemporanei. Nel corso della sua lunga carriera gli vennero affibbiati diversi soprannomi, tra cui i più noti furono “Il diavolo zoppo”, “Il camaleonte” e “Lo stregone della diplomazia”. Fu, con Metternich, il “regista” del congresso di Vienna.

fonte Wikipedia.

Bibliografia

Marcello Flores. “Traditori. Una storia politica e culturale. Editore: Il Mulino”

Collana: Biblioteca storica

Anno edizione: 2015

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