Le donne sono spesso state relegate ai margini della storia

 

SANGUE, CORAGGIO E CORONE: LE DONNE CHE SFIDARONO L’IMPERO

Artemisia I di Caria, Boudicca e Matilde di Canossa: tre leader che cambiarono la storia con la guerra, la vendetta e la diplomazia


Le donne sono spesso state relegate ai margini della storia, eppure alcune di loro hanno saputo sfidare gli imperi, guidare eserciti e resistere all’oppressione. Artemisia I di Caria, Boudicca e Matilde di Canossa sono tre esempi straordinari di donne che hanno impugnato le armi – materiali o simboliche – per affermare il proprio diritto a governare e vendicare torti subiti. Da comandanti militari a strateghe politiche, la loro eredità continua a ispirare. Il coraggio di governare in un mondo maschile

Nel corso della storia, le donne hanno spesso esercitato il potere in modo indiretto, attraverso matrimoni, alleanze e influenze di corte. Tuttavia, ci sono state eccezioni straordinarie di sovrane e guerriere che hanno preso direttamente il comando, sfidando le convenzioni del loro tempo. Artemisia I di Caria, Boudicca e Matilde di Canossa furono tre donne che, in epoche e contesti differenti, incarnarono la resistenza contro il dominio maschile e l’oppressione politica. Ognuna di loro non solo seppe imporsi in un mondo dominato dagli uomini, ma lo fece con una determinazione tale da lasciare un segno indelebile nella storia.

Artemisia I di Caria: l’astuzia al servizio dell’Impero

Regina di Alicarnasso e alleata dell’Impero Persiano, Artemisia I di Caria (V secolo a.C.) fu una delle poche donne a guidare una flotta da guerra nell’antichità. In un’epoca in cui il comando militare era un’esclusiva maschile, lei riuscì a imporsi come stratega e comandante navale, distinguendosi per la sua intelligenza e determinazione. La sua lealtà a Serse e il suo acume tattico la resero una figura chiave nella seconda guerra persiana (480 a.C.), in particolare durante la battaglia di Salamina, uno degli scontri navali più famosi della storia.

Una sovrana tra due mondi: la posizione politica di Artemisia

Artemisia non era una persiana di nascita, ma una regina greca al servizio dell’Impero Persiano. Governava Alicarnasso, una città della Caria (nell’attuale Turchia occidentale), un regno culturalmente greco ma sotto l’influenza persiana. La sua alleanza con Serse si inserisce in un contesto politico complesso: mentre molte città greche combattevano per la loro indipendenza dall’impero achemenide, altre—come Alicarnasso—mantenevano stretti legami con i persiani, vedendoli come protettori o come garanti della stabilità.

Il fatto che Artemisia sia riuscita a mantenere il controllo del suo regno in un periodo così turbolento dimostra la sua abilità politica oltre che militare. Non era solo una guerriera, ma anche una diplomatica che seppe navigare tra due culture ostili tra loro, rimanendo fedele a Serse senza perdere il rispetto della sua gente.

L’avvertimento ignorato: il consiglio a Serse prima della battaglia di Salamina

La battaglia di Salamina di Wilhelm von Kaulbach, 1868.

La fama di Artemisia è legata soprattutto alla battaglia di Salamina (480 a.C.), quando Serse tentò di distruggere la flotta greca in uno scontro navale decisivo. Erodoto, storico greco originario della stessa regione di Artemisia, ne descrive il coraggio e l’abilità strategica con un misto di ammirazione e sorpresa. Secondo il suo racconto, Artemisia fu l’unica tra i consiglieri di Serse a sconsigliare lo scontro diretto con la flotta ateniese, prevedendo correttamente che la posizione sfavorevole della flotta persiana nelle acque strette e insidiose di Salamina avrebbe favorito i greci.

“Tra tutti gli alleati del re, Artemisia fu la sola a mostrare intelligenza e lungimiranza” (Storia , VIII,)

Tuttavia, Serse non la ascoltò. Convinto della superiorità numerica della sua flotta, lanciò comunque l’attacco, ma la battaglia si trasformò in un disastro per i persiani. La strategia greca, basata su rapidità e manovrabilità, si rivelò vincente, e la flotta di Serse fu annientata.

Il colpo di genio in battaglia: l’inganno che salvò Artemisia

Durante la confusione della battaglia, Artemisia si trovò in una situazione disperata: la sua nave era inseguita da una trireme ateniese e rischiava di essere affondata. Dimostrando ancora una volta la sua astuzia, decise di mettere in atto un inganno audace: fece rotta contro una nave alleata della flotta persiana e la speronò, affondandola. I greci, vedendo la scena, credettero che fosse una disertrice passata dalla loro parte e cessarono immediatamente l’inseguimento, lasciandola fuggire.

Serse, che stava osservando la battaglia da una collina, interpretò erroneamente la mossa di Artemisia come un atto di straordinario coraggio e determinazione, lodandola pubblicamente:

“I miei uomini sono diventati donne, e le mie donne sono diventate uomini”, avrebbe detto, secondo Erodoto (Storie, VIII, 88).

Grazie a questa mossa ingegnosa, Artemisia riuscì non solo a salvarsi, ma anche a rafforzare la sua reputazione presso il re persiano.

Il dopo Salamina: un ruolo ancora più influente

Dopo la sconfitta, Serse si trovò a dover decidere se proseguire la guerra o ritirarsi. Ancora una volta, fu Artemisia a dargli il consiglio più saggio: suggerì al re di tornare in Persia e lasciare il comando delle operazioni al suo generale Mardonio. Il sovrano seguì il suggerimento e fece ritorno in Asia, affidando la guerra ai suoi generali, che però furono sconfitti definitivamente un anno dopo, nel 479 a.C.

Non si hanno molte informazioni su Artemisia dopo la guerra, ma alcune fonti riportano che Serse la ricompensò generosamente per il suo servizio. Alcune leggende, riportate da fonti tarde, narrano che si innamorò di un principe cario e, in un impeto di disperazione per il suo amore non corrisposto, si gettò in mare. Tuttavia, si tratta di racconti non confermati, probabilmente aggiunti successivamente per romanticizzare la sua storia.

Conclusione: Artemisia, un’icona tra mito e realtà

Artemisia I di Caria è una delle poche donne dell’antichità a essere ricordata per le sue imprese militari, e il suo ruolo nella battaglia di Salamina le ha garantito un posto nella storia. La sua figura sfida gli stereotipi del tempo: fu una sovrana, una guerriera e una stratega, capace di influenzare il corso della guerra più di molti generali maschi.

La sua eredità ha ispirato numerosi artisti e scrittori nel corso dei secoli, tanto che il suo nome è stato ripreso nel XVII secolo da Artemisia Gentileschi, la celebre pittrice barocca, come simbolo di forza femminile e ribellione contro il dominio maschile.

Se Artemisia rappresenta qualcosa ancora oggi, è la dimostrazione che l’intelligenza e il coraggio possono rovesciare il destino, anche in un mondo che sembrava precluso alle donne.

Boudicca: la furia della Britannia contro Roma

Se Artemisia fu una stratega fredda e calcolatrice, Boudicca (I secolo d.C.) fu il volto della vendetta brutale e della resistenza feroce. Regina della tribù celtica degli Iceni in Britannia, guidò una delle più devastanti rivolte contro l’Impero Romano, un evento che scosse profondamente la dominazione imperiale nelle province occidentali.

Boudica

La sua ribellione fu scatenata da un atto di brutalità imperiale: dopo la morte del marito, il re Prasutago, il suo regno fu saccheggiato dai romani, le sue terre confiscate, e Boudicca e le sue figlie furono pubblicamente umiliate e seviziate. Quell’atto non solo segnò il destino della regina, ma incendiò il risentimento di un intero popolo contro l’occupazione straniera.

L’ingiustizia che accese la rivolta 

Gli Iceni erano stati per lungo tempo un popolo alleato di Roma, governato con una certa autonomia. Il loro re, Prasutago, aveva scelto di allearsi con i conquistatori, sperando di garantire la sicurezza del suo regno. Tuttavia, alla sua morte nel 60 d.C., Roma non rispettò i patti e decise di annettere direttamente le sue terre.

Secondo Tacito, i romani trattarono con spietata arroganza gli Iceni: le terre e i beni della nobiltà locale furono confiscati, i capi tribù ridotti in schiavitù e, soprattutto, Boudicca e le sue figlie furono pubblicamente frustate e violentate dai soldati romani. Questo atto di sopraffazione non fu solo un’umiliazione personale, ma un’offesa intollerabile per l’intero popolo celtico, che considerava la regalità sacra e le donne di sangue nobile intoccabili.

“I romani credevano di poterci trattare come schiavi. Ora vedranno la nostra ira.” (attribuito a Boudicca, Annali, XIV, Tacito).

Fu a questo punto che Boudicca si trasformò da regina sottomessa a simbolo della vendetta e della libertà. Radunò le tribù celtiche sottomesse ai romani e le convinse a unirsi alla ribellione, promettendo di scacciare gli invasori e restaurare l’indipendenza della Britannia.

Il massacro delle città romane

Nel 60-61 d.C., mentre il governatore romano Gaio Svetonio Paolino era impegnato con le sue legioni a combattere i druidi sull’isola di Mona (l’attuale Anglesey), Boudicca colse l’occasione per lanciare un attacco devastante contro le colonie romane in Britannia.

​In questa ricostruzione i veterani di Camulodunum affrontano l’ultimo assalto dei ribelli sui gradini del tempio dedicato all’imperatore Claudio Foto: Peter Dennis / Osprey Publishing

Le sue prime vittime furono gli abitanti di Camulodunum (Colchester), la capitale della provincia romana, simbolo dell’oppressione e sede di un tempio dedicato all’imperatore Claudio. La città fu completamente rasa al suolo, i cittadini massacrati senza pietà. Gli storici romani raccontano che nessuno fu risparmiato: uomini, donne e bambini furono trucidati o sacrificati agli dèi celtici in un rituale di vendetta sanguinaria.

Dopo Colchester, fu la volta di Londinium (l’odierna Londra). La città, ancora poco fortificata, fu rapidamente invasa e data alle fiamme. Gli abitanti, compresi mercanti e funzionari romani, furono uccisi con una ferocia inaudita. Le cronache parlano di crocifissioni, mutilazioni e torture inflitte ai romani, un riflesso della brutalità che gli stessi avevano inflitto ai celti.

Infine, l’esercito ribelle saccheggiò Verulamium (St. Albans), un altro insediamento romano di rilievo. Anche qui, gli edifici furono incendiati e la popolazione sterminata. Secondo le stime degli storici romani, oltre 70.000 cittadini romani e loro alleati furono uccisi nel giro di poche settimane.

La strategia di Boudicca era chiara: non limitarsi a una semplice insurrezione, ma cancellare ogni traccia della presenza romana nella sua terra.

Lo scontro finale: la battaglia della Walting Street

Dopo aver devastato le città romane, Boudicca si preparò ad affrontare il governatore Gaio Svetonio Paolino, che nel frattempo aveva richiamato le legioni e si stava preparando a reprimere la ribellione. I due eserciti si scontrarono in una località che gli storici identificano con Via Watling ,

Nonostante la superiorità numerica dei ribelli, l’esercito romano si rivelò nettamente superiore in disciplina, strategia e armamento. Svetonio scelse con cura il campo di battaglia, disponendo le sue truppe in una stretta gola, che impediva ai celti di sfruttare la loro schiacciante superiorità numerica. Quando la battaglia ebbe inizio, i romani mantennero una formazione serrata e, con l’uso dei giavellotti e della fanteria pesante, riuscirono a respingere gli assalti nemici.

Il campo di battaglia si trasformò presto in un massacro: i celti, privi di un piano tattico efficace, furono circondati e sterminati. Secondo Cassio Dione, la carneficina fu tale che gli stessi cavalli non trovavano spazio per avanzare tra i cadaveri.

Boudicca, vedendo la disfatta imminente, non volle cadere nelle mani dei romani e, secondo le fonti, si tolse la vita avvelenandosi.

La leggenda di Boudicca: da regina ribelle a simbolo eterno

Sebbene la sua ribellione si sia conclusa con una sconfitta, la figura di Boudicca divenne un mito. Nei secoli successivi, la sua storia fu raccontata come esempio di resistenza contro l’oppressione.

Durante l’epoca vittoriana, quando l’Impero Britannico si trovava all’apice del suo dominio mondiale, Boudicca fu riscoperta come simbolo della determinazione britannica contro gli invasori stranieri. La sua immagine fu trasformata in quella di un’eroina nazionale, una regina-guerriera che incarnava il coraggio e la determinazione del popolo inglese.

Oggi, una statua di Boudicca in sella al suo carro da guerra sorge nei pressi del Parlamento di Londra, con il Tamigi sullo sfondo, come monito che la libertà e l’indipendenza si difendono con il sangue e il coraggio.

Conclusione: Boudicca, l’incarnazione della resistenza

Boudicca rappresenta l’archetipo della vendetta e della ribellione contro l’oppressione. Il suo odio verso Roma non era solo personale, ma incarnava il dolore e la frustrazione di un intero popolo. Sebbene la sua rivolta non abbia avuto successo, dimostrò che l’Impero Romano non era invulnerabile e che la dominazione straniera, per quanto potente, avrebbe sempre trovato opposizione.

Il suo ricordo continua a vivere come simbolo della lotta contro l’oppressione, una figura che, sebbene distante nel tempo, incarna ancora oggi lo spirito della ribellione e della libertà

Matilde di Canossa: la diplomazia della forza

Ritratto di Matilde

Nel Medioevo, il potere femminile era spesso subordinato alle strutture familiari e religiose, con le donne relegate a ruoli di mediazione o di supporto. Matilde di Canossa (1046-1115) rappresentò un’eccezione straordinaria: non solo ereditò e governò autonomamente un vasto dominio tra la Toscana, l’Emilia e la Lombardia, ma divenne una delle figure più influenti del suo tempo, capace di tenere testa a papi e imperatori in un’epoca in cui le guerre e le alleanze decidevano il destino dell’Europa.

La sua vita fu segnata dalla lotta per le investiture, il conflitto tra il Papato e l’Impero sul diritto di nominare vescovi e abati, una disputa che ridefinì i rapporti di potere tra autorità laica e religiosa. Matilde non fu solo una sostenitrice del papato, ma ne divenne una delle principali difensori militari e diplomatiche, giocando un ruolo determinante nella resistenza contro l’imperatore Enrico IV.

Un’erede destinata al potere

Matilde nacque in una delle famiglie più potenti dell’Italia medievale. Suo padre, Bonifacio di Canossa, era marchese di Toscana e signore di un vasto territorio che si estendeva dall’Appennino fino al cuore dell’Italia settentrionale. Alla morte del padre e dei fratelli, Matilde divenne l’unica erede di questo immenso dominio, un fatto eccezionale per una donna in un’epoca in cui il potere era quasi esclusivamente maschile.

Sua madre, Beatrice di Lorena, si assicurò che ricevesse un’educazione raffinata e che imparasse le arti della diplomazia e della guerra, due strumenti che le sarebbero stati essenziali nella sua futura carriera politica. Matilde si dimostrò ben presto all’altezza delle aspettative, distinguendosi per intelligenza, fermezza e abilità strategica.

Il conflitto con Enrico IV: la resistenza di Matilde

La vera prova per Matilde arrivò con la lotta per le investiture, che contrappose il Papa Gregorio VII all’Imperatore Enrico IV. Il nodo del conflitto era la questione su chi avesse l’autorità di nominare i vescovi: il Papa, come guida spirituale, o l’Imperatore, come autorità secolare?

Matilde si schierò fermamente con il papato, una decisione che avrebbe segnato tutta la sua vita. Le sue terre divennero il principale bastione della resistenza papale in Italia, un rifugio per papi e cardinali in fuga e una base strategica per contrastare le incursioni imperiali.

L’apice dello scontro si ebbe nel 1077, con il celebre episodio del “Perdono di Canossa”. Enrico IV, scomunicato da Papa Gregorio VII, si recò al castello di Matilde a Canossa per chiedere il perdono papale. Qui, sotto la pressione della nobiltà e delle alleanze filo-papali, l’imperatore fu costretto a inginocchiarsi per tre giorni nella neve prima di ottenere la revoca della scomunica.

Il famoso incontro tra Enrico IV e Gregorio VII nel castello di Matilde segnò un punto di svolta nella storia medievale. Secondo HEJ Cowdrey, “la scomunica dell’imperatore non sarebbe stata sufficiente senza il sostegno di Matilde, che fornì il rifugio strategico e la protezione armata necessaria affinché il Papa potesse mantenere la sua posizione” ( Papa Gregorio VII, 1073-1085 , 1

L’episodio divenne un simbolo del potere della Chiesa sull’Impero e consolidò la posizione di Matilde come una delle figure più influenti della sua epoca. Tuttavia, il perdono fu solo una tregua temporanea: negli anni successivi, Enrico IV tornò a combattere contro il papato e Matilde si ritrovò più volte in guerra contro le sue truppe.

La guerriera e la stratega: Matilde alla testa degli eserciti

A differenza di molte altre donne del Medioevo, Matilde non si limitò al ruolo di sostenitrice politica o finanziatrice della guerra, ma prese parte attiva ai combattimenti. Fu una delle poche donne medievali a comandare direttamente eserciti, guidando la resistenza armata contro le incursioni imperiali in Italia.

Uno dei suoi successi militari più celebri fu la vittoria nella battaglia di Sorbara (1084)

Matile di Canossa, a capo delle forze filo-papiste e quindi nemiche dell’Imperatore Enrico IV, non voleva che Sorbara fosse in mano ai suoi avversari, così radunò le sue truppe insieme a quelle bolognesi per attaccare le forze imperiali prima che loro potessero prendersi il castello. E così seguì la sua astuta strategia, ovvero giunta la notte del 2 Luglio le forze di Matilde attaccarono da nord e quelle dei bolognesi da sud in modo da sconfiggere gli assedianti al castello. Matilde sconfisse i suoi nemici in poco tempo e quella vittoria fu così celebre che pose fine alla lotta alle investiture. Nessuno poteva accettare che una donna avesse sconfitto un imperatore, così nacque una leggenda.

Secondo la leggenda le truppe assedianti il castello si lasciarono andare ad abbondanti libagioni in ragione della presenza sul luogo di salmerie cariche di buon cibo e soprattutto buon vino lambrusco e che fu fatto volutamente cadere in mano loro dagli uomini di Matilde di Canossa. Sprofondati così nel sonno profondo furono colti di sorpresa e, incapaci di combattere adeguatamente, furono sconfitti.

Nonostante il conflitto con Enrico IV si prolungasse per decenni, Matilde riuscì a mantenere il controllo dei suoi territori, alternando l’uso della forza alla diplomazia. Quando Enrico IV venne definitivamente deposto dal figlio Enrico V, Matilde negoziò un accordo con il nuovo imperatore, ottenendo il riconoscimento del suo potere e garantendo una pace relativa per il resto della sua vita.

La cultura e la fede: Matilde come patrona dell’arte e della religione

Oltre a essere una guerriera e una diplomatica, Matilde fu anche una mecenate della cultura e della religione. Sostenne la riforma gregoriana, che mirava a purificare la Chiesa dagli abusi e a rafforzare la sua indipendenza dal potere secolare.

L’impatto del suo mecenatismo si rifletté nei secoli successivi, consolidando la diffusione del monachesimo riformato e lasciando un’impronta duratura nella storia culturale.

Ecco un breve elenco delle sue opere e dei suoi contributi:

Promozione del monachesimo: Matilde ha fortemente sostenuto l’Ordine di Cluny e ha finanziato la costruzione e la ristrutturazione di numerosi monasteri.

Fondazione del monastero di San Benedetto: Situato a Polirone, è un esempio del suo impegno nel promuovere la vita monastica.

Supporto alla Chiesa: Ha avuto un ruolo cruciale nel sostenere papi e vescovi, influenzando le nomine ecclesiastiche e le politiche religiose dell’epoca.

Cultura e istruzione: Ha patrocinato studiosi e artisti, contribuendo allo sviluppo della cultura e della letteratura locale.

Atti diplomati e lettere: Le sue comunicazioni e corrispondenze, conservate negli archivi, offrono una preziosa testimonianza della vita politica e religiosa del suo tempo.

Matilde

La sua figura fu talmente influente che Dante Alighieri la citò nella Divina Commedia(Purgatorio, XX

“Ella andava cantando e scegliendo fior da fiore”, un’immagine che unisce la fermezza politica alla sua devozione religiosa.

La fine e l’eredità di Matilde

Matilde morì nel 1115 , lasciando in eredità i suoi vasti domini alla Chiesa, un atto che consolidò il potere papale in Italia e sancì la definitiva vittoria della riforma gregoriana sulla politica imperiale.

Dopo la sua morte, il suo lascito politico e religioso continuò a continuare la storia italiana per secoli. Il controllo della Chiesa sui territori donati da Matilde contribuì alla formazione dello Stato della Chiesa , che avrebbe giocato un ruolo cruciale nella politica italiana fino all’Ottocento.

Nonostante il suo ruolo di protagonista nella lotta tra Papato e Impero, la sua figura fu a lungo trascurata dalla storiografia ufficiale, spesso dominata da narrazioni maschili. Tuttavia, nel XVII secolo, Papa Urbano VIII riconobbe il suo contributo straordinario e ordinò la traslazione delle sue spoglie a Roma , facendola seppellire nella Basilica di San Pietro , un onore eccezionale per una laica.

Oggi, Matilde di Canossa è ricordata non solo come una delle donne più potenti del Medioevo, ma anche come un esempio di intelligenza politica, abilità strategica e determinazione incrollabile. La sua storia continua a ispirare come simbolo di resistenza e leadership femminile in un’epoca dominata dagli uomini.

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

  • Erodoto, Storie, Libro VIII.
  • Tacito, Annales , XIV.
  • Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio XXVIII.
  • Alessandro Barbero, Donne, madonne, mercanti e cavalieri, Laterza, 2013.
  • Eleanor Ferris, Matilde di Toscana: la lotta per il trono papale ,
  • Graham Webster, Boudica: la rivolta britannica contro Roma, 60 d.C. ,

 

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