Schopenhauer e il Buddha, un incontro inatteso tra volontà, sofferenza e liberazione

SCHOPENHAUER E IL BUDDHA: UN CONFRONTO TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Redazione Inchiostronero

Arthur Schopenhauer (1788–1860), tra i primi filosofi occidentali a dialogare con le tradizioni orientali, accolse nel proprio pensiero concetti provenienti dall’India e dal buddhismo, nonostante le conoscenze limitate del suo tempo. Il suo interesse per la filosofia indiana gli permise di individuare sorprendenti affinità con le dottrine buddhiste, in particolare con quella forma di cessazione meditativa chiamata saññāvedayitanirodha (“arresto di nozioni ed esperienza”).


Arthur Schopenhauer (1788–1860), filosofo noto per la sua posizione antinatalista

In un’epoca in cui la filosofia si confronta sempre più con l’interiorità e la crisi di senso, il dialogo tra Arthur Schopenhauer e la sapienza buddhista appare di sorprendente attualità. Questo articolo ripercorre il saggio di Simone Perrone mettendo in luce le affinità profonde – ma anche le divergenze irriducibili – tra il pensiero del filosofo tedesco e quello del Buddha. Entrambi hanno posto al centro dell’esistenza il dolore e la necessità di superarlo, ma attraverso vie e visioni metafisiche differenti. Se per Schopenhauer è la negazione della volontà a spegnere il mondo, per il Buddha è la cessazione delle basi sensoriali a svelare il nibbāna. In un confronto serrato tra il principium individuationis e il saññāvedayitanirodha, tra l’ascesi tragica e la via di mezzo, emerge la domanda centrale: è possibile, oggi, una metafisica della liberazione che parli a un’umanità distratta, sofferente e alla ricerca di un senso? Tra riflessioni profonde e suggestioni meditativo-filosofiche, l’articolo offre una lettura accessibile e stimolante, accompagnata da citazioni pregnanti come:

«Dietro alla nostra esistenza, si nasconde qualcosa, che diventa per noi accessibile soltanto se ci scuotiamo di dosso il mondo»

«Ciò non dimostra che il nibbāna sia assolutamente nulla, ma soltanto che non è nulla di ciò che è compreso nell’interesse e nell’esperienza della maggior parte delle persone».

Un’occasione per pensare l’Occidente con gli occhi dell’Oriente — e viceversa.

Schopenhauer e il Buddha: un confronto tra oriente e occidente

Arthur Schopenhauer (1788–1860), tra i primi filosofi occidentali a dialogare con le tradizioni orientali, accolse nel proprio pensiero concetti provenienti dall’India e dal buddhismo, nonostante le conoscenze limitate del suo tempo. Il suo interesse per la filosofia indiana gli permise di individuare sorprendenti affinità con le dottrine buddhiste, in particolare con quella forma di cessazione meditativa chiamata saññāvedayitanirodha (“arresto di nozioni ed esperienza”).

1. La sospensione del principio di individuazione

Schopenhauer riprende dalla scolastica il principium individuationis (principio d’individuazione), identificandolo con spazio e tempo. Queste forme, costitutive della percezione fenomenica, non si applicano alla realtà ultima, la cosa in sé, che egli identifica con la volontà. La pluralità del mondo, quindi, è solo un’apparenza — un “velo di Māyā”.

Analogamente, nel buddhismo l’esperienza ordinaria è considerata condizionata (saṅkhata) e soggetta a impermanenza. Il nirodha, o cessazione, può essere visto come l’equivalente buddhista della sospensione temporanea del principium individuationis, un’esperienza che annulla la rappresentazione del mondo e anticipa simbolicamente la liberazione finale (nibbāna).

2. La causalità come illusione fenomenica

Per entrambi i pensatori, la causalità non è una verità assoluta: Schopenhauer la limita alla rappresentazione fenomenica, mentre il Buddha la considera parte del mondo condizionato. Sebbene il buddhismo non articoli espressamente il concetto kantiano di forma a priori, sostiene che spazio, tempo e causalità non siano reali in senso ultimo. Entrambe le visioni negano che queste categorie possano fondare dimostrazioni metafisiche, come quella dell’esistenza di Dio.

3. L’arresto delle basi sensoriali

Nel buddhismo, quando cessano le sei basi sensoriali interne ed esterne (saḷāyatananirodha), il mondo svanisce. In Schopenhauer, ciò avviene quando la volontà viene negata radicalmente, e il mondo come rappresentazione si dissolve. Tuttavia, le due filosofie divergono nella descrizione della realtà ultima: il nibbāna è ineffabile ma non nullo, mentre la volontà negata conduce a un “nulla” che non va confuso con il vuoto assoluto.

4. L’esperienza corporea come via di accesso

Per entrambi, il corpo è cruciale: per Schopenhauer è il mezzo attraverso cui scopriamo la volontà in quanto cosa in sé; per il Buddha è nella percezione corporea che si manifesta e si può trascendere il mondo. Tuttavia, mentre Schopenhauer propone un’ascesi radicale e dolorosa (fino alla morte per inedia), il Buddha, dopo aver sperimentato tali pratiche, le rifiuta come inutilmente estreme. Egli propone una “via di mezzo” dove il corpo è mantenuto in salute, strumento di liberazione, non ostacolo da punire.

5. Nibbāna e cosa in sé: il non-oggetto

Il nibbāna buddhista è privo di base (anārammaṇa) e non appartiene alla rete dei fenomeni: è oltre l’esperienza sensoriale e mentale. Così anche la cosa in sé schopenhaueriana non può essere oggetto di conoscenza, perché trascende la rappresentazione. Nessuna delle due è conoscibile tramite le normali facoltà cognitive, ed entrambe si manifestano solo come negazione della realtà fenomenica.

6. Cessazione del mondo e rivelazione dell’incondizionato

Il mondo fenomenico può cessare: Schopenhauer lo chiama “mondo come rappresentazione”, il Buddha lo definisce saṃsāra. In entrambi i casi, la realtà ultima che emerge dalla cessazione non è causa del mondo, ma ciò che permane al di là della sua esistenza contingente. Il nibbāna, secondo i commentari buddhisti, non è effetto di alcun processo causale, mentre per Schopenhauer la liberazione giunge quando si annulla completamente la volontà, che non è effetto ma fondamento di ogni apparenza.

7. La via: pratica o premessa?

Né la liberazione buddhista né quella schopenhaueriana sono il risultato diretto di pratiche. Le pratiche – sia il Nobile Ottuplice Sentiero del Buddha, sia l’ascesi schopenhaueriana – non producono la liberazione come un effetto, ma stabiliscono le condizioni favorevoli al suo emergere. Entrambe le filosofie sostengono che la realtà ultima è già presente e non viene “costruita”: si tratta solo di rimuovere gli ostacoli che la celano.

La Ruota del Dharma (Dharmachakra): Significato e Simbolismo nel Buddhismo

Ruota del Dharma

Nel cuore dell’iconografia buddhista, pochi simboli sono tanto potenti e ricchi di significato quanto la Ruota del Dharma, o Dharmachakra. Essa rappresenta l’insegnamento del Buddha, il cammino spirituale, e l’eterna legge che regge il ciclo della vita e della liberazione. Più che un semplice emblema, la Ruota è una mappa simbolica della via verso l’illuminazione.

Origini e significato letterale

Il termine Dharmachakra si traduce letteralmente come “Ruota della Legge” o “Ruota del Dharma”. Il dharma è l’ordine cosmico e morale, l’insegnamento del Buddha, e la verità ultima. La chakra è la ruota, simbolo di movimento, di ciclicità e di trasformazione.

Secondo la tradizione, il Buddha «mise in moto la ruota del Dharma» (dhammacakka pavattana) con il suo primo discorso a Sarnath dopo l’illuminazione. Da quel momento, l’insegnamento iniziò a diffondersi, come una ruota che, una volta spinta, continua a girare.

Elementi simbolici della Ruota

La rappresentazione classica della Dharmachakra è una ruota a otto raggi, ciascuno dei quali ha un significato preciso:

  • Gli 8 raggi: simboleggiano l’Ottuplice Sentiero, la guida pratica alla cessazione della sofferenza, che include:

    1. Retta visione

    2. Retta intenzione

    3. Retta parola

    4. Retta azione

    5. Retto sostentamento

    6. Retto sforzo

    7. Retta consapevolezza

    8. Retta concentrazione

  • Il mozzo centrale: rappresenta la disciplina interiore, la stabilità della mente e il controllo delle passioni.

  • Il cerchio esterno: indica la perfezione dell’insegnamento e l’interconnessione di tutti gli aspetti della pratica.

Simbolo del ciclo e della liberazione

La ruota gira: come la vita, come il saṃsāra, il ciclo delle rinascite. Ma la Ruota del Dharma ha una direzione opposta rispetto al moto cieco del desiderio: gira verso il risveglio, non verso l’attaccamento. Mentre la ruota del saṃsāra è alimentata dall’ignoranza, quella del Dharma è spinta dalla saggezza e dalla compassione.

Una celebre espressione del Buddha dice:

«Colui che comprende l’origine e la cessazione delle cose, mette in moto la Ruota del Dharma».

Presenza nel mondo buddhista

Il simbolo della Dharmachakra appare sulle prime monete indo-greche, su stūpa e templi in tutta l’Asia, ed è oggi adottato come emblema da numerose comunità buddhiste e perfino da nazioni (come nella bandiera dell’India moderna). È un simbolo sacro, ma anche civile: rappresenta l’equilibrio tra l’etica, la visione spirituale e la responsabilità nel mondo.

Conclusione: un simbolo per la trasformazione interiore

La Dharmachakra è una ruota che invita a non restare fermi: a cercare, comprendere, liberarsi. Nella sua forma semplice racchiude un insegnamento profondo: che il cambiamento è possibile, che la via esiste, e che ogni passo consapevole è un raggio verso la libertà.

Come insegna l’Udāna, uno dei testi più antichi del Canone Pāli:

«Nel mezzo del mondo, il Buddha ha fatto girare la ruota che nessun asceta, nessun sacerdote, nessun dio, nessun demone, nessun altro potrà fermare».

Conclusione: verso una metafisica comparata del limite

In conclusione, pur nelle profonde differenze, il confronto tra Schopenhauer e il Buddha rivela affinità inattese. Entrambi riconoscono l’illusorietà del mondo fenomenico e postulano un principio ultimo non conoscibile in termini positivi. Entrambi vedono nella sofferenza l’impulso alla liberazione. Tuttavia, mentre Schopenhauer tende a un nichilismo ascetico e tragico, il Buddha articola una via di liberazione che include compassione, equilibrio e pragmatismo etico.

Nel nostro tempo – saturo di stimoli, desideri e illusioni – questo dialogo tra pensiero occidentale e saggezza orientale può servire come strumento critico per interrogare il nostro rapporto con la realtà, la volontà, il consumo e la sofferenza. Schopenhauer ci invita a guardarci dentro con spietata lucidità, il Buddha ci invita a trascendere con saggezza e gentilezza. Entrambi ci chiamano a un lavoro interiore che, oggi più che mai, può rispondere all’ansia di senso del mondo contemporaneo.

Riccardo Alberto Quattrini

Bibliografia essenziale

  • Schopenhauer, A. Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di G. Colli, Adelphi.
  • Burnouf, E. Introduction à l’histoire du Bouddhisme indien.
  • Conze, E. Buddhism: Its Essence and Development, Harper & Row.
  • Visuddhimagga, a cura di Ñāṇamoli Bhikkhu.
  • Suttapitaka (in particolare: Mahāsatipaṭṭhāna-sutta, Rohitassa-sutta, Paṭhamanibbānapaṭisaṃyutta-sutta).
  • Perrone, S. Meditazione metafisica sull’Assoluto nel buddhismo antico, Gazzetta Filosofica.

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