Canto XI, Agamennone (vv. 171-205; traduzione di Vincenzo Monti):
Assalse ei dopo
Ippoloco e Pisandro, ambo figliuoli
Del bellicoso Antímaco, di quello
Che da Paride compro per molt’oro
E ricchi doni, d’Elena impedía
Il rimando al marito. I figli dunque
Di costui colse al varco Agamennóne
Sovra un medesmo carro ambo volanti,
E turbati e smarriti; chè pel campo
Sfrenaronsi i destrieri, e dalla mano
Le scorrevoli briglie eran cadute.
Come lïon fu loro addosso, e quelli
S’inginocchiâr, dal carro supplicando:
Lasciane vivi, Atride, e di riscatto
Gran pezzo n’otterrai. Molta risplende
Nella magion d’Antímaco ricchezza,
D’oro, di bronzo e lavorato ferro.
Di questo il padre ti darà gran pondo
Per la nostra riscossa, ov’egli intenda
Vivi i suoi figli nelle navi achee.
Così piangendo supplicâr con dolci
Modi, ma dolce non rispose Atride.
Voi d’Antímaco figli? di colui
Che nel troiano parlamento osava
D’Ulisse e Menelao, venuti a Troia
Ambasciatori, consigliar la morte?
Pagherete voi dunque ora del padre
L’indegna offesa. – Sì dicendo, immerge
L’asta in petto a Pisandro, e giù dal carro
Supin lo stende sul terren. Ciò visto,
Balza Ippoloco al suolo, e lui secondo
Spaccia l’Atride; coll’acciar gli pota
Ambe le mani, e poi la testa, e lungi
Come paléo la scaglia a rotolarsi
Fra la turba.
Nel canto XI, Agamannone fa strage di nemici e a un certo punto vede alla sua mercé due fratelli giovinetti, Pisandro e Ippoloco, figli di Antimaco, i quali lo supplicano di risparmiarli, promettendo ricchi doni da parte del padre, se l’Atride li lascerà in vita; ma questi non solo li trucida sul posto, infierisce anche in maniera bestiale sul cadavere del secondo (vv. 570-577):
Dolon, di scampo non aver lusinga,
Benchè tu n’abbia rivelato il vero.
Se per riscatto o per pietà disciolto
Ti mandiam, tu per certo ancor di nuovo
Alle navi verresti esploratore,
O inimico palese in campo aperto.
Ma se qui perdi per mia man la vita,
Più d’Argo ai figli non sarai nocente.
Disse; e il meschino già la man stendea
Supplice al mento; ma calò di forza
Quegli il brando sul collo, e ne recise
Ambe le corde. La parlante testa
Rotolò nella polve. Allor dal capo
Gli tolsero l’elmetto, e l’arco e l’asta
E la lupina pelle. In man solleva
Le tolte spoglie Ulisse, e a te, Minerva
Predatrice, sacrandole, sì prega:
Godi di queste, o Dea, chè te primiera
De’ Celesti in Olimpo invocheremo;
Ma di nuovo propizia ai padiglioni
Or tu de’ traci cavalier ne guida.
Infine nel XXI canto, Achille, dopo aver ferito a morte Asteropeo, lo spoglia delle armi e lo insulta, mentre ancora sta agonizzando, vantandosi di essere prole di un dio ben più potente del fiume Xanto, quale il vinto nemico si era detto prima del duello (vv. 227-266):
Trasse Achille la spada, e furibondo
Assalse Asteropéo che invan dall’alta
Sponda si studia di sferrar d’Achille
Il frassino: tre volte egli lo scosse
Colla robusta mano, e lui tre volte
La forza abbandonò. Mentre s’accinge
Ad incurvarlo colla quarta prova
E spezzarlo, d’Achille il folgorante
Brando il prevenne arrecator di morte.
Lo percosse nell’epa all’ombelico;
N’andâr per terra gl’intestini; in negra
Caligine ravvolti ei chiuse i lumi,
E spirò. L’uccisor gli calca il petto,
Lo dispoglia dell’armi, e sì l’insulta:
Statti così, meschino, e benchè nato
D’un fiume, impara che il cozzar co’ figli
Del saturnio signor t’è dura impresa.
Tu dell’Assio che larghe ha le correnti
Ti lodavi rampollo, ed io di Giove
Sangue mi vanto, e generommi il prode
Eácide Peléo che i numerosi
Mirmidóni corregge, e discendea
Eaco da Giove. Or quanto è questo Dio
Maggior de’ fiumi che nel vasto grembo
Devolvonsi del mar, tanto sua stirpe
La stirpe avanza che da lor procede.
Eccoti innanzi un alto fiume, il Xanto;
Di’ che ti porga, se lo puote, aita.
Ma che puot’egli contra Giove a cui
Nè il regale Achelóo nè la gran possa
Del profondo Oceáno si pareggia?
E l’Oceán che a tutti e fiumi e mari
E fonti e laghi è genitor, pur egli
Della folgore trema, e dell’orrendo
Fragor che mette del gran Giove il tuono
Sì dicendo, divelse dalla ripa
La ferrea lancia, e su la sabbia steso
L’esamine lasciò. Bruna il bagnava
La corrente, e famelici dintorno
Affollavansi i pesci a divorarlo.
Francesca Rita Rombolà
20 Marzo 2019 a 14:27
… Ma come dimenticare anche nell’Iliade il vecchio Priamo che si reca presso Achille per chiedere la restituzione del corpo oltraggiato del figlio Ettore e di Achille che, mosso a compassione, glielo concede?
La civiltà greca, sia arcaica che classica, non era estranea alla compassione e al rispetto per la vita e per il nemico sconfitto, pure se bisogna aspettare il Cristianesimo per conoscere realtà nuove e sconvolgenti per l’uomo… Ma questa è tutta un’altra storia.