Una lingua “morta” che però continua a godere di ottima salute. Quante volte, nel parlare e nello scrivere, adoperiamo termini latini o di provenienza latina?
Nel teatro antico la situazione più ingarbugliata, l’intreccio che aveva tenuto col fiato sospeso lo spettatore, veniva alla fine sciolto dall’improvviso apparire di un nume (deus), calato in scena mediante un comgegno meccanico (ex machina), a risolvere ogni cosa in nome del lieto fine. Così nel Filottete di Sofocle il semidio Ercole, arrivato dal cielo ex machina, convince il riluttate Filottete ad andare a Troia, la quale secondo un oracolo sarebbe caduta solo se fosse stato presente Filottete.
Il ricorso a questo sbrigativo espediente, dal punto di vista artistico, è una dimostrazione di debolezza creativa, e oggi non si usa più. La locuzione deus ex machina invece è rimasta per indicare una persona che riesce là dove altre hanno fallito, o un’azione che sbocca una situazione difficile. Quando l’approvazione di una legge proposta dal governo è rallentata da migliaia di emendamenti presentati dall’opposizione, il governo ricorre al suo deus ex machina, che consiste nel porre la questione di fiducia. Per regolamento, il voto di fiducia fa decadere gli emendamenti e l’osruzionismo resta sconfitto.