Una lingua “morta” che però continua a godere di ottima salute. Quante volte, nel parlare e nello scrivere, adoperiamo termini latini o di provenienza latina? Herpes

 

Sant’Antonio Abate

Erpete, malattia della pelle, pruriginosa, con formazioni vescicolari. La forma più dolorosa è l’herpes zòster, detto miticamente fuoco di sant’Antonio, che causa bruciori intensi. Sant’Antonio (intendiamoci l’abate, quello del porcellino) era un eremita che visse in un deserto presso il Mar Rosso (IV secolo), classico esempio di ascetismo cristiano primitivo. Dopo il Mille, le sue reliquie giunsero in Francia, dove la tradizione vuole che abbiano fatto guarire molta gente colpita dalla peste, detta anche ìgnis sàcer, fuoco sacro. Donde il nome di fuoco di sant’Antonio dato, per estensione, all’erpete. L’ingenua fede del Medioevo suppliva alle carenze dei medici ricorrendo ai santi, ai quali attribuiva un potere taumaturgico collegato con qualche episodio della loro vita terrena. Per esempio, sant’Eustachio era invocato contro il mal di testa perché ebbe il cranio spaccato da un colpo d’ascia. San Biagio proteggeva contro il mal di gola, avendo liberato un bambino da una lisca di pesce. Da sant’Apollonia, martirizzata mediante strappamento dei denti, gli affetti da carie ottenevano, col mistico dentifricio della preghiera, bocca sana e alito fresco.

Il principio dell’analogia, del «simile col simile», fu portato agli estremi più cervellotici. In qualche località della Romagna i contadini credevano che santa Cristina proteggesse i pollai per via del nome, che ricorda la cresta dei galli. E sant’Espedito fu invocato da chi aveva bisogno di sbrigare un affare alla svelta, in maniera spedita. Contro queste credenze che dirottavano la religione verso la superstizione, intervenne energicamente Pio X, proibendo le preghiere a sant’Espedito. O meglio, lo si pregasse pure, ma non come santo della velocità.

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