Una lingua morta che però continua a godere di ottima salute. Quante volte, nel parlare e nello scrivere, adoperiamo termini latini o di provenienza latina?

Homo Homini Lupus

 

 

Un mercante arabo

Un mercate arabo che aveva perduto mille denari disse a suo figlio:

   «Tieni per te questa triste notizia».

   «Padre» replicò il giovanotto «ti obbedirò, purché tu mi spieghi per quale motivo dobbiamo tacere la nostra sventura.»

   «Affinché non ce ne siano due: la perdita del denaro e la gioia maligna dei vicini.»

   L’uomo è lupo per l’uomo. In quella che Dante chiamò «l’aiuola che ci fa tanto feroci», cominciò Caino, con l’uccidere Abele. Pure la storia di Roma esordisce con un fratricidio: Romolo cha mazza Remo. Fratelli coltelli, conclude il proverbio. La storia dell’homo homini lupus (anticipata da Plauto, nell’Asinària, v. 495: lupus est homo homini, non homo, l’uomo è lupo, non uomo, verso l’uomo) è alla base della concezione, pessimistica e materialista, che il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679) ha della società umana.

   Per lui, l’individuo agisce esclusivamente secondo le leggi dell’egoismo utilitario, che sono l’istinto di conservazione e l’istinto di sopraffazione. Per evitare il bèllum òmnium còntra òmnes, la guerra di tutti contro tutti, che sarebbe lo stato naturale, naïf, dell’umanità, si è costituito un patto sociale, la società politica, in una parola lo Stato, prodotto artificiale suggerito dal calcolo, dalla necessità. Al vertice dello Stato, il potere assoluto del sovrano, senza limiti e senza controlli. Nello Stato, come nella natura, la forza crea il diritto. È l’autorità, non la verità, la madre delle leggi.

   Che cosa rispondono, a questa cupa filosofia hobbesiana, gli ottimisti, gli idealisti? Tutto vero. Però non c’è uomo così cattivo, così lupus, da non essere capace, almeno una volta nella sua vita, d’una azione buona. Anche una pozzanghera riflette la luce del sole.

 

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