Una lingua morta che però continua a godere di ottima salute. Quante volte, nel parlare e nello scrivere, adoperiamo termini latini o di provenienza latina? Nemo potest doubus dominis servire

 

Ritratto di Luigi XV di Francia di Louis-Michel van Loo, 1763

«Nessuno può servire due padroni perché odierà l’uno e amerà l’altro, e si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro» (Matteo, VI,24). Il goldoniano Arlecchino, servo di due

padroni, non è dello stesso parere, e con lui quegli italiani che nel corso della storia passata e della recente si sono esibiti in acrobatiche prove di doppio, triplo gioco, giustificandosi «vegna Franza vegna Spagna, basta che se magna». Per venire ai giorni nostri, Arlecchini in versione politica sono gli iscritti a un partito, che lavorano per un altro. Doppiezza imperdonabile. Perdonabile invece è quella delle donne, quando è candidamente confessata. Narra Chamfort che madame Desparbès era. A letto con Luigi XV e il re le disse:

madame Desparbès
    • «Tu sei giaciuta con tutti i miei sudditi.»
    • «Ah, sire!»
    • «Sei stata col duca di Choiseul.»
    • «È così potente!»
    • «Col maresciallo di Richelieu.»
    • «È così intelligente!»
    • «Con Monville.»
    • «È così snello!»
    • «Alla buon’ora, ma il duca d’Aumont non ha nulla di tutto questo.»
    • «Ah, sire, è così devoto a vostra maestà!»

 

 

 

 

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