”Una lingua “morta” che però continua a godere di ottima salute. Quante volte, nel parlare e nello scrivere, adoperiamo termini latini o di provenienza latina? Redde rationem
Rendi il conto, dammi la spiegazione. (Redde è imperativo del verbo rèddere, rendere, dare). Chiamare uno per il redde rationem significa, per il chiamato, temporale in vista. Nove volte su dieci, il redde rationem si conclude con un’ammonizione o una punizione. Siccome gli esami nella vita non finiscono mai, siamo tutti costretti a reddere continuamente rationem: il coniuge all’altro coniuge, l’automobilista al vigile, il mezzadro al proprietario, il contribuente al fisco, il maestro elementare al direttore didattico, il deputato all’elettore (non sempre), il governo alla corte dei conti. Ma quanto più si sale in alto, tanto più frequentemente il redde rationem si risolve in una pura formalità. Per esempio le osservazioni fatte dalla corte dei conti sugli sprechi dell’esecutivo restano per lo più lettera morta. Viene in mente un aneddoto raccontato da Poggio Bracciolini nelle sue Facezie
«Dacconto degli Ardinghelli, cittadino di Firenze, chiamato ad essere tutore d’un pupillo, ne amministrò per lungo tempo i beni, e tutti li consumò a mangiare ed a bere. Quando finalmente gli vennero chiesti i conti, il magistrato gli ordinò di presentare i libri dell’entrata e dell’uscita, come si dice; ed ei mostrò la bocca e il sedere, dicendo che non aveva, fuori di quelli, alcun libro d’entrata e d’uscita.»