“Il deserto cresce: guai a chi porta in sé deserti.” Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

SEI SOVRANO, MA TI HANNO TOLTO IL REGNO

La crisi del desiderio nell’epoca della saturazione

Redazione Inchiostronero

Viviamo in un mondo in cui tutto è disponibile, ma nulla è desiderato. L’individuo contemporaneo, formalmente sovrano, è in realtà smarrito: “sei sovrano, ma ti hanno tolto il regno”. Liberato dai legami tradizionali, svincolato da ogni appartenenza, è diventato un io minimo, saturo di stimoli ma vuoto di senso. Il desiderio – forza vitale, tensione verso l’altro e verso l’oltre – è stato addomesticato, ridotto a bisogno, poi a funzione. Questo saggio è un attraversamento: un viaggio nel cuore della crisi del desiderio nell’epoca della saturazione. Un tempo in cui la mancanza è patologizzata, il limite è negato, l’assenza è cancellata. Nei cinque capitoli che lo compongono, il testo interroga l’individuo postmoderno, la sua condizione di essere esposto ma invisibile, stimolato ma spento, libero ma privo di orizzonte. E nell’ultimo, con Nietzsche, tenta un gesto radicale: riscattare il desiderio come forza creativa, come resistenza silenziosa, come ultima possibilità di rinascita dell’umano. Desiderare è mancare. Ma senza mancanza, l’uomo non è più uomo. Questo saggio non offre risposte, ma una forma di ascolto. Di ciò che manca. Di ciò che resiste. Di ciò che arde ancora.


 Capitolo I – Il Sovrano senza regno

“L’uomo è una creazione del desiderio, non del bisogno.”Gaston Bachelard

L’uomo contemporaneo si muove come un sovrano: autodeterminato, libero, formalmente padrone del proprio destino. È invitato a scegliere, a desiderare, a costruire se stesso secondo parametri infiniti, tutti offerti dal mercato dell’identità. Ma ciò che ha perso è proprio ciò che un tempo definiva la sovranità: il regno, ossia uno spazio simbolico, culturale, spirituale, in cui esercitare quella libertà come senso e non solo come funzione.

Viviamo in un tempo che ha sostituito la trascendenza con la performance, l’ideale con l’immagine, la comunità con la connessione. L’io, ormai senza orizzonte, oscilla tra l’onnipotenza apparente e la fragilità assoluta. Ci è stato detto che siamo liberi, ma non sappiamo più da cosa o per cosa. Ci hanno convinti che possiamo essere tutto, ma ci è stato tolto il linguaggio per raccontarci davvero.

“Tutto è possibile, tutto è disponibile – eppure nulla è desiderato.”

Il desiderio, inteso come tensione verso un altrove, una mancanza, è stato neutralizzato dalla saturazione. Non manca nulla — e proprio per questo non esiste più nulla che valga davvero la pena desiderare. Ciò che un tempo era eros, attesa, distanza, oggi è consumo, immediata soddisfazione, scorrimento. Un clic, non un cammino.

Siamo diventati funzioni di noi stessi, frammenti che reagiscono agli stimoli. Ogni giorno ci affacciamo alla vetrina digitale della nostra esistenza, scegliendo abiti, idee, relazioni come se fossero filtri di Instagram. Ma tutto resta in superficie, perché manca la profondità dell’assenza, la dimensione necessaria per far nascere davvero un desiderio.

“Non siamo più una civiltà della speranza, ma dell’adattamento.”Christopher Lasch

L’adattamento è la legge non scritta del nostro tempo. L’uomo contemporaneo deve saper funzionare, essere flessibile, resiliente, reattivo. Ma in questa parola – adattarsi – si nasconde una resa silenziosa all’informe. È il contrario di desiderare. Il desiderio è tensione, insoddisfazione, scontro con i limiti: non si adatta, spinge oltre. Ma chi desidera troppo, oggi, è considerato instabile, inadeguato, fuori norma.

Ed ecco che l’io sovrano si trasforma in un io minimo, rassegnato a navigare in un mondo che gli offre tutto, tranne una direzione.

Il problema non è l’assenza di libertà, ma l’assenza di regno: uno spazio simbolico dove quella libertà possa tradursi in significato. Una polis, una fede, una narrazione condivisa. Qualcosa che dia forma al nostro esserci.

“La libertà senza forma è come un albero senza radici: cresce storto, si spezza presto.”

Così l’uomo postmoderno vive in un deserto di pienezza, dove ogni desiderio è rimpiazzato da un bisogno, ogni bisogno da un prodotto, ogni prodotto da un’illusione.

Eppure, nel fondo di questo vuoto, resta una domanda. Una sola, semplice, irrinunciabile:
Cosa desidero, davvero?

Capitolo II – Dal desiderio al bisogno

“Desiderare è mancare. Bisognare è ottenere.”

In principio era il desiderio. E il desiderio non conosceva misura, né finalità immediate. Non era riducibile a un oggetto, né colmabile da una risposta. Il desiderio era tensione verso l’altro, verso l’oltre, verso ciò che non si possiede e forse non si può nemmeno nominare. Il desiderio, diceva Platone nel Simposio, è figlio di Poros (l’ingegno) e Penia (la mancanza): non nasce dall’abbondanza, ma dalla ferita, dal vuoto, dalla nostalgia di qualcosa che ci chiama senza nome.

«Perciò, in quanto figlio di Poros e di Penìa, Amore si trova in questa condizione: in primo luogo è sempre povero e tutt’altro che tenero e bello, come invece ritengono i più, anzi è aspro, incolto, sempre scalzo e senza casa, e si sdraia sulla terra nuda, dormendo all’aperto davanti alle porte e per le strade secondo la natura di sua madre, e sempre accompagnato dall’indigenza. »
(Platone, Simposio)

“Desiderare è sentire che ci manca qualcosa, ma non sapere esattamente cosa.”

Oggi però il desiderio ha subito una metamorfosi silenziosa. È stato tradotto, travestito, degradato. È stato addomesticato dal bisogno. Il bisogno ha preso il posto del desiderio perché è più facile da controllare, da misurare, da soddisfare. Il bisogno chiede una risposta. Il desiderio chiede un cammino.

Nel mondo contemporaneo, dominato dal consumo e dalla tecnica, tutto è strutturato per rispondere a bisogni, non per evocare desideri. Non c’è attesa, non c’è distanza. Il supermercato dell’esistenza ci dice: “non desiderare, scegli”. Ma la scelta non è desiderio. È il suo surrogato. Per desiderare davvero, bisogna non avere, non sapere, non controllare.

“Il desiderio è eccesso. Il bisogno è funzione.”

Così l’uomo postmoderno non desidera più: seleziona. Non cerca: acquista. Non manca: si sazia. Ma la sazietà non è pace: è noia, saturazione, inerzia.

In questa deriva, anche l’amore è stato piegato alla logica del bisogno. Non cerchiamo più l’incontro, ma il servizio. Non l’alterità, ma la compatibilità. Eros è stato sostituito dall’efficienza, la relazione dall’utilità, l’attesa dal matching.

Eros e l’algoritmo

“L’Eros che ci muoveva verso l’altro è diventato algoritmo. Ma l’algoritmo non conosce l’invisibile.”

Eppure, qualcosa non torna. L’anima non è un software. Il desiderio non è un’app. Non possiamo programmarlo, e proprio per questo ci definisce. Quando smettiamo di desiderare, non diventiamo solo meno umani: diventiamo funzionali, adattati, efficienti. Ma svuotati.

Siamo esseri fatti per mancare. Ma il mondo in cui viviamo ci insegna a non mancare mai: a colmare subito ogni vuoto, a evitare ogni frustrazione, a fuggire ogni limite. Così il desiderio, che ha bisogno di assenza, di resistenza, di silenzio, viene soffocato dalla piena disponibilità, dalla gratificazione istantanea, dal troppo.

“Il desiderio ha bisogno di uno spazio vuoto per accadere. Il bisogno lo riempie in anticipo.”

In questo passaggio storico e antropologico – dal desiderio al bisogno – si consuma la crisi dell’umano. Perché non siamo animali razionali, né consumatori perfetti. Siamo creature che desiderano, che vivono nel vuoto tra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere. Se quel vuoto sparisce, con esso sparisce anche la nostra sete di senso.

Il desiderio, oggi, non è più negato. È ignorato. E questa ignoranza è la vera tragedia della nostra epoca: viviamo in un mondo che ci dà tutto, ma ci impedisce di cercare ciò che conta.
Nel prossimo capitolo, esploreremo le conseguenze di questa saturazione permanente: il crollo del valore, la noia come malattia invisibile, e l’esilio della profondità.

Capitolo III – La saturazione come forma di annientamento

“L’eccesso di tutto non produce abbondanza, ma vertigine.”

Viviamo in un’epoca in cui l’offerta ha superato la domanda, e non solo sul piano economico. Viviamo in un mondo inondato, dove ogni desiderio è anticipato, ogni bisogno precostruito, ogni scelta già impacchettata. Nulla viene cercato, tutto viene offerto. Non ci muoviamo più verso le cose: le cose ci piombano addosso.

“L’uomo saturo è un uomo vuoto.”

Questa è la grande illusione del nostro tempo: che l’abbondanza equivalga a ricchezza, che la disponibilità sia sinonimo di libertà. In realtà, l’eccesso uccide il valore, perché il valore nasce dalla scarsità, dalla distanza, dalla fatica dell’avvicinamento. Un mondo in cui tutto è subito disponibile è un mondo in cui nulla conta davvero.

Questa saturazione – di stimoli, informazioni, oggetti, relazioni – non nutre, ma stordisce. Non apre, chiude. Non libera, paralizza. È l’era del troppo, e in questo troppo l’uomo si dissolve come identità pensante e desiderante.

“Ciò che non manca, non si desidera. Ciò che non si desidera, non si ama. Ciò che non si ama, non si vive.”

La saturazione produce una forma nuova e sottile di annientamento. Non è violenta, non è drammatica, non è visibile. È lenta, morbida, inodore. È l’erosione invisibile del senso. Non ci sentiamo più vivi perché siamo immersi in un mondo che non ci chiede nulla, che non oppone resistenza, che non ci interpella.

“L’uomo ha bisogno di ostacoli per esistere. Il muro che si oppone è anche ciò che dà forma.”

Senza mancanza, senza assenza, senza limite, non c’è desiderio. E senza desiderio, non c’è narrazione possibile della vita. È per questo che oggi regna la noia, una noia diversa da quella dell’ozio creativo, più profonda e devastante: la noia come perdita del significato, come sfinimento, come stanchezza dell’essere. È ciò che Byung-Chul Han ha chiamato “la stanchezza di essere sé stessi”.

“Viviamo in un eterno presente saturo che impedisce ogni desiderio di futuro.”

La saturazione è anche temporale. Ogni cosa è qui, ora, subito. L’attesa è stata cancellata. Ma l’attesa è la struttura segreta del desiderio. Senza attesa, il tempo si schiaccia, e con esso si spegne il desiderio come tensione verso un altrove.

L’annientamento di cui parliamo non è la morte del corpo, ma la morte dell’interiorità. Un uomo saturo è un uomo che non cerca più. E chi non cerca, è già perduto.

In sintesi. La saturazione ci ha tolto il vuoto, e con esso la bellezza della mancanza.
Ma solo nel vuoto può nascere una nuova parola, un nuovo gesto, un nuovo amore.
Nel prossimo capitolo, ci chiederemo cosa significa oggi vivere come zòe e non come bìos, e come questo passaggio spieghi il senso profondo della nostra disumanizzazione.

Capitolo IV – Zòe contro Bìos: vivere o esistere?

“Non basta respirare per essere vivi.”

L’uomo contemporaneo è vivo, sì. Ma che tipo di vita è la sua? Respira, produce, consuma, si sposta, comunica. Ma questa è vita nel senso minimo, biologico, meccanico. È la zòe dei Greci: la vita nuda, che condivide con gli animali, con le macchine, con ogni organismo capace di mantenersi in funzione.

“Zòe è il corpo che funziona. Bìos è l’anima che vive.”

La distinzione tra zòe e bìos, ripresa da Giorgio Agamben, è oggi più attuale che mai. L’uomo ridotto a zòe è gestito, monitorato, protetto, ma non più libero. La sua esistenza è garantita — e insieme svuotata. Lo stato lo nutre, il mercato lo serve, la tecnologia lo accompagna. Ma nessuno gli chiede chi è, cosa vuole, perché è al mondo.

“La società del benessere ha prodotto la fine dell’essere.”

L’uomo come bìos, invece, è essere sociale, politico, spirituale. È colui che vive in una rete di relazioni significative, che partecipa alla costruzione del mondo, che cerca non solo il piacere o la sicurezza, ma il senso. È l’uomo che ama, che lotta, che sbaglia, che spera. È colui che vive con l’altro e per l’altro.

Il problema del nostro tempo è che abbiamo scambiato la vita per la sopravvivenza. Abbiamo trasformato l’uomo in una creatura da preservare, non da realizzare. Ogni istanza trascendente è stata rimossa: Dio, la comunità, il destino, la bellezza. È rimasto solo l’individuo, chiuso nella sua zòe, alimentato da dispositivi, ma incapace di esistere come bìos.

“L’uomo nudo è al sicuro, ma è morto dentro.”

Anche la medicina, la scienza, il potere politico si sono piegati a questa logica: quella di preservare la funzione, non di alimentare la forma. E così, lentamente, ci siamo disabituati alla profondità. Non sappiamo più pregare, soffrire, contemplare, educare, costruire. Sappiamo solo durare.

“La zòe dura. Il bìos dà forma alla durata.”

Questa riduzione ha effetti devastanti. Un uomo che vive senza bìos non desidera, non crea, non sogna. Non si riconosce nell’altro, perché non ha più un volto, ma solo un’identità digitale. È numerabile, profilabile, sostituibile. È ciò che resta dopo la fine dell’umano.

Ma forse, proprio da qui, dal fondo di questa condizione, può nascere una domanda nuova. Se zòe è sopravvivere, e non ci basta più, allora forse possiamo ancora scegliere il ritorno a bìos. Possiamo ancora desiderare di vivere, non solo di durare.

“Non è vivere che conta, ma vivere bene.”Platone

In sintesi. Abbiamo ridotto l’uomo a organismo. Ma l’organismo non conosce il significato.
Nel prossimo e ultimo capitolo, proveremo a immaginare una via per tornare al desiderio: non come nostalgia, ma come atto di resistenza e di rinascita.

Capitolo V – Ritorno al desiderio: elogio dell’assenza

“Solo ciò che manca può essere amato.”

Il desiderio è stato cacciato, disinnescato, svilito. Ma non è morto. Riposa, forse. Si è fatto timido, sotterraneo, intermittente. Eppure, è lì, sotto la superficie del rumore, sotto i consumi e le abitudini, sotto l’apparente sazietà del mondo moderno.

In fondo, non abbiamo mai smesso di desiderare. Abbiamo solo smesso di crederci. Ci siamo convinti che fosse inutile, irrazionale, scomodo. Ma la verità è che il desiderio è la forma più alta della coscienza. È l’uomo che riconosce di non bastarsi. È la voce che dice: voglio, cerco, manca qualcosa.

“Il desiderio è ciò che salva l’uomo dalla prigione del presente.”

Per tornare a desiderare dobbiamo reimparare l’assenza. Dare valore al silenzio, al tempo lungo, alla parola che tarda a venire. Riconoscere che ciò che vale non si ottiene subito, e che proprio perché manca, vale.

Viviamo in un tempo che ha criminalizzato la mancanza. Ogni vuoto dev’essere colmato. Ogni attesa deve essere resa efficiente. Ogni sogno, convertito in prestazione. Ma è nel vuoto che nasce l’eco. È nello spazio che si muove l’anima. È nell’assenza che si dà la presenza più vera.

“L’assenza non è la negazione dell’amore. Ne è la prova.”

Per questo il desiderio è atto di resistenza. È scelta contro la saturazione, contro l’appiattimento. È dire: non voglio tutto, voglio ciò che conta. È togliere per ritrovare. È sottrarre per sentire.

La nostra epoca non ha bisogno di nuove soddisfazioni. Ha bisogno di spazi vuoti, di silenzi fertili, di domande senza risposta immediata. Ha bisogno di corpi che si toccano davvero, di parole che si aspettano, di sguardi che non cercano il riflesso, ma l’altro.

“Abbiamo fame di qualcosa che non si può cliccare.”

Recuperare il desiderio significa recuperare anche l’idea di limite, di mistero, di sacro. Significa rimettere al centro l’interiorità, l’invisibile, ciò che non serve a nulla ma che ci salva. Il canto, la contemplazione, la gratuità, l’amore non funzionale. Tutto ciò che il mondo contemporaneo non sa più nominare, ma che continua a vivere sotto traccia, come brace sotto la cenere.

“Desiderare è ricordare che siamo vivi.”

E allora, forse, non si tratta tanto di tornare indietro, ma di fermarsi. Respirare. Lasciare uno spazio. Dire “no” al troppo, per risentire il poco come miracolo. Solo chi ha conosciuto l’assenza può dire sì alla vita con verità.

In sintesi. Non siamo creature del bisogno, ma del desiderio.
E il desiderio è un gesto nobile, fragile, infinito.
È il primo passo verso ciò che non si può possedere, ma che può salvarci.

Capitolo VI Oltre l’uomo minimo: Nietzsche e la rinascita del desiderio

“L’uomo preferisce ancora il voler nulla al non voler affatto.”Friedrich Nietzsche

Alla fine del percorso, mentre tutto sembra destinato all’appiattimento, al vuoto saturo, al silenzio del senso, ecco che si alza la voce più radicale della filosofia: quella di Nietzsche. Non una voce di consolazione, ma di sfida. Non una risposta, ma un rovesciamento del problema.

“L’umanità è qualcosa che dev’essere superata.”

Nietzsche non crede nella restaurazione dei vecchi valori, ma nella creazione di nuovi. E il punto di partenza è proprio il desiderio. Desiderare non è consumare. Desiderare, per Nietzsche, è trasvalutare, creare, danzare sull’abisso.

L’“ultimo uomo”, colui che non desidera più, è la figura che Nietzsche oppone al Superuomo: un essere che si accontenta, che evita il rischio, che si protegge dalla profondità. L’ultimo uomo dice: “Un tempo tutto il mondo era folle”, e si sdraia nel comfort. Ma così facendo, si spegne.

“Essi hanno abbandonato le grandi cose, per accontentarsi delle piccole.”

Il Superuomo, invece, è colui che abbraccia la mancanza, che non cerca sicurezza, ma senso, non riparo, ma altezza. È l’uomo che desidera anche l’eterno ritorno dell’assenza, che sa dire alla vita anche nel suo vuoto, anche nel suo dolore.

“Io voglio la vita, tutta intera.”

Nietzsche non ci chiede di tornare indietro, ma di osare in avanti. Non di riempire il vuoto, ma di renderlo fertile. In questo, è forse il vero filosofo del desiderio come energia originaria, come forza dionisiaca, come affondo contro la stanchezza del mondo moderno.

Il Superuomo: chiarimento necessario

È indispensabile, prima di chiudere, chiarire un equivoco diffuso e devastante: il Superuomo nietzscheano non è mai stato pensato come un dittatore o un capo di masse, né come un modello per ogni dominio politico o razziale. Nietzsche stesso ha più volte deriso e respinto il nazionalismo, l’antisemitismo, ogni ideologia della “razza”, ogni culto della forza cieca. L’Übermensch, al contrario, è figura etica e spirituale, non biologica né politica.

“L’uomo è qualcosa che dev’essere superato.”

Il Superuomo nietzscheano è colui che desidera oltre sé, non per dominare, ma per creare nuovi valori. Non accetta il sé come dato, né si accontenta dei valori ereditati: li attraversa, li mette alla prova, li trasforma in atto poetico.
Non è narcisista, non cerca la sicurezza. È, piuttosto, un artista tragico dell’esistenza: sa vivere sull’abisso, dire sì alla mancanza e alla fragilità, assumere il dolore e l’assenza non per annullarsi, ma per dare forma e senso al proprio cammino.

“Il Superuomo è colui che danza sull’abisso e sa dire sì alla vita.”

Questa figura nietzscheana non ha nulla a che vedere con i deliri di potenza del Novecento. Non rappresenta una razza superiore, ma uno spirito più profondo, capace di inventare se stesso e il proprio destino.
La sua grandezza sta nel desiderare ancora là dove il mondo si accontenta di sopravvivere, nel trasformare la mancanza in forza creativa, nel vivere la vita come arte e rischio, non come funzione o rifugio.

“Meglio volere il nulla che non volere affatto.”

Così, Nietzsche si oppone a ogni riduzione utilitarista o biologica dell’uomo. La sua sfida è spirituale: andare oltre l’io minimo e la nuda vita, per osare il salto verso una nuova forma dell’umano – una forma che sa ancora desiderare, creare, ardere.

Sull’orlo del desiderio

Il desiderio non è un problema da risolvere, ma una vertigine da abitare.
In un’epoca che ci vuole ultimi uomini, il gesto più radicale è desiderare ancora.
Non per possedere.
Ma per creare nuovi mondi.

Indice del saggio

Sei sovrano, ma ti hanno tolto il regno
La crisi del desiderio nell’epoca della saturazione

  1. Il sovrano senza regno
    L’io postmoderno è libero ma svuotato. Non ha più un regno dove esercitare la sua sovranità. Il desiderio è spento, sostituito dal bisogno di visibilità.

  2. Dal desiderio al bisogno
    Il desiderio, un tempo slancio creativo, è diventato bisogno programmabile. Il consumo ha preso il posto dell’attesa, la soddisfazione quello della tensione.

  3. La saturazione come forma di annientamento
    L’eccesso di stimoli ha annientato il valore. Nulla si desidera perché tutto è già disponibile. La noia e la stanchezza diventano il nuovo paesaggio interiore.

  4. Zòe contro Bìos: vivere o esistere?
    L’uomo è ridotto alla sua funzione biologica. Ma vivere non è durare. Solo bìos, la vita piena, relazionale, spirituale, può restituirci l’umano.

  5. Ritorno al desiderio: elogio dell’assenza
    Per desiderare occorre mancare. L’assenza è lo spazio del senso, il luogo in cui può rinascere l’amore, la parola, la forma. Un elogio della distanza come atto di resistenza.

  6. (Appendice) Nietzsche e la rinascita del desiderio
    Il Superuomo nietzscheano è un artista del desiderio, non un tiranno. Rifiuta l’ultima umanità, satura e stanca, per creare nuovi valori a partire dal vuoto.

Riccardo Alberto Quattrini

📚 Bibliografia

  • Agamben, Giorgio, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 1995.
  • Arendt, Hannah, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, 1994.
  • Bachelard, Gaston, La poetica dello spazio, Dedalo, 1975.
  • Bachelard, Gaston, La fiamma di una candela, Red Edizioni, 2004.
  • Barthes, Roland, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 1977.
  • Baudrillard, Jean, La società dei consumi, Il Saggiatore, 1976.
  • Baudrillard, Jean, La trasparenza del male, Cortina, 1990.
  • Bauman, Zygmunt, Modernità liquida, Laterza, 2002.
  • Bauman, Zygmunt, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, 2000.
  • Bobin, Christian, L’uomo che cammina, AnimaMundi, 2017.
  • Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2012.
  • Byung-Chul Han, Psicopolitica, Nottetempo, 2016.
  • Byung-Chul Han, L’espulsione dell’altro, Nottetempo, 2017.
  • Byung-Chul Han, Topologia della violenza, Nottetempo, 2011.
  • Deleuze, Gilles, Nietzsche e la filosofia, SE, 1997.
  • Illich, Ivan, La convivialità, Red Edizioni, 2005.
  • Klossowski, Pierre, Nietzsche e il circolo vizioso, Adelphi, 1990.
  • Lasch, Christopher, L’io minimo, Feltrinelli, 1995.
  • Le Breton, David, La fatica di essere se stessi, Einaudi, 2003.
  • Marcuse, Herbert, Eros e civiltà, Einaudi, 1964.
  • Nietzsche, Friedrich, Così parlò Zarathustra, varie edizioni.
  • Nietzsche, Friedrich, La gaia scienza, varie edizioni.
  • Nietzsche, Friedrich, Genealogia della morale, varie edizioni.
  • Nietzsche, Friedrich, Al di là del bene e del male, varie edizioni.
  • Platone, Simposio, Fedone, Gorgia, varie edizioni.
  • Plotino, Enneadi, Bompiani, 2002.
  • Rilke, Rainer Maria, Lettere a un giovane poeta, Adelphi, 1986.
  • Vattimo, Gianni, Introduzione a Nietzsche, Laterza, 2002.
  • Weil, Simone, Attesa di Dio, Adelphi, 1994.
  • Weil, Simone, La prima radice, SE, 1990.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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