Sopra gli affranti, i manovratori se la ridono e vincono la partita

SEMPRE ALLEGRI BISOGNA STARE

Dario Fo

I meno giovani ricorderanno Ho visto un re(1), la canzone scritta da Dario Fo, leit-motiv di uno spettacolo portato per anni sulle piazze e nei teatri di tutta Italia. Il ritornello era: sempre allegri bisogna stare, ché il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale. Quell’invito va ora declinato al contrario: sempre allegri bisogna stare ché il nostro piangere fa bene al re. La post modernità terminale, infatti, è un tempo di grande mestizia, tetro, di programmatica tristezza: dilagano gli offesi, i moralisti invertiti, le sedicenti vittime, i censori di pensieri, parole, opere e omissioni, al grido “piagnoni di tutti i paesi, unitevi”. Contro la normalità, l’umorismo, l’allegria.

Sopra gli affranti, i manovratori se la ridono e vincono la partita. Sotto, è un grigio panorama di sopracciglia aggrottate, indignazione a comando, bontà falsa come l’oro di Bologna. Dappertutto si sorvegliano nemici, si brandisce l’indice accusatore come un’arma, ovunque si montano forche mediatiche, in attesa di veri patiboli contro i mostri, colpevoli di non essere come vogliono il re e l’imperatore. Pur da una prospettiva di soffocante marxismo, Dario Fo enunciava una verità bruciante: il potere è nemico, disumano, ingiusto. Diffonde, tra correttezza politica, cultura della cancellazione, paura alimentata a tutta voce – dell’epidemia, del disastro climatico, del futuro, delle differenze- una psicosi di massa sospesa tra terrore, incertezza, tristezza esistenziale. Ci vogliono impauriti, in crisi di nervi per dominarci meglio. Quello che avanza è un mondo punitivo, gregario, un campo di concentramento senza sbarre per un’umanità amministrata come un allevamento.

Nonostante sia tremendamente difficile, bisogna depistare il nemico, metterlo in crisi, sorprenderlo con l’allegria, la nostra speciale resilienza. Non prevarranno se riusciremo a ridere loro in faccia. Una risata grande quanto il mondo – milioni di risate all’unisono – smonterebbe tutti i castelli di sabbia. Giano Accame diceva che per capire chi comanda basta sapere su chi non si può scherzare. Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi. Il politicamente corretto uccide non solo la satira e il libero pensiero, ma crea un canone inverso dal quale sono espulse la critica e l’ironia: possono offendere qualcuno.

Una risacca di puritanesimo accigliato attraversa libri, quadri, eventi, film, canzoni, linguaggio. Chi sgarra dalla dittatura degli umiliati e offesi, delle vittime e dei vendicatori in servizio permanente effettivo è condannato alla morte civile. Una barzelletta, una parola sfuggita, un motteggio possono rovinare la vita. La battuta che provoca una risata sincera è interdetta, lo spirito è peccato mortale tra linguaggio inclusivo e neutrale, eufemismo in maschera, ossessione per l’equivalenza dolciastra, negazione dell’evidenza. Proibito non proibire, il Sessantotto capovolto dai suoi figli. A fin di bene, s’intende. 

La resilienza ha bisogno del sorriso. L’espressione angosciata, ostile di Greta Thunberg, l’eroina ambientalista creata e messa sul trono da chi ogni giorno sfrutta, inquina, consuma risorse, produce un sentimento di pena per la ragazza e di ribrezzo per chi ha montato attorno a lei un circo di paura allo scopo di farci accettare un futuro da incubo e poi presentarci il conto. Moltissimi giovani sono afflitti da ansie e timori tra profezie di sventura, ossessioni dell’imminenza e inevitabilità di catastrofi, simili al terrore irrazionale dell’anno Mille.

Ogni giorno viene proclamata una nuova apocalisse. Credevamo finita l’era del potere esercitato attraverso la paura, ma siamo avvolti, dominati dall’angoscia. Il pianeta è in pericolo, le epidemie ci stermineranno, eccetera. Chi nega è il nemico assoluto. Bisogna battere i denti per il terrore, credere nella narrazione che scende dall’alto e assoggettarsi: non c’è alternativa. Scherzare, vivere senza troppi timori è severamente vietato.

Il primo romanzo di Milan Kundera, scrittore ceco, si intitolava Lo scherzo e gli costò l’ostracismo del regime comunista. Ludvik, il protagonista, studente universitario iscritto al Partito, ironizza sull’ottimismo obbligatorio, sulla lotta tra stalinisti e trotzkisti. In una cartolina a un’amica scrive per scherzo “l’ottimismo è l’oppio del popolo. Lo spirito sano puzza di idiozia. Viva Trotzky.” Intercettata la lettera, un potere che ignora l’ironia lo trasforma in nemico del regime, costruendo su di lui una ragnatela di bugie. Non esiste forza capace di modificare quell’immagine. È la verità ufficiale, molto più reale di lui stesso. “Sono io la sua ombra, non il contrario. Non è lei che deve essere accusata di non assomigliarmi: la dissimiglianza è colpa mia.” Aveva interiorizzato una colpa non commessa. 

La post democrazia non tollera ironia, scherzi, risate. Il potere è terribilmente serio: vuole essere considerato come e più di Dio, via, verità e vita. Ridere è insubordinazione. Non risero alcuni universitari che, a ridosso del Duemila, ascoltarono il professore americano Coleman Silk ironizzare su due studenti che non si presentavano mai a lezione. Non li conosceva e li definì spettri. Disgraziatamente “spooks” era nel passato un modo spregiativo per indicare i neri, anzi gli afroamericani, etnia dei due assenteisti. La persecuzione fu implacabile; per una battuta interpretata come razzismo, detta senza intento derisorio o diffamatorio, Silk lasciò l’università. La sua storia divenne la trama di un romanzo di Philip Roth, La macchia umana. Era il Duemila e Roth, con l’intuito dell’artista, presentiva l’odore acre del neo- puritanesimo.

Impazza la ricerca di frasi, parole, espressioni del volto o gesti non conformi al codice vigente. Che sia tempo di passare alla clandestinità, cercare un luogo sicuro, una soffitta o un sotterraneo dove si possa ridere in santa pace? Scrive Philip Roth: “noi lasciamo una macchia, una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui. Nulla a che fare con la grazia o la salvezza o la redenzione. È in ognuno di noi. Insita. Inerente. Qualificante. La macchia che esiste prima del suo segno. Che esiste senza il segno. La macchia così intrinseca che non richiede un segno. La macchia che precede la disobbedienza, che comprende la disobbedienza e frusta ogni spiegazione e ogni comprensione. Ecco perché ogni purificazione è uno scherzo. Uno scherzo crudele, se è per questo. La fantasia della purezza è terrificante. È folle. Cos’è questa brama di purificazione, se non l’aggiunta di nuove impurità?” 

Il potere può accettare molte cose, ma non che si rida di lui. L’altra faccia dell’ironia è il riso che genera: possono censurare una barzelletta, una battuta, una frase, perseguitare chi la pronuncia, ma è difficile che queste cessino di provocare sorrisi. È la lezione di un quadro famoso, La risata, del pittore futurista Umberto Boccioni. Il dipinto trasmette vitalità, forza, emozione dirompente che dalla protagonista si irradia contagiosa e si appropria di chiunque incontra. Tutt’altro rispetto a un quadro olandese del Cinquecento, Lo sciocco che ride: sguardo vacuo, l’espressione di chi si lascia vivere, preda di emozioni elementari, il copricapo con le orecchie d’asino; molto politicamente scorretto, ma esemplare. E’ la risata gradita al re e all’imperatore di chi non sospetta lontanamente di essere vittima di inganni e manipolazioni, il suddito perfetto.

Umberto Boccioni. La risata – 1911. Museum of Modern Art di New York

Panem et circenses, cibo e svaghi, era la formula del potere presso i Romani. Per I Borbone, le tre “effe”, feste, farina e forca. Ce n’è una quarta, la fifa, che è diventata l’asse della governance globalitaria (globale e totalitaria). Le neuroscienze, ancelle del Dominio, sembrano aver disattivato le aree cerebrali preposte ai dubbi, al giudizio, alla diffidenza salutare. La paura è un’alleata preziosa. Si resiste solo se la corazza spirituale è forte, inviolata, bastione del coraggio. È la lezione di Gandhi, tanto equivocata dal belante pacifismo occidentale. La paura è contagiosa, ma lo sono anche il coraggio e la franca risata che smaschera le bugie.

Dalle tribune ufficiali ci dicono che cosa dobbiamo pensare, come possiamo parlare, quali bandiere innalzare, chi ha il diritto di offendersi. Ora spiegano anche quale dieta dovremo adottare, deliziosi insetti e saporita carne artificiale. Una parte della popolazione accetta tutto, ma un’altra resisterà. In privato o in clandestinità, qualcuno irriderà ancora il potere, la sua seriosità bugiarda, i totem e i tabù che vuole imporci.

Saranno capaci di controllare anche le nostre risate? Un teatro barcellonese, per fare fronte all’aumento delle imposte sui biglietti, ha inventato un’applicazione in grado di conteggiarle. L’ingresso è gratuito, si paga un tanto a risata. Pare che gli incassi siano aumentati, ma il rovescio della medaglia è che quegli strumenti possono essere usati per sorvegliarci.

Il riso ha a che fare con lo slancio vitale. Per Henri Bergson è un fenomeno dalla precisa utilità che corregge l’irrigidimento della vita sociale, la sanzione più efficace contro tutto ciò che non va. Il riso, insomma, non abbonda sulla bocca degli sciocchi, ma è un rimedio contro il potere, la sua falsità ingessata, contro chi si prende troppo sul serio.

Il gruppo Monty Python inventò uno sketch esilarante, il caso di Ernest Scribbler(2), autore di racconti e storielle allegre, creatore della barzelletta più spassosa del mondo, così comica che uccideva dalle risate chi la ascoltava. La prima vittima fu lo stesso Scribbler, seguito da chi la lesse. Poi toccò ai poliziotti che indagavano su quelle morti inspiegabili, finché l’esercito inglese decise di usare la storiella come arma letale contro il nemico tedesco. I traduttori lavorarono separatamente, uno per ogni parola, per evitare la morte. Stamparono migliaia di copie, lette a squarciagola dai soldati in battaglia. I nemici cadevano morti all’istante, torcendosi dalle risate. La storia termina con un accordo internazionale che ordina di seppellire al cimitero l’ultima copia del testo fatale – rimasto sconosciuto – con l’epitaffio “alla barzelletta ignota”.

Screenshot del film dei Monty Python E ora qualcosa di completamente diverso (1971) diretto da Ian Mac Naughton. Sketch La barzelletta più divertente del mondo (The Funniest Joke in the World). Wikipedia p.d.

È probabile che il prossimo passo della polizia della neo morale puritana – serissima, nemica del sorriso e dell’ironia – sia seppellire o dare alla fiamme parole e battute divertenti, nel tentativo di impedire che qualcuno rida di ciò che dice o fa il potere. Non è una novità, ma è singolare che accada sotto un regime autoproclamato democratico, libero, tollerante. Forse è questa la barzelletta più divertente del mondo; la censurano affinché non ne ridiamo.

Viviamo in un’atmosfera avvelenata in cui la crudeltà si ammanta di retorica umanitaria, in un’ossessione moralistica, vittimista, regno dei permalosi. Lo scherzo, il buonumore, la risata lasciano il campo a un plumbeo conformismo il cui sogno è il silenzio del cimitero. Coleman Silk scherzava definendo “Zulù” gli allievi assenti; Ludvik voleva solo fare colpo su una ragazza. Pollice verso: il presente è peggio, lo spazio è occupato da personalità cupe, accigliate, piene di rancore. Compromissione delle interazioni sociali, schemi comportamentali ripetitivi e stereotipati, attività e interessi ristretti a determinati ambiti, fobia sociale: sintomi di Asperger?

Lo scherzo, la battuta di spirito, l’arguzia, l’ironia e l’auto ironia non appartengono alla generazione troppo impegnata in “nobili” cause per prendersi il lusso di ridere. Spiriti gravi, un mondo senza sorriso: vietato ironizzare sui loro innumerevoli tic. Gufi, o uomini come quelli di Thomas Stearns Eliot. “Siamo gli uomini impagliati/che appoggiano l’un l’altro /la testa piena di paglia. /Figure senza forma, ombra senza colore/forza paralizzata, gesto privo di moto.” 

Arriveremo al limite: non si potrà più ironizzare su nulla, tutti lotteremo per dimostrare di essere più vittime degli altri. Intaseremo i tribunali di denunce, ciascuno sarà insieme martire e carnefice, destino di un mondo senza risate, cioè senza intelligenza, in cui tutti si prendono terribilmente sul serio. Vivremo in una bolla di “sacri principi” intangibili, di tabù inviolabili. Più ingiustizia, più oppressione, finché un giorno la bolla scoppierà: qualcuno racconterà la barzelletta più divertente e una risata li seppellirà.

Sempre allegri bisogna stare. L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo. La stampa non può essere soggetta a censure. La legge è uguale per tutti. Nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario. Allegria di naufraghi. 

Roberto Pecchioli

Note:

(1)Ho visto un re” è una delle canzoni più famose di Dario Fo, tratta dallo spettacolo Ci ragiono e canto. La musica è di Paolo Ciarchi, che però all’epoca non era registrato alla SIAE, ragione per cui l’autore delle musiche è registrato essere Ernesto Esposito, sotto lo pseudonimo di Omicron.[1] Le sue origini vengono spesso ricondotte erroneamente a un adattamento di una canzone popolare catalana. La canzone costituisce un’ironica presa di posizione nei confronti dei potenti, i cui interessi vanno sempre a scapito della gente comune. Jannacci propose “Ho visto un re” alle audizioni per partecipare a Canzonissima 1968, ma la canzone fu respinta a causa del testo, e Jannacci ripiegò quindi su “Gli zingari”. Negli anni successivi, il brano è divenuto molto celebre dopo essere stato cantato insieme a grandi personaggi della musica e della comicità italiana, tra cui lo stesso autore Dario Fo e Paolo Rossi. (n.d.b)

(2) La barzelletta più divertente del mondo

La barzelletta più divertente del mondo (in inglese: The Funniest Joke in the World) è uno sketch del Monty Python’s Flying Circus della prima puntata della prima serie. La premessa dello sketch è che la barzelletta è così divertente che fa letteralmente morir dal ridere. Durante la Seconda guerra mondiale, Ernest Scribbler, un “fabbricante di barzellette” inglese (Michael Palin), creò la “barzelletta più divertente del mondo” e, dopo averla letta, letteralmente morì dal ridere. Anche sua madre (Eric Idle) la lesse e morì. Un ispettore di Scotland Yard (Graham Chapman) entrò eroicamente nella casa per recuperare la barzelletta e, allo scopo di attenuarne gli effetti, fece intonare a tre suoi colleghi, rimasti all’esterno, una triste nenia di sottofondo, ma non funzionò e morì dal ridere. L’Esercito britannico decise di utilizzare la barzelletta come arma contro i tedeschi e la fece tradurre, una parola sola ciascuna da un differente traduttore, in modo che i soldati inglesi non potessero capirla, ma i soldati tedeschi sì. Durante tutta la durata dello sketch il testo della barzelletta non viene mai citato direttamente, per cui non si può sapere esattamente di cosa essa parli. Viene citata invece la sua presunta traduzione in tedesco:

«Wenn ist das Nunstuck git und Slotermeyer? Ja! Beiherhund das Oder die Flipperwaldt gersput!» Tale testo, tuttavia, contiene solo parole prive di senso, create ad arte per sembrare “tedesche” [Wikipedia] (n.d.b)

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