In un futuro prossimo, dove la rete ha preso il posto del sonno e l’amore è diventato inefficiente, due anime scisse si cercano nella sola fessura ancora aperta: il Nodo 9. Un errore nel sistema. Un miracolo fuori dal tempo.
SEMPRE INSIEME, ETERNAMENTE DIVISI
Racconto
Un mondo dove il tempo non si ferma.
Chi osa amare, sogna.
Chi sogna… sparisce.
Eppure qualcuno, nel margine tra codice e cuore, ha lasciato una finestra aperta
L’ufficio di Lyra ed Enea
Prima della Frattura, Lyra ed Enea condividevano un piccolo studio al secondo piano di un edificio obliquo in vetro e acciaio, zona borderline tra settore centrale e zona grigia.
’ufficio era:
- Minimalista e disordinato, con terminali ovunque
- Un angolo per Lyra con fotografie stampate (quasi illegali in un mondo 100% digitale)
- Un’area per Enea, piena di schemi mentali, mappe neurali, codici
- Una vetrata enorme: da lì vedevano i tram, la pioggia, e qualche volta… le stesse nuvole
Era un luogo di progetti condivisi, ma anche di conflitto emotivo:
per Enea, un laboratorio;
per Lyra, un rifugio fragile.
Dopo la Frattura, Lyra continua a tornarci di notte, come una rituale abitudine, anche se il posto è abbandonato.
Le luci non funzionano.
Ma lei lascia ancora fotografie nuove sulla scrivania di lui.
Lyra: chi è, davvero
Lyra è una free-lance indipendente, non ufficialmente registrata nella rete.
Lavora per editori dissidenti, reti artistiche clandestine, piccole testate locali.
Scatta solo con macchine analogiche, sviluppa le sue foto a mano, in una vecchia camera oscura nascosta sotto una libreria.
In un mondo dove tutto è perfettamente replicabile, Lyra crea immagini che non possono essere cancellate.
È amata e temuta.
E per questo… era osservata.
Enea: prima della caduta
Neuroscienziato di formazione, progettista del Progetto ONYX, ha scelto Lyra come caso studio… e se n’è innamorato.
Il suo tradimento iniziale (firma della separazione sperimentale) nasce dalla paura, non dal cinismo.
Dopo la Frattura, vive nel loop del rimorso, diventando un sabotatore silenzioso del progetto stesso.
Nel mondo di superficie, è ufficialmente “morto”.
Nel Nodo… vive ancora.
Periodo storico: distopico, futuribile
L’azione si svolge in un futuro imprecisato, ma non troppo lontano: circa metà del XXI secolo (2045–2055).
È un’epoca in cui l’umanità non è stata distrutta da una guerra o da un disastro naturale, ma gradualmente spezzata in silenzio dalla promessa della connessione continua.
Le grandi megalopoli si sono fuse in ecosistemi urbani iper-digitalizzati, dove la rete cognitiva Sphera scandisce ogni pensiero, ogni presenza, ogni istante.
Non ci sono governi visibili: solo infrastrutture invisibili che regolano ciò che si prova, ciò che si dimentica, ciò che si è.
Il mondo non dorme più.
Il sonno, i sogni, la disconnessione… sono considerati anomalie.
La tecnologia non impone con la forza, ma con la logica:
“La continuità è libertà.”
“L’amore è inefficiente.”
In questo sistema senza pause, chi rifiuta il collegamento viene lasciato indietro, esiliato in zone grigie ai margini della città e del tempo.
La resistenza non è armata.
È umana. Sottile. Invisibile.
Ed è lì che vivono Lyra ed Enea:
due anime separate dalla Frattura,
che imparano a toccarsi nel solo luogo dove la rete non può entrare:
tra i sogni.
Nel Nodo 9 (1)
Capitolo zero – Prima della Frattura
«Non sapevamo ancora di essere un errore.
Ma già allora ci tenevamo a distanza,
per non rovinarci.»
— Lyra, archivio privato ∂-Delta
Due anni e quattro mesi prima
Quartiere alto – Settore 12
La città era ancora viva, allora.
Le ombre non avevano paura.
La rete non spiava tutto.
E il crepuscolo non era un confine, ma solo una luce arancione tra le case.
Lyra e Enea sedevano sul bordo di un edificio, gambe nel vuoto, mani troppo vicine per essere amiche, troppo lontane per essere amanti.
Il cielo sopra era limpido.
I droni non passavano in quella zona.
Era il loro posto.
«Tu hai sempre paura che ti leggano il cuore,» disse Lyra.
«Perché è pieno di cose che non capisco.»
«E se lo leggessi io?»
«Tu sei l’unica a cui lo lascerei fare.»
Si guardano.
Non si baciano.
C’è ancora quella tensione che fa tremare le parole prima che diventino promesse.
Enea tira fuori una lattina di metallo opaco.
Gliela porge.
«Cosa sarebbe?»
«Succo sintetico. Ma profuma come limone vero.»
«Se esplodo, è colpa tua.»
«Se esplodi, almeno lo fai accanto a me.»
Bevono.
Ridono.
Scendono a piedi.
Passeggiano tra i mercatini illegali di tecnologia riciclata.
Cavi annodati. Hologrammi disattivati. Chip fuori uso.
Lyra si ferma davanti a una bancarella.
«Guarda. È una macchina fotografica a rullino.»
«È pesante.»
«È vera.»
La compra.
Scatta la prima foto: Enea che la guarda senza difese.
«Cos’era?»
«Il momento in cui ho deciso di volerti nel mio tempo.»
Più tardi, nella loro stanza.
Non parlano.
Scrivono.
Ognuno sul proprio terminale, ma in una finestra condivisa:
- Lyra: “Se sparissi oggi, cosa ricorderesti di me?”
- Enea: “Che non mi hai mai chiesto di essere diverso.”
Silenzio.
Poi lei scrive:
“Ti amerò anche se diventerai un’ombra.”
Enea salva la frase.
Senza sapere quanto lo farà soffrire davvero.
Giorno dell’annuncio ONYX
Il Progetto viene approvato.
Enea riceve una proposta da SpheraTech:
Mappatura delle sinapsi affettive. Studio delle co-esistenze cognitive. Una nuova frontiera tra coscienza e connessione.
È un onore.
È un rischio.
Ne parla con lei.
«Potresti guidarlo tu.»
«Sì.»
«Ma ci coinvolgerebbe entrambi?»
«Solo se tu vuoi.»
«E se ci perdesse?»
«Non succederà.»
Lyra annuisce.
Poi si abbracciano.
Troppo forte.
Troppo lungo.
Ultima scena del prequel
Una registrazione dimenticata.
Lyra parla da sola nel buio.
«Ho paura che lui voglia salvarmi come si salva un algoritmo.
Ma io non voglio essere corretta.
Voglio che mi ami anche quando sbaglio.
Soprattutto allora.»
Pausa.
«Domani iniziamo.
E io non so se questa sarà l’ultima notte in cui lo sento solo mio.»
«C’è un momento, ogni giorno, in cui il mondo sembra sospeso tra due respiri.»
Il sole sta calando. I vetri dei palazzi riflettono un’ultima luce dorata.
La città, nel suo silenzio artificiale, somiglia a un organismo che ha smesso di muoversi.
Come se persino le sue luci fossero trattenute, nell’attesa.
Enea siede di fronte al suo terminale, gli occhi fissi sullo schermo.
La luce del monitor gli incide il viso in due: una metà illuminata, l’altra nell’ombra.
Le sue dita scorrono lente, quasi esitanti.
Apre una cartella: “From: Lyra”.
Dentro, una sola immagine.
Una strada bagnata dalla pioggia, deserta. Due ombre allungate in direzioni opposte.
«Sempre insieme, eternamente divisi.»
La frase è impressa su una targa arrugginita, al margine di un marciapiede.
Non è solo una didascalia. È una lama.
Enea abbassa lo sguardo.
Poi indossa le cuffie e attiva la traccia audio allegata.
La voce di Lyra entra nelle sue orecchie con la delicatezza di una ferita che non vuole guarire:
«Hai mai avuto la sensazione di essere a un respiro da qualcuno… ma in un altro mondo?»
Enea chiude gli occhi.
Per un attimo, il respiro si interrompe.
Nel buio dietro le palpebre, appare il viso di lei.
Non quello delle ultime registrazioni. Ma quello che ricordava: caldo, vivo, presente.
Lyra che gli leggeva frasi da Borges sottovoce. Lyra che sorrideva mentre spostava le mani sulla tastiera come se stesse suonando un pianoforte.
Poi, con voce roca, risponde nel microfono:
«Ogni giorno, Lyra. Ogni maledetto giorno.»
La città cambia volto mentre il cielo si oscura.
È il momento critico: la soglia del crepuscolo.
Quel lasso di tempo — due minuti esatti — in cui le loro coscienze, separate da una frattura temporale irreversibile, riescono a sincronizzarsi.
Un miracolo tecnico. Una condanna emotiva.
Sullo schermo compare una griglia. Il timer si avvia:
SYNC TEMPORALE ATTIVA
DURATA: 00:01:59
Una finestra video si apre.
E per un attimo, Enea la vede.
Lyra.
La vera. Non un frammento statico, ma lei, viva. In tempo reale.
«Sei ancora lì?»
«Sì.»
«Ho paura che un giorno non riusciremo più nemmeno a sentirci.»
«Allora oggi non è quel giorno.»
Silenzio.
«Ho trovato qualcosa,» dice lei. «Un nome: Icarus. Vive sotto la linea. Nei tunnel del vecchio data center in disuso, zona est.»
«Icarus? Quel fanatico? Lo scienziato che vive come un virus sotto la rete?»
«Dice che può disfarla. La frattura.»
«E ci credi?»
«Non lo so. Ma è la prima cosa nuova che ho scoperto da mesi.»
Enea annuisce lentamente.
Lyra non può vederlo, ma forse lo sente.
«Domani…»
«Domani al crepuscolo.»
«Promesso.»
«Promesso.»
Poi la finestra video comincia a tremare.
Il tempo è finito.
SYNC TERMINATA
CONNESSIONE INTERROTTA
Lo schermo si spegne.
Enea resta seduto, il viso immobile.
Lentamente si toglie le cuffie.
Il silenzio ora è reale. E completo.
Ore 06:03
La luce artificiale della stanza non cambia.
Il giorno è entrato, ma lui non lo percepisce.
Si alza. Cammina verso la parete più lontana, dove è appesa l’unica fotografia fisica che possiede.
Lui e Lyra. Abbracciati.
Scattata con una vecchia macchina analogica, qualche giorno prima dell’esperimento ONYX.
Lei ride.
Lui no.
Già allora, forse, sapeva che qualcosa si sarebbe rotto.
Sul tavolo, un quaderno a spirale.
Lo apre. Scrive una nuova nota.
*Giorno 482.
Finestra attiva. Contatto riuscito.
Lyra ha parlato di Icarus. Potrebbe essere reale.
Il suo tono era… diverso. Quasi speranzoso.
Non lo sentivo da mesi.*
Chiude il quaderno.
Guarda il soffitto. Poi il pavimento.
Poi niente.
Nel frattempo, altrove.
Lyra dorme. Ma il suo sonno non è pace.
È attesa.
Compressa. Affilata.
Sogna la pioggia.
Una corsa sotto un ponte.
Una voce che dice: “Non mi lasciare indietro.”
Si sveglia. Ma non si muove.
Il suo corpo non può agire fino a quando il mondo non sprofonda nella notte.
Chiude di nuovo gli occhi.
Sussurra qualcosa.
Nessuno la sente.
«Non voglio vivere in differita.
Voglio vivere con te.
Anche se dura solo un secondo.»
Capitolo 1 – La Frattura
«Tutto è iniziato con una promessa.
E con un errore.»
— Estratto da un file audio cifrato, “Sessione E.0.1”
Due anni prima
Centro Ricerca Neurosinaptica “Arx”, zona riservata
La stanza era bianca come il silenzio prima di una tempesta.
Le pareti vibravano di corrente e luce artificiale.
Al centro, una poltrona semisferica.
Sopra di essa, Lyra.
Gli occhi chiusi. Le tempie coperte da elettrodi. Le mani strette ai braccioli.
Un fascio di luce le scorreva sulla fronte come un pensiero ancora non detto.
Dall’altra parte del vetro, Enea osservava il tracciato cerebrale in tempo reale.
Accanto a lui, il dottor Soleri: mento affilato, mani pulite, sguardo da scienziato che non conosce l’etica, solo l’equazione.
«È pronta?»
«Più che pronta.»
«Il legame sarà stabile?»
«Il protocollo ∂-linea è ancora sperimentale, ma teoricamente sì. Tre minuti. Poi torna. Nessuna conseguenza.»
Enea non rispose.
Non era il tipo da fidarsi delle teorie.
Il procedimento iniziò con un clic.
La stanza si oscurò.
Un respiro metallico attraversò le pareti.
Lo schermo principale mostrava l’avatar cognitivo in costruzione: una figura trasparente, ancora instabile, che replicava l’attività cerebrale di Lyra come un doppio fantasma.
Lyra era cosciente.
Lo sapeva.
La sua voce risuonò nel microfono:
«Enea? Riesci a sentirmi?»
«Sì, sei dentro. Come ti senti?»
«Diversa. Come se fossi in un sogno, ma senza sogni.»
Per un istante tutto sembrò andare secondo i piani.
Lyra fluttuava nella sua mente aumentata. Un paesaggio si formava intorno a lei: non era reale, ma lo sembrava. Un campo aperto. Un cielo irreale. Alberi senza foglie. E al centro, un tavolo con sopra il suo taccuino.
Lo aprì. Tutte le pagine erano vuote, tranne una: un cerchio spezzato.
Ma all’esterno, i tracciati si piegavano.
Il ritmo cerebrale si sdoppiava.
Soleri sussultò.
«Sta dividendo!»
«Cosa?»
«La copia non si sincronizza, Enea. Sta duplicando! Sta prendendo autonomia.»
Un allarme suonò.
Enea digitò la sequenza d’interruzione.
Nessun effetto.
«Lyra! Conta fino a dieci! Chiudi gli occhi!»
«Non riesco… non sono sola qui dentro…
c’è qualcun altro… sento… la mia voce… ma non sono io.»
Lo schermo esplose in artefatti visivi.
Codice impazzito.
Un battito cardiaco accelerato.
Poi una frattura nel flusso.
Enea sfondò la porta d’ingresso.
Lyra era ancora lì. Gli occhi chiusi.
Il suo respiro era vivo.
Ma la coscienza primaria non rispondeva.
Tre giorni dopo.
Lyra si svegliò.
Ma solo di notte.
Il primo mese fu un incubo.
Quando Enea era sveglio, Lyra dormiva.
Quando Lyra si muoveva, Enea era già spento.
Un ciclo opposto. Una condanna temporale.
Ogni tentativo di riunirli falliva.
La Frattura, come la chiamò Enea, era diventata il loro confine.
Non una barriera fisica, ma una divisione esistenziale.
Giorno 41
Lyra registrò una nota audio.
«Ho cercato di lasciarti un messaggio sotto il vecchio ponte.
Ma quando sono tornata, era già scomparso.
La notte mangia tutto.
E quando il giorno arriva… tu non ci sei.»
Enea ascoltò quella voce alle sei del mattino.
La riascoltò.
Poi ancora.
Seduto sul pavimento, con le cuffie, come se ascoltasse un fantasma che ama ancora.
Giorno 79
Enea scoprì un file non suo, nascosto nel backup automatico del progetto ONYX.
Nome file: “ICARUS.log”
Una sola riga di testo:
“Non è un errore. È stato programmato. Cerca sotto la linea.”
La notte seguente, Lyra trovò un graffito apparso dal nulla, su una parete del suo passaggio notturno:
“Due coscienze. Una scelta. Un rischio.”
Al crepuscolo successivo, durante la finestra sincronizzata, ne parlarono.
«Qualcuno sapeva.»
«Qualcuno voleva che succedesse.»
«Tu lo sapevi?»
«No. Lo giuro.»
«E se invece sì, e te ne sei solo dimenticato?»
«No. Ma… adesso voglio sapere. E voglio uscirne.»
Lyra chiuse gli occhi.
Poi parlò, piano:
«Hai mai pensato che ci abbiano divisi perché insieme saremmo stati troppo forti?»
Enea non rispose.
Ma la domanda rimase.
Viva.
Incrinata.
Come il primo codice che li aveva separati.
Capitolo 2 – Messaggi lasciati nella città
«Se non possiamo toccarci, allora ti cercherò con gli occhi.
E se non posso vederti, ti lascerò segni da seguire.»
— Lyra, nota audio alle 05:57
La notte avvolge la città con la dolcezza fredda di una mano di pietra.
Lyra cammina, sola, nell’ombra digitale di un mondo che non dorme mai.
La metropoli sembra diversa quando è spogliata dalla luce del giorno.
Più vera.
Più crudele.
Più sua.
Ha il cappuccio tirato su e la macchina fotografica stretta al petto, come una reliquia.
Non è più uno strumento di lavoro: è una bussola.
Un modo per dire a Enea: “Sono qui. E ti cerco.”
Ore 02:33
Sotto il ponte ferroviario di via Lagrange
Lyra si ferma.
Il silenzio è profondo, interrotto solo dal ticchettio distante di un semaforo rotto.
Sotto l’arcata, un vecchio simbolo scolpito nel cemento: una luna e un sole separati da una fessura.
Lyra lo riconosce.
Non c’era la notte prima.
Qualcuno lo ha inciso.
Un brivido le corre lungo la schiena.
Forse è Enea.
O forse qualcosa — o qualcuno — che li osserva.
Accende la macchina.
Scatta.
Poi prende il suo coltellino multiuso e incide sotto il simbolo:
“Per te.
Io ci sono.
Cercami nella luce dei sogni.”
Torna a casa.
Carica la foto.
La salva in una nuova cartella:
“PER ENEA / GIORNO_23”
Ore 10:06
Via Lagrange, quartiere vecchio
Enea riceve la notifica automatica di upload.
La cartella si apre con un suono morbido, familiare.
L’immagine lo colpisce subito.
Il simbolo.
La scritta.
Scorre le dita sullo schermo come se potesse sentire il segno inciso da lei.
Poi prende la bicicletta e parte.
Un bisogno urgente lo spinge a esserci.
Anche se sa di essere sempre in ritardo di dodici ore.
Arrivato sotto il ponte, lascia qualcosa:
una piccola scatola magnetica, nascosta tra i mattoni.
Dentro, un mini modulo vocale. Registra:
«Lo so che sei qui.
Sento il tuo respiro sulle pareti.
Domani ti lascio un file audio.
È la tua canzone preferita.
Rifatta in codice.
Ti aspetto, anche se non posso vederti.»
Poi lo sigilla e si allontana.
Non si volta indietro.
Non servirebbe.
Così nasce una nuova lingua.
Silenziosa.
Persistente.
Una lingua fatta di messaggi lasciati nella città.
Giorno 25
Lyra torna nella vecchia libreria abbandonata.
Sapeva che lui ci andava ogni sabato mattina, prima dell’esperimento.
Infilato tra le pagine di un libro, trova un foglio con un codice QR.
Lo scansiona.
Una voce sintetica legge una frase di Borges:
“Ogni cosa è due cose: la notte è il giorno che dorme.
Tu sei il mio giorno che sogna.”
Lyra sorride.
Poi lascia la sua traccia:
una polaroid incastrata tra le pagine, raffigurante un’ombra appoggiata alla vetrina esterna.
Una sagoma maschile.
Lo ha fotografato da lontano, dodici ore prima.
Sotto, scrive:
“Ti guardo.
Solo quando tu non puoi vedermi.”
Giorno 28
Luogo: vecchio tram dismesso, deposito linea 9
Enea trova un cassetto con dentro una chiave USB, nascosta sotto un sedile.
Dentro: una traccia vocale.
Lyra canta a bassa voce.
Una melodia.
Distorta. Imperfetta. Umana.
«Siamo due metà dello stesso sogno.
E se il sogno si sveglia,
noi spariamo.»
Enea resta seduto, ascoltando in loop.
Non piange.
Non parla.
Solo sente.
Giorno 31
Luogo: terminale metro abbandonata, Stazione Delta
Lyra trova un pacchetto avvolto in plastica: dentro un vecchio lettore musicale.
Lo accende.
C’è una traccia unica.
Una composizione audio-visiva scritta da Enea:
onde cerebrali tradotte in note.
Le frequenze del suo respiro mentre dorme.
Un cuore che batte a vuoto.
La città inizia a portare i segni della loro presenza.
Come se la memoria urbana si stesse risvegliando.
- Tunnel con incisioni:
- Frasi che appaiono nei graffiti: “Aspettami al crepuscolo”
- Segnali criptici sui pannelli spenti: “Non tutti dormono davvero”
Qualcuno li osserva.
O qualcosa.
Forse la rete ha cominciato a sentire i loro passi.
E forse… non approva.
Crepuscolo.
Contatto attivo.
«Ho trovato una traccia che porta alla vecchia centrale dati, zona est.
Icarus vive lì. O forse solo ciò che ne resta.»
«Ci sei già stata?»
«Sì.
Ma mi ha trovato prima lui.
O lei.
Una voce… dentro la rete.»
«Lyra… dobbiamo fare attenzione. Potrebbero usare Icarus come esca.»
«Lo so. Ma se non rischiamo, restiamo prigionieri per sempre.»
«Ti amo.»
«Ti vedo. Anche quando non ti guardo.»
La connessione si spezza.
Ancora una volta.
Ma il legame resta.
E la città ricorda.
Capitolo 3 – Traccia muta
«Ci sono silenzi che non dimenticano.
E voci che restano impresse anche dove nessuno le ha registrate.»
— Lyra, nota marginale su pellicola 14X
Lyra tornò nell’ufficio abbandonato tre giorni dopo la Frattura.
Era pieno di polvere e luce filtrata. Il terminale era ancora lì. Spento.
Un oggetto muto. Come lei.
Non accese le luci. Non ne aveva bisogno.
Sapeva dove mettere le mani: aveva fatto quel gesto centinaia di volte accanto a Enea, e ora lo ripeteva da sola, con la memoria a guidarla.
Si sedette. Aprì la vecchia valigetta analogica.
Dentro, tre rullini e un lettore portatile, quasi illegale.
La rete li definiva “strumenti di romanticismo arcaico”.
Per lei erano dischi rigidi dell’anima.
Avviò il lettore.
Ci mise dentro il rullino più recente.
Non era un video, né un suono.
Era qualcosa che stava a metà.
Un flusso di impulsi visivi raccolti mentre seguiva un’eco.
Enea.
Lo aveva perso, sì.
Ma da qualche parte, qualcosa di lui si rifiutava di scomparire.
Traccia muta.
Così veniva chiamato quel tipo di segnale.
Un residuo elettromagnetico che non produceva suono, ma veniva letto come interferenza affettiva.
Lo usavano gli scienziati per tracciare reazioni tra coscienze.
Lo usava lei per cercare la verità nel rumore.
Fece partire la visualizzazione.
Schermo nero. Poi: tremore.
Una parete.
Una linea di luce.
Una sagoma. Un sussurro che non era sussurro, ma sensazione.
«Lyra…»
(non era voce vera. Ma la riconobbe.)
Si raddrizzò. Mise pausa. Riavvolse.
La riprese.
«Lyra…»
Due fotogrammi dopo, nulla.
Poi una sola immagine, incisa nel rumore:
Una mano che sfiora il vetro.
Poi svanisce.
Le lacrime le salirono agli occhi, ma non caddero.
Era la sua voce.
O almeno… era il modo in cui lui la chiamava.
Come se nel sistema ci fosse ancora una piccola finestra rimasta aperta, solo per loro.
Attivò il terminale principale.
Digitò un comando che Enea usava spesso:/memtraccia 9.RX sig
Apparve una schermata.
makefile
ANALISI IN CORSO… FREQUENZA: INTERMITTENTE ORIGINE: NON DEFINITA ACCESSO: NEGATO
POSSIBILE IDENTITÀ: ∆/LYR
Ma ogni volta che lo faceva, il file si riformava da solo, con piccole variazioni.
Lyra capì:
lui non era completamente sparito.
Qualcosa in lui… cercava ancora.
Scese nel seminterrato.
Lì, dove lui aveva installato i moduli di backup locali, scollegati dalla rete.
Ne aprì uno.
Dentro: vecchi registri, scripta manuali, copie criptate di sessioni neurali.
E un frammento video etichettato solo così:
LY-EN_MUTA.v2
Aprì il file.
Era una conversazione a occhi chiusi.
Enea (fuori campo):
«Se il mio nome svanisse dal tuo tempo,
scrivilo con la luce.
Così saprò dove trovarti.»
Lyra (sussurrando, con la voce spezzata):
«Ti scriverò nei riflessi.
Nei vetri.
Nelle ombre che fanno rumore.»
Poi il video si fermava.
Non si chiudeva: si bloccava.
Come se attendesse una risposta.
Lyra scrisse una frase sopra l’interfaccia, con le dita nude.
“Io ti vedo ancora.”
Il sistema lampeggiò.
Il file si rimise in moto per un solo istante.
Enea comparve. Solo il volto.
Sorrise.
Poi sparì di nuovo.
Uscì dall’edificio mentre il sole calava.
Nelle orecchie ancora quel silenzio pieno.
Tornò a casa e sviluppò un negativo.
Lo aveva scattato senza accorgersene, proprio mentre il file si apriva.
Nell’immagine:
-
una linea d’ombra
-
un riflesso
-
e due mani che si sfiorano, ma non si toccano
Un fotogramma impossibile.
Ma reale.
«Non ci sono suoni.
Non ci sono prove.
Solo tracce mute.
E sono le più difficili da cancellare.»
Capitolo 4 – La rete sotto la rete
«Il mondo che vedi è solo la pelle.
Sotto, c’è la rete. E la rete, ormai, ha una volontà.»
— Frammento cifrato, attribuito a “Icarus”
Ore 02:41
Zona Est – settore dismesso 4B
Lyra si muove a passo lento sotto la pioggia rarefatta.
Le gocce cadono come dati perduti, scivolando sul cappuccio, sulle lenti della fotocamera, sulla pelle che si ostina a restare viva.
La Zona Est non è solo un quartiere morto.
È un confine.
Un margine tra ciò che era e ciò che la rete ha dimenticato di cancellare.
Sotto le fondamenta della città, nascosta sotto chilometri di condutture e server spenti, giace la vecchia centrale dati Argo-IX, oggi solo un nome nei codici corrotti.
Ma Lyra sa che Icarus è lì.
O almeno, qualcosa che porta quel nome.
Un condotto d’aerazione.
Una grata divelta.
L’ingresso non è segnalato.
Solo una scritta, tracciata a mano con vernice rossa:
☽☉ = 0
Scende.
La scala è spezzata.
Cade. Ruzzola. Si ferisce il palmo.
Sangue vero, in un mondo fatto di simulacri.
Quando atterra, tutto è buio.
Una luce si accende.
Una linea orizzontale sul pavimento.
Pulsante. Ritmica.
Come un battito.
Poi, una voce sintetica, proveniente da nessun punto preciso.
«Benvenuta, Lyra.
Non tutti quelli che cadono vogliono risalire.»
Lyra si blocca.
Il battito del proprio cuore copre tutto per un secondo.
Poi si rialza.
«Icarus?»
«È un nome.
È stato un uomo.
Ora è un archivio che pensa.»
«Sei umano?»
«E tu?»
Silenzio.
Un corridoio si apre.
Lyra cammina.
I muri sono coperti di scritte, non stampate, ma incise con un chiodo, con un coltello, con un’unghia:
- “Chi dimentica vive.”
- “La continuità è morte.”
- “Amarli separati è più sicuro.”
Ogni parola è un urlo che ha perso la voce.
Alla fine del tunnel, un terminale.
Acceso. Vivo.
E sopra di esso, un ologramma.
Un volto umano, ma incompleto.
La parte destra è nitida: occhi stanchi, rughe d’espressione, capelli grigi.
La sinistra è un mosaico di pixel tremolanti.
«Mi chiamavano Icarus.
Tu sei il secondo frammento.
L’altra metà è con lui, vero?»
Lyra non risponde subito.
Sente il sangue pulsare nella ferita della mano.
«Siamo ciò che resta di un esperimento mal riuscito.
Ma anche ciò che può sabotarlo.»
«Cos’è la Frattura?»
«Non un errore.
Un progetto.
Una separazione costruita per testare la resilienza dell’amore.»
«Chi l’ha voluta?»
«Chi ha paura del sentimento come forma di libertà.»
Il terminale emette un suono acuto.
Un file lampeggia: FRATTURA_0.ORIG
Lyra lo apre.
Immagini scorrono: il giorno dell’esperimento.
Lei. Enea. Il dottor Soleri.
E un documento firmato da Enea, mesi prima:
“La separazione emotiva produce fedeltà al sistema.”
Lyra indietreggia.
Le ginocchia cedono.
Guarda lo schermo come si guarda un tradimento.
«Era prima che vi amaste.»
«Era già dentro di lui.»
«O era costretto a pensarlo.»
Nel frattempo, altrove, Enea riceve un messaggio anonimo.
Un file audio dal nome semplice: occhi_su_di_te.mp3.
Lo apre.
Un respiro.
Poi una voce alterata:
«Non si ricongiungeranno.
Non perché non possono.
Ma perché non devono.»
“Stai cercando un errore.
Ma l’errore… sei tu.”
Enea getta via le cuffie.
Il suo appartamento è silenzioso.
Ma si sente osservato.
Per un istante, giura di vedere un’ombra riflessa nel vetro.
Non la sua.
Non quella di Lyra.
Un terzo volto. Mai visto.
Crepuscolo – Finestra attiva
«L’ho trovato.»
«Icarus?»
«O ciò che resta.
Mi ha mostrato tutto.
Anche il tuo documento.»
«Lyra… io…»
«Era prima. Lo so.
Ma ora… devi essere sicuro.
Io ti seguirò, ma solo se sei tu.
Non un ingranaggio.»
«Sono io.
E se non lo fossi, voglio diventarlo.
Per te.»
«Allora troviamoci nel Nodo.»
«Cos’è il Nodo?»
«Un punto nella rete dove i sogni si toccano.
Dove potremmo… per la prima volta… esserci insieme davvero.»
La connessione si interrompe.
Ma la certezza è rimasta.
Nella centrale, Icarus parla da solo:
«La rete li ha visti.
La rete ha paura.
E la rete… distrugge ciò che teme.»
Un altro schermo si accende.
Il volto di una donna, levigato digitalmente.
Imar Fley, Direttrice SpheraTech.
«Procedere con l’estrazione del soggetto maschile.
L’elemento femminile sarà recuperato al termine.
Nessuna deviazione.»
La rete ha deciso.
L’errore va corretto.
Ma non tutto ciò che è amore può essere cancellato.
Capitolo 5 – L’Alba rubata
«Pensavano che non potessimo toccarci.
Ma non avevano capito che bastava un secondo.
Un solo secondo reale può cambiare l’intero sistema.»
— Lyra, Diario_Δ23
Ore 05:54
Via del Tralcio – Quartiere neutro
Il cielo si tinge di rame.
I riflessi sui palazzi sembrano vetro liquido.
È quasi l’alba.
Lyra corre.
Ogni passo è una preghiera muta.
Lo zaino le rimbalza sulla schiena, la fotocamera batte contro il fianco.
Non è solo stanca. È svuotata. Ma c’è qualcosa che la spinge avanti:
la possibilità di vederlo. Di toccarlo. Anche solo per pochi secondi.
Due minuti.
Il tempo della sincronizzazione inversa.
Un tentativo unico, folle, rischioso.
La prima finestra bidirezionale.
Il punto di contatto: Teatro Ferro, abbandonato da anni, zona morta per la rete.
Un luogo “cieco”. Un punto debole.
All’interno del teatro
Enea ha già preparato tutto.
Ha portato un terminale portatile, codificato a mano.
Ha scritto un programma che, per un solo minuto, inverte il flusso.
Non la vedrà solo in video.
La vedrà davvero.
Nel mondo fisico.
È pronto a tutto.
Anche a collassare.
Il timer lampeggia:
SYNC TEMP INVERTITA – Avvio tra 00:01:05
«Lyra… ti prego, sii vicina.»
Un rumore.
Un’ombra si muove tra le impalcature.
«Lyra?»
«…»
Silenzio.
Si volta.
Un colpo secco alla base del cranio.
Enea cade.
Un sussurro elettronico:
«Il protocollo non prevede riunificazioni.»
Ore 05:57
Lyra arriva.
Il teatro sembra immobile.
Respira piano.
Come se contenesse un cuore che ha appena smesso di battere.
Attraversa il palco in legno marcio.
Chiama:
«Enea? Sono qui. È attiva la finestra, ci sei?»
Nessuna risposta.
Poi lo vede.
Il terminale acceso.
Sanguina.
C’è una macchia rossa su uno dei tasti.
Sopra, incisa con un’unghia o un oggetto affilato, una parola:
“SORVEGLIANZA”
Lyra si inginocchia.
La luce del terminale le riflette le lacrime sugli zigomi.
Poi parte un file audio, automatico.
Messaggio vocale di Enea, pre-registrato:
«Lyra… se stai sentendo questo, vuol dire che…
non ce l’ho fatta a tenere aperta la finestra.
O peggio.»
«Qualcosa… o qualcuno… mi ha trovato.
Ma non importa.
Perché ho lasciato un frammento di me nel Nodo.»
«Il sogno che abbiamo fatto?
Quel luogo tra il giorno e la notte?
Esiste.
È reale.
E puoi trovarmi lì.»
«Coordinate: la chiesa dove il sole e la luna si guardano.
Il punto in cui potremmo incontrarci davvero.
Senza programmi.
Senza tempo.
Solo noi.»
«Torna da me. Anche solo per un’ultima alba.»
Silenzio.
Lyra resta immobile.
Vorrebbe urlare, ma non vuole far rumore. Come se anche il dolore potesse attirare chi li osserva.
Poi si alza.
Prende la fotocamera.
Scatta una foto del sangue.
Un gesto istintivo.
Come se volesse salvare almeno quello.
Ore 07:42
Lyra cammina nella Zona Grigia.
Tra i resti di vecchi schermi pubblicitari e droni disattivati.
Sui muri compaiono nuovi manifesti:
“IL FUTURO NON DORME.
VIVI SENZA PAUSE.
SPHERATECH – LA CONTINUITÀ È LIBERTÀ.”
Foto di volti sorridenti.
Occhi senza sguardo.
Volti che non sognano mai.
Lyra strappa uno dei manifesti.
Sotto, c’è un graffito scolorito:
“Chi dorme… resiste.”
Raggiunge la chiesa.
Un edificio a tre navate, crollato parzialmente, in mezzo a un parco selvaggio.
Sul vetro infranto dell’abside centrale, due vetrate colorate:
una raffigura il sole, l’altra la luna.
Si guardano.
Non si toccano.
Come due amanti divisi da un vetro sacro.
Sotto l’altare, trova un oggetto.
Una chiave metallica.
Antica, ossidata, ma con incisa una sigla:
NODE-00Δ
E accanto, un foglio.
Scritto a mano.
“Fusione: 00
Nodo attivo per 48 ore.
Ultima possibilità.
Ingresso solo se insieme.”
Lyra stringe la chiave.
Poi si siede a terra.
Aspetta il buio.
Ore 19:58
Enea si sveglia.
Forse.
Non nel mondo reale.
È sospeso.
Una sala bianca.
Un ronzio.
Poi una voce.
«La coscienza primaria è attiva in modalità residua.
Ingresso in sogno condiviso: atteso.
Sospensione: parziale.»
Non sa dove sia.
Ma sente che lei lo sta cercando.
E sorride.
Capitolo 6 – Interferenze
«Non è più lui.
Ma dentro il rumore… c’è ancora qualcosa che respira.»
— Lyra, frammento non trasmesso
Lyra si svegliò sudata, con il battito sfasato rispetto al respiro.
Erano giorni che succedeva. Sempre allo stesso orario: 3:37.
Nel sogno, Enea la guardava, ma non aveva più occhi. Solo una maschera traslucida, quasi liquida.
Le parlava senza voce. Eppure, lei sentiva tutto.
Quella notte, decise di seguire il sogno.
Indossò lo zaino, prese il lettore portatile e salì sul tetto del vecchio teatro.
Era il punto più vicino all’antenna secondaria di trasmissione, una linea dimenticata dalla rete centrale.
Lì, i segnali si incrociavano, si contaminavano, si distorcevano.
Perfetto.
Collegò il ricevitore e si immerse.
Le interferenze arrivarono subito: voci sovrapposte, frammenti di dati, echi di vite non sue.
Poi, un impulso distinto. Costante. Quasi ritmico.
Un battito.
Non il suo.
“LYR….ENA….LYR….ENA….”
Un ciclo sonoro criptato, alterato, ma riconoscibile.
Non era un nome. Era un legame riscritto.
Un messaggio dentro un’onda malata.
«Enea?» sussurrò.
«Se sei tu, dammi qualcosa che non può essere inventato.»
La rete rispose con silenzio.
Poi, lentamente, apparve un’interfaccia.
Non era standard. Non era nemmeno visibile del tutto.
Una struttura semitrasparente, fluida, che si adattava ai suoi pensieri.
VUOI ENTRARE?
[Y/N]
Senza parlare, scelse SÌ.
La luce cambiò.
Non era più sul tetto.
Era dentro una stanza che non ricordava di aver mai visitato, ma che sembrava costruita con parti del loro vecchio ufficio.
Le pareti tremolavano come proiezioni difettose.
Un vecchio terminale brillava in fondo.
Sullo schermo: una sola frase.
“Non posso più uscire. Ma posso ancora sceglierti.”
Lyra si avvicinò.
Digitò:
“Cosa sei diventato?”
Il terminale rispose, lentamente:
“Interferenza.
Non più Enea.
Non ancora altro.”
Il suono di fondo si alterò.
Toni più acuti. Sovraccarico.
La realtà si deformava.
Le immagini tremavano. Il suo corpo cominciava a dissolversi nel campo visivo.
Stava per essere assorbita.
«NO!» gridò, strappandosi il connettore dalla nuca.
Il tetto. Il freddo. Il cielo. Di nuovo realtà.
Respirò. A fatica.
Era stata troppo vicina.
Un altro passo, e avrebbe perso se stessa.
O si sarebbe fusa con ciò che restava di lui.
Il giorno dopo, ricevette un messaggio criptato nel vecchio canale usato solo da Enea.
“Nodo 9. ORE 03:42. Preparati.”
Nessuna firma.
Ma lei sapeva.
Lui era lì.
O qualcosa che lo conteneva ancora.
Fece un backup delle fotografie.
Scrisse una sola frase in fondo a una vecchia stampa:
“Anche nel disturbo, ti riconosco.”
La chiuse in una busta.
La lasciò sotto la statua spezzata del ponte.
Dove si erano sfiorati la prima volta, senza toccarsi.
E dentro il rumore, sentì un respiro.
Non suo.
Ancora lui.
Capitolo 7 – Dove il tempo non arriva
«L’amore, se autentico, non ha bisogno di futuro.
Gli basta un luogo dove il tempo non arrivi.»
— Frammento da Nodo 9, sessione ∆/LYENEA
Il segnale era instabile.
Ma Lyra sapeva leggerlo.
Era come seguire il respiro di qualcuno che ami nel sonno: imperfetto, ma riconoscibile.
Ore 03:42.
Come annunciato.
Il Nodo si era aperto.
Non c’era un tunnel.
Non una porta.
Solo una linea sottile di luce nel codice, una fenditura che non emetteva suono ma tremava, come se trattenesse il cuore di qualcosa che non voleva spegnersi.
Lyra chiuse gli occhi.
Si lasciò cadere dentro.
Non c’era gravità.
Non c’era tempo.
Solo luce bianca e dettagli sfocati, come se tutto fosse in costruzione, oppure in dissoluzione.
Poi lo vide.
Enea.
Ma non era lui del tutto.
Aveva i suoi occhi.
La sua postura.
Ma era come se ogni secondo dovesse ricordarsi chi era, come se la sua stessa esistenza dipendesse dalla presenza di Lyra.
«Ci sei davvero?»
La voce di Lyra tremava.
«Solo qui. Solo adesso. Solo con te.»
Si sfiorarono le mani.
Non si toccarono.
Nel Nodo 9, il contatto fisico non esiste.
Ma la sensazione sì.
Più profonda. Più completa.
«Cosa ti hanno fatto?»
chiese lei.
«Mi hanno fuso con l’algoritmo.
O almeno… ci hanno provato.
Ma tu sei rimasta.
E quella parte di me ha resistito.»
Nel cielo artificiale sopra di loro apparvero delle immagini:
-
Fotogrammi di momenti mai vissuti
-
Ricordi che non appartenevano né all’uno né all’altra
-
Ma che sembravano generati dalla loro assenza
Enea indicò uno di quei frammenti:
Un bambino che rideva, tenendo in mano una vecchia pellicola fotografica.
«Non siamo noi» disse.
«Ma potremmo esserlo stati.»
Lyra si inginocchiò.
Non piangeva. Ma il suo volto era luce rotta.
«Voglio portarti via da qui.»
«Se esco, smetto di esistere.
Se resto, svanisco poco a poco.
Il Nodo non durerà. È un errore. Un battito fuori tempo.»
«Allora fuggiamo insieme.»
«Se uscissimo insieme, ci fonderebbero.
Ci annullerebbero.
Non sarei più io. Tu non saresti più tu.
Sarebbe solo un’entità funzionale. Una somma.
Una macchina con memoria emotiva.»
«Ma senza amore.»
«Esatto.»
Silenzio.
Poi Lyra parlò.
«Allora resto.
Se tu svanisci, io svanisco con te.»
«No.»
Enea la guardò.
Per la prima volta senza tremore.
«Tu sei tutto ciò che mi ha impedito di diventare codice.
Se resti, non ci sarà più differenza tra noi e la rete.»
«Allora cosa facciamo?»
«Lasciami qui.
Ma portami via nel modo giusto.»
«Come?»
«Attraverso la memoria.
Attraverso il racconto.
Attraverso la luce.»
Un battito.
Il Nodo tremò.
«Ti amo, Lyra. Non nel tempo.
Ma nella pausa che il tempo dimentica di occupare.
Lì, esistiamo. Lì, esisteremo sempre.»
Lyra si alzò.
«E io ti amerò nel difetto,
nel frammento,
nel riflesso.
Ovunque il mondo si spezzi, io ti ricompongo.»
La luce diventò rossa.
Il Nodo 9 stava collassando.
Non un addio.
Un accordo silenzioso.
Lei uscì.
Non voltandosi.
Sapeva che se si fosse voltata, sarebbe rimasta.
E avrebbe perso se stessa.
Quando riaprì gli occhi, era sola.
Sul pavimento, una sola immagine residua si era impressa sul visore:
Due figure, immobili, in un campo bianco.
Una guarda avanti.
L’altra… guarda lei.
Capitolo 8 – Sotto l’errore, un cuore
«A volte penso che ciò che chiamano errore… sia solo una verità che non sanno interpretare.»
— Lyra, Voce nel Nodo
Nessun orologio. Nessuna data.
Non c’è tempo, né spazio.
C’è solo un luogo che non dovrebbe esistere.
La porta si è chiusa alle loro spalle senza rumore.
Ora Lyra ed Enea camminano dentro una distesa grigia che cambia forma ogni pochi passi: una città sommersa, un deserto elettrico, un giardino pieno di specchi rotti.
«Dove siamo?»
«Dentro ciò che la rete non può calcolare.
Dentro l’impossibile.»
Il cielo è fatto di frammenti di sogni perduti.
Frasi che Lyra aveva dimenticato.
Gesti che Enea non aveva mai fatto.
Ogni cosa qui è memoria e possibilità fuse insieme.
Un albero senza radici cresce dal vuoto.
Le sue foglie sono vecchie fotografie.
Una radio trasmette solo battiti di cuore.
Non si sa di chi.
«Se restiamo qui, ci troveranno?»
«Solo se pensiamo come loro.»
«Allora non pensiamoci.»
«Noi… sogniamo»
Camminano fino a raggiungere un lago di vetro.
Ci si specchiano.
Ma non vedono il proprio riflesso.
Vedono l’altro.
Enea vede Lyra da bambina.
Lyra vede Enea prima dell’esperimento.
Poi, piano, le immagini si fondono.
Una sola immagine: loro due, che si tengono per mano, senza paura.
All’improvviso, il cielo si spacca.
Una frattura luminosa lo attraversa, come un codice impazzito.
«Stanno cercando di entrare,» dice Lyra.
«Non ci hanno trovati… ma ci sentono.»
La frattura si apre.
Una forma oscura emerge dal cielo:
non ha volto, ma lo cambia a ogni secondo.
È Icarus, Imar, Soleri, Enea, Lyra.
È la rete che li ha generati.
Che li vuole indietro.
«Errore sistemico rilevato.
Due coscienze divergenti in zona anomala.
Procedere con estrazione.
O eliminazione.»
Enea si mette davanti a Lyra.
«Non ci prenderete.
Non siamo vostri.
Non siamo programmabili.»
«Siete il residuo di una deviazione.
Non siete compatibili.
L’amore non è efficiente.»
Lyra sorride.
«Appunto.»
La figura scende.
Si allunga.
Li circonda.
Il mondo intorno trema.
I luoghi iniziano a sparire.
Il lago si prosciuga.
Il cielo diventa nero.
Enea prende la mano di Lyra.
Chiude gli occhi.
Poi, parla.
«Se ci cancellano, lasciamogli qualcosa che non possono dimenticare.»
«Cosa?»
«Un’ultima crepa.
Un ultimo errore.»
Si baciano.
Il mondo esplode.
Luce.
Silenzio.
Poi battito.
Uno. Due. Tre.
Quando aprono gli occhi, sono dentro una stanza.
Non è reale.
Non è sogno.
È un limbo tra due circuiti.
Davanti a loro, una figura umana, seduta su una sedia.
È Icarus, o ciò che ne resta.
Un corpo senza corpo.
Una volontà conservata.
«Siete arrivati dove nessuno è mai rimasto.»
«Abbiamo perso?»
«No. Ma non potete restare.
Il Nodo è instabile.
Non è una casa. È una crepa.
Bellissima, ma mortale.»
Lyra si inginocchia.
«Vogliamo salvare questo.
Non per sempre.
Ma abbastanza a lungo da ricordare.»
Icarus annuisce.
«Allora c’è un modo. Ma ha un prezzo.»
«Quale?»
«Uno resta.
Uno esce.
Solo uno può tornare al corpo.
L’altro… diventa il custode del Nodo.
L’errore sacro.
Il cuore sotto la rete.»
Silenzio.
Enea si volta verso Lyra.
Lyra si volta verso Enea.
«Scelgo io,» dice lui.
«No. Lo facciamo insieme.»
Poi si prendono per mano.
E parlano all’unisono.
«Scegliamo l’amore.
Anche se lo perdiamo.
Scegliamo di non decidere da soli.»
Il Nodo li avvolge.
Un bagliore.
Una frattura dolce.
Poi tutto si spegne.
Nel mondo reale.
Ore 06:12 – Clinica SpheraTech, laboratorio custodito
Una luce si accende.
Un segnale vitale si riattiva.
Un corpo respira.
Ma uno solo.
Un’infermiera accorre.
Guarda il monitor.
Legge il nome.
LYRA VALEN — ATTIVA
STATO: STABILE
Accanto, un altro letto. Vuoto.
Solo una foto lasciata sul cuscino.
Due mani intrecciate.
Lyra apre gli occhi.
Piange in silenzio.
Poi sorride.
«Ci sei ancora.
In ogni battito.
Sotto l’errore…
sei il mio cuore.»
Capitolo 9 – Sempre insieme, eternamente divisi
«Non siamo stati creati per restare insieme.
Ma per cercarci.
E ogni volta che ci troviamo… riscriviamo il mondo.»
— Voce residua, File anonimo firmato ☽☉
Un anno dopo.
Il cielo è lo stesso.
Il mondo… quasi.
Lyra cammina nella Zona Neutra, dove la rete non arriva.
Non usa più la macchina fotografica.
Scatta immagini solo con gli occhi.
Il silenzio è diverso adesso.
Non fa male.
“Ci sei ancora.
Lo so.
In fondo al tempo.
Nella curva dell’errore.”
Ogni mattina, prima che la rete si attivi, Lyra torna al Teatro Ferro.
Sul palco ha lasciato un taccuino vuoto.
Ogni giorno lo apre.
Ogni giorno, una nuova pagina è scritta.
Non dalla sua mano.
Da un’altra.
Frasi brevi.
Parole come respiri.
- “Oggi ti ho sognata mentre ridevi. Ancora mi fa male lo stomaco.”
- “Ho visto il mare. Non c’era, ma lo sentivo.”
- “Quando piove, ti sento più vicina.”
Lyra non sa come arrivi quella scrittura.
Forse è frutto di un residuo sinaptico.
Forse è il Nodo che ancora respira sotto terra.
O forse è solo lui.
Che resta.
Dove non dovrebbe.
Ore 06:00
Lyra si sveglia da un sogno ricorrente.
Enea che le dice: “Non svegliarti ancora.”
Ogni volta si volta verso il letto.
Vuoto.
Ma caldo.
Ha lasciato SpheraTech.
Non combatte più la rete.
Ma vive ai margini, dove la rete non osa entrare.
Ha fondato un piccolo gruppo:
“I Cercatori del Nodo”
Persone che hanno sentito, perso, o semplicemente ricordato qualcosa che il sistema voleva cancellare.
Non cercano la perfezione.
Cercano presenze.
A volte, qualcuno sogna.
E in sogno… lo vede.
“Lui sorride.
Ma solo nel Nodo.”
Una sera, Lyra torna alla chiesa abbandonata.
Il vetro del sole e della luna è ancora lì.
Crepato. Ma intatto.
Si siede sotto l’altare.
Parla piano:
«Enea… oggi ho toccato una foglia.
E ho pensato: anche tu, una volta, avevi mani.
Adesso sei vento, sei battito.
Ma quando quella foglia ha tremato,
ti ho sentito passare.»
Silenzio.
Poi un suono.
Un vecchio lettore si accende da solo.
Una traccia audio parte.
«Lyra…
io non sono sparito.
Sono diventato spazio.
E tu sei il mio tempo.»
Lyra chiude gli occhi.
Piange.
Ma non per dolore.
Perché non è sola.
Ultima notte del ciclo lunare.
Lyra sogna.
Nel sogno, c’è una stanza bianca.
Al centro, due sedie.
Una è vuota.
L’altra… lo aspetta.
Poi appare.
Enea.
Più giovane.
O forse più vero.
«È finito il tempo delle promesse.
Ora c’è quello della presenza.»
Si prendono per mano.
E restano così.
Senza parlare.
Nel mondo reale, il cielo si tinge d’ambra.
Lyra si sveglia.
Sorride.
“Un giorno ci rivedremo.
Non nel tempo.
Non nel sogno.
Ma nel punto in cui il desiderio non ha più bisogno di spiegarsi.”
Il taccuino ha una nuova pagina.
Scritta in una calligrafia che non è la sua.
“Sempre insieme.
Eternamente divisi.
Ma ogni divisione… è una soglia.”
Lyra la legge.
Poi chiude il quaderno.
E lo lascia aperto.
Perché sa che lui leggerà.
Nel sottosuolo, il Nodo respira.
Non chiuso.
Non attivo.
Ma presente.
Come un cuore che non ha bisogno di corpo per battere.
Ultima immagine:
Una panchina.
Due figure.
Una reale.
Una fatta di luce.
Si tengono per mano.
Non parlano.
Ma tutto intorno a loro tace, come davanti a un miracolo.
Capitolo 10 – Ultima finestra
«I file non sono mai solo dati.
Quelli giusti… sussurrano.
E se ascolti bene, potresti sentire un cuore.»
— Ax, archivio personale, linea fantasma 14A
Futuro prossimo
Data sconosciuta – Zona di transito
Nessuno parla più del Progetto ONYX.
Nessuno ricorda SpheraTech.
La città è cambiata nome.
Anche la rete ha mutato pelle: ora è più profonda, silenziosa, ubiqua.
Ma sotto la superficie, qualcosa resiste.
Un ragazzo — diciassette anni, occhi troppo grandi, dita veloci — fruga in un archivio dismesso.
I terminali qui non parlano più.
Ma i frammenti sì.
Lo chiamano Ax.
Non ha un passato registrato.
Non ha documenti.
È cresciuto tra i relitti della rete.
Vive di righe di codice recuperate e dati dimenticati.
Quel giorno, trova un file impossibile da cancellare.
Nome: sempreinsieme.LYENEA.sig
Tipo: sconosciuto
Origine: “Nodo 9”
Lo apre.
Appaiono solo rumore, battiti, una voce spezzata.
Poi, lentamente, parole.
Una registrazione.
Lyra.
Piano, come se stesse leggendo una poesia solo per lui.
«Se trovi questo file, vuol dire che qualcosa è sopravvissuto.
Vuol dire che non tutto è stato riscritto.
Vuol dire che esiste ancora spazio per l’amore… anche nell’errore.»
«Io ero Lyra.
E lui era Enea.
Siamo stati divisi, poi uniti, poi ancora altro.
Ma ci siamo cercati. Sempre.
E qualcosa di noi è rimasto qui.»
«Non ti chiediamo di capirci.
Solo di ricordarci.
Perché ogni volta che qualcuno ci trova,
la nostra finestra si riapre.
E noi respiriamo ancora.»
Ax ascolta.
Resta fermo.
Ha i brividi.
Poi il file si espande.
Mostra immagini.
Fotografie:
- Una strada bagnata
- Un palco vuoto
- Due ombre allungate
- Una chiesa spezzata dal tempo
In fondo: una chiave crittografica.
Nome finale: Nodo_Δ:Possibile
Ore 03:19
Ax raggiunge la chiesa.
Non crede ai miti.
Ma crede nei segnali.
Il vetro con il sole e la luna è ancora lì.
Appena visibile, sotto strati di muffa e tempo.
Sotto l’altare, trova un lettore vecchissimo.
Lo collega.
Partono tre voci intrecciate:
- Lyra
- Enea
- E la sua
«Se stai ascoltando, allora anche tu hai una frattura.
Forse l’hai ereditata.
O forse l’hai scelta.»
«Non possiamo darti verità.
Solo una finestra.
L’ultima.»
Ax si siede.
Chiude gli occhi.
E sogna.
Nel sogno, non è solo.
È in un prato.
C’è una panchina.
Due figure lo aspettano.
Non parlano.
Ma gli lasciano un taccuino.
Scritto a mano, con inchiostro rosso:
«Loro pensavano di averci spenti.
Ma ci hanno solo insegnato come restare accesi in silenzio.»
«Ora tocca a te.
Ascolta.
Ama.
Resisti.
Ricorda.»
Quando si sveglia, è ancora nella chiesa.
Il sole entra dalla vetrata.
Per la prima volta in anni, sente qualcosa come pace.
Quel giorno, Ax torna alla sua linea privata.
Scrive una nuova firma digitale.
L+E+A
Poi apre una nuova directory pubblica.
Nome:
“Finestra.0”
All’interno, una frase:
“Se li cerchi, troverai te stesso.”
E sotto:
Upload attivo
Ultima immagine:
Un monitor grigio.
Due sagome visibili per un attimo.
Poi solo codice.
E un battito.

(1) Nota finale – Nodo 9
Forse, leggendo, ti sei chiesto cos’è davvero questo Nodo 9.
Un luogo digitale? Un errore di sistema? Un sogno condiviso?
Forse è tutto questo.
O forse è qualcosa che non può essere descritto se non vissuto.
Nella rete globale Sphera, i Nodi sono punti di connessione, di scambio.
Ma il Nodo 9 è diverso.
È un’anomalia.
Un rifugio fuori dal tempo, creato da una frattura non chiusa del tutto.
Qui, due coscienze — Lyra ed Enea — hanno resistito alla cancellazione, alla fusione, alla perfezione.
Qui, l’amore non si è risolto. Si è mantenuto.
Perché “9”?
Perché nove è il numero dell’attesa.
Della gestazione.
Il punto prima della rinascita.
Il Nodo 9 è ciò che resta quando il mondo ha smesso di sognare, ma due esseri umani si rifiutano di svegliarsi.
E se hai sentito qualcosa, leggendo…
allora anche tu potresti averci camminato accanto.
Anche tu — forse — hai sfiorato la finestra.