Le stesse istituzioni che ammonivano gli stati membri sulla necessità di ridurre le spese militari ora li esortano a rafforzare gli arsenali

Una grande puzza si sta levando dal profondo dell’Europa

SIAMO DAVVERO NELLA KAKA

Il Simplicissimus

La narrazione ufficiale, che per decenni ha dipinto l’UE come un baluardo contro i conflitti, è stata sovvertita da un’improvvisa e imprevedibile escalation. Il cambio di retorica è netto: il lessico della mediazione ha ceduto il passo a quello della deterrenza bellica, della necessità di armarsi, di “mostrare i muscoli”. Quel che era impensabile fino a pochi mesi fa – il sostegno militare massiccio, l’aumento delle spese per la difesa, la retorica dello scontro – è ora diventato la nuova normalità.


In pochi giorni stiamo assistendo a una mutazione totale e imprevedibile dove i petulanti pretini della Ue che ci spiegavano con sufficienza come essa fosse garante della pace, si sono trasformati in tetragoni guerrafondai, dove coloro che consideravano la sovranità come un male endemico e affine al fascismo, si sono scoperti sovranisti senza se e senza ma, non solo rispetto agli intangibili confini dell’Ucraina, ma anche portatori di un nuovo nazionalismo europeo contro il nemico russo, come se cambiando la scala, cambiasse la sostanza. E dove, infine, quelli che guardavano con sospetto alla Nato ora sono in gramaglie alla sola idea che la nefasta alleanza, degenerata da sistema di difesa in strumento di offesa, finisca per sciogliersi lasciando il continente debole e indifeso. Prima cieca obbedienza a Washington e poi ricerca di un’ipocrita e strumentale indipendenza in nome di una unità non per qualcosa, ma contro qualcosa. Ed è quanto meno strano che il crepitio di mortaretti pro-guerra avvenga contemporaneamente in ambienti diversi e spesso non contigui a dimostrazione di una unica regia. Il tutto potrebbe incarnarsi nella figura di Kaja Kallas, la delirante ministra degli esteri europea il cui nome in realtà si pronuncia, nomen omen, Kaka.

Tutto ciò in risposta all’elezione di Trump che è fascista per definizione come Putin, secondo la tesi imposta dai media mainstream, tesi che naturalmente non può essere discussa, ma fa parte dell’evangelico quotidiano del globalismo a cui si può rispondere solo “con sia fatta la volontà dei Signori” con ampio spargimento di fumi di incenso. Chiunque non abbia la mente annegata negli stupefacenti mediatici, abbia in odio i vari rosari salottieri da recitare in compagnia o le parole d’ordine che segnano le mode stagionali come prêt-à-porter, si rende conto che tutto questo da una parte è folle e dall’altra smaschera la vacuità del discorso pubblico da troppi anni a questa parte, la sua finzione, l’eterogenesi dei suoi fini e l’orientamento determinato non da idee e programmi politici, bensì dagli interessi delle oligarchie economico – finanziarie, sempre le stesse che hanno devastato il secolo scorso e sempre più soffocanti dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. Ma anche giunte al loro ultimo atto, una volta fallito il progetto di conquista planetaria.

Già, folle perché l’Europa non ha la capacità militare di affrontare la guerra con la Russia e anche se la duchessa di Bruxelles vuole sperperare 700 o 800 miliardi di euro nel riarmo, esso arriverebbe comunque troppo tardi per avere un qualche effetto nella strenua difesa del regime semi nazista di Kiev. Questa ostinazione insensata fa parte dell’estrema difesa delle oligarchie che si rivela anche nella situazione romena, dove la democrazia si fa miserabile barzelletta o anche nel tentativo di portare una rivoluzione colorata in Serbia, dove dimostranti e bombaroli portano tutte le stigmate presenti in ogni operazione di questo genere, ossia il riferimento generico, possibile ovunque e sempre, alla corruzione. Per non parlare della “vittoria” in Germania di uno dei maggiori guerrafondai del continente, Friedrich Merz, non a caso un uomo di BlackRock, che tuttavia ha ottenuto solo il 28 per cento dei voti, uno dei risultati peggiori di sempre per la Cdu e che nella parte proporzione del voto (il sistema tedesco prevede sia il maggioritario che il proporzionale) ha preso 36 seggi contro i 110 dell’Afd. Costui su questa base vorrebbe far guerra sia alla Russia che agli Stati Uniti di Trump, mentre non è in grado di farla né contro l’una, né contro gli altri.

Chi non vive dentro la bolla di sapone si rende perfettamente conto che il conflitto con la Russia è stato perso e che l’intero continente si sta deindustrializzando, ha servizi pubblici sempre più mediocri e inaffidabili, infrastrutture fatiscenti, deficit di bilancio, standard di vita in rapida discesa e povertà invece in drammatico aumento, ancorché nascosta dall’informazione. Una guerra impossibile, la minaccia del tutto illusoria di un nemico incombente e un inedito nazionalismo continentale, sono il tentativo di salvare il modello europeo reale, quello che sta fra le righe dei fumosi discorsi, ma ahimè nella carne viva della società e di giungere in soccorso delle oligarchie nordamericane perdenti: più soldi per armarsi, significa meno soldi per la spesa sociale, più controllo della popolazione, più censura, meno libertà. In effetti esiste un implacabile nemico, ma esso è interno, consustanziale al milieu politico di Bruxelles e di Londra che si trova di fronte ai segni inequivocabili della propria fine. Chi ci viene a parlare adesso di Europa indipendente, dopo che questa si è piegata, come se fosse cosa buona e giusta, ad ogni avventura bellica americana, dopo che essa in prima persona ha sabotato la pace tra Mosca e Kiev, tre anni e un milione di morti fa, chi vaneggia di esercito europeo, chi inneggia a Zelensky pensandosi persino progressista, non è che una vittima della sindrome di Stoccolma, oppure uno dei carcerieri o aspirante tale. Una grande speranza è diventata prima un’inafferrabile illusione e poi un incubo. Basta solo svegliarsi.

Redazione

 

 

 

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