”Silete theologi in munere alieno: tacete, teologi, sulle questioni non di vostra competenza
SILETE THEOLOGI IN MUNERE ALIENO!
Silete theologi in munere alieno: tacete, teologi, sulle questioni non di vostra competenza. Così intimò nel 1588 il giurista marchigiano Alberico Gentili, docente a Oxford al tempo della grande Elisabetta. L’obiettivo era espellere dal campo del diritto gli studiosi della trascendenza, inaugurando, in qualche misura, l’era degli specialisti, strani soggetti che conoscono sempre di più su un argomento sempre più piccolo, sino a sapere tutto di nulla.
I nuovi teologi sono gli scienziati, in particolare, dal febbraio 2020, gli onnipresenti virologi, ai quali Gentili avrebbe imposto un provvidenziale silenzio su ogni tema non di loro stretta pertinenza. Invece, dopo gli archistar – gli architetti famosi più per le pubbliche esternazioni che per le realizzazioni – ci tocca sopportare l’onnipresenza mediatica dei professori di malattie infettive, occupati a strologare sull’universo mondo, sempre con la medesima supponenza magisteriale. Parlano ex cathedra su qualsiasi tema, certi che la loro opinione valga più di quella di ogni altro.
La tribuna televisiva, cercata, ben remunerata, è diventata un virus, una dipendenza, tanto da chiedersi dove trovino il tempo per curare i pazienti e chinarsi sul microscopio. Peccato che non esista più il Totocalcio, altrimenti con i loro consigli faremmo tredici ogni settimana. Più fastidiosa e più numerosa della schiera degli specialisti (che almeno padroneggiano una materia, per quanto dieci pareri significhino altrettanti giudizi difformi) è la quadrata legione dei tuttologi.
Una volta esisteva l’onniscienza, attributo di Dio, da tempo espulso dal terreno come i teologi. Tra gli umani, era considerata eccezionale la versatilità del sapiente antico e del dotto rinascimentale; infine trionfò lo specialista, che ridusse al silenzio i non iniziati come quattro secoli or sono Gentili. Oggi abbiamo un nuovo esemplare di sapientone: il tuttologo. Scrisse Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, di un avversario che “tutti gli altri uomini sono specialisti, la sua specialità è l’onniscienza.”
Il tuttologo è l’onnisciente postmoderno. Armato di bronzea faccia tosta, di una dose industriale di superbia, blindato da un’esagerata autostima, è pronto a dire la sua su ogni circostanza. Basta la presenza di un pubblico, meglio se televisivo o pagante. I più si accontentano del bar o della pausa caffè in ufficio. I più svelti a fiutare il vento ne hanno fatto una professione – l’opinionista – e una categoria dei nuovi media, l’influencer. A loro modo, sono gli specialisti postmoderni: esperti di tutto, quindi del nulla.
I loro modelli sono i commissari tecnici della nazionale di calcio – un esercito che si dilata a dismisura in occasione di competizioni internazionali – capaci di vincere una partita a tavolino con due o tre mosse geniali. A ruota, seguono i geopolitici dilettanti, risolutori di crisi internazionali, scaltri conoscitori di retroscena ignoti anche ai protagonisti. Si resta sempre impressionati – ed anche affascinati – dalla mutevole capacità dello Zelig tuttologo di diventare esperto di qualunque tema con rapidità stupefacente.
Anni fa, fummo meravigliati dalla quantità di capitani di lungo corso. C’era la Coppa America, una gara nautica pubblicizzata per interessi di mercato; a milioni divennero skipper, maestri di navigazione e di tattica marinara. Ascoltammo persone che avevano visto il mare dal finestrino dell’automobile discettare di vele e di alberi delle imbarcazioni. Meglio dell’ignaro Fantozzi in gita in barca a cui veniva ordinato: cazzi la randa! L’epidemia ha scatenato i tuttologi, che, dietro la maschera d’ordinanza, spiegano le caratteristiche dei vari vaccini e dispensano consigli non richiesti, sempre dall’alto, sempre convinti di saperne più di tutti gli altri.
È questa la caratteristica più miserabile e feroce del nostro tempo bastardo. Alcuni intellettuali famosi hanno messo in guardia dalla dittatura sanitaria e dalla deriva totalitaria dell’epoca “virale”. Sono stati trattati dai tuttologi in servizio permanente effettivo, tra i quali spicca la categoria dei giornalisti, da pazzi, cretini, vecchi scemi, con la consueta sobrietà pensosa, riflessiva, tollerante. Un curioso destino ha accomunato un premio Nobel per la medicina, Luc Montagnier, pensatori come Giorgio Agamben (vedi L’invenzione di un’epidemia) e Massimo Cacciari, esperti di comunicazione come Carlo Freccero.
Aveva ragione Alberto Arbasino: i grandi attraversano tre fasi, giovane promessa, venerato maestro, solito stronzo. Pardon per il turpiloquio, citazione dello scrittore vogherese. Dunque, silete virologi in munere alieno, ma anche tuttologi, opinionisti e gazzettieri usi a “tirare quattro paghe per il lesso”. Che cosa hanno detto di tanto orribile gli ex venerati maestri, ascritti fino a ieri al campo dei giusti? Tutti chiedono rispetto per la libera scelta e ricordano che la libertà individuale è nelle tavole e nella coscienza della nostra civiltà.
Se un merito avrà avuto questa lunga, folle stagione di divieti e neo-autoritarismo, è avere avvicinato personalità di diversa – talora opposta – sensibilità civile, politica e culturale, unendoli nella trincea delle libertà. Agamben si è permesso di stilare un appello in cui indica la nostra nazione come “come laboratorio politico dell’Occidente, in cui si elaborano in anticipo nella loro forma estrema le strategie dei poteri dominanti”. Peccato mortale evocare l’esistenza di poteri dominanti: i tuttologi negano l’evidenza, come il colonnello Buttiglione di Arbore e Boncompagni, e scaraventano il filosofo romano nel girone dei complottisti e dei terrapiattisti.
Forse chiederanno il Trattamento Sanitario Obbligatorio, o come un noto giornalista – tuttologo dei più insigni – invocheranno l’intervento della polizia a cavallo. Sorprendente riflusso reazionario dei fieri democratici. Agamben si è spinto oltre la linea osando scrivere che le magnifiche sorti e progressive non abitano lo Stivale:
”«paese umanamente e politicamente in sfacelo, in cui una tirannide senza scrupoli decisa a tutto si è alleata con una massa in preda a un terrore pseudoreligioso, pronta a sacrificare non soltanto quelle che si chiamavano un tempo libertà costituzionali, ma persino ogni calore nelle relazioni umane.»
Crucifige, crucifige. Silete philosophi in munere alieno. Ma qual è il campo d’ azione di chi pensa, se non valutare, osservare, indicare, esprimere dubbi? Vale esclusivamente la scienza “esatta”, promossa a teologia materialista, che calcola il corso del mondo, ma non ha la capacità né la volontà di comprenderlo. Agamben, come il bimbo di Andersen, svela che il re è nudo: “credere che il green pass significhi il ritorno alla normalità è davvero ingenuo. Così come si impone già un terzo vaccino, se ne imporranno dei nuovi e si dichiareranno nuove situazioni di emergenza e nuove zone rosse finché il governo e i poteri che esso esprime lo giudicherà utile”. Allarme, ecco un profeta di sventura da silenziare e impallinare, in attesa di roghi in piazza applauditi dai tuttologi, dagli opinionisti con e senza partita Iva e – ahimè – dal popolo intrappolato dal terrore.
Commentando la peste di Milano, Alessandro Manzoni scrive “il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Il senso comune, purtroppo, lo fabbrica chi comanda. Uno scrittore dimenticato, Pitigrilli, lo espresse in maniera fulminante: il buonsenso è il senso del momento.
Sia dato dunque alle fiamme il manifesto di Agamben, latore di una proposta indecente: “senza deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata, occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza”. La lingua batte dove il dente duole: va ridotto al silenzio l’agitatore ottuagenario che propone una comunità di simili, uomini liberi, renitenti, non credenti nella narrativa dominante. Addirittura, chiede, come il ribelle di Junger, di passare al bosco. “Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione”. Non vivevamo nel migliore dei mondi, la nuvola rosa in cui tutto è più di ieri, meno di domani?
Quanto a Cacciari, le sue parole danno ancora più fastidio agli amici del silenzio altrui in quanto organico alla loro parte. Il filosofo veneziano (anch’egli in odore di senilità…) osserva che “quanto più siamo asserviti, tanto più presumiamo di essere liberi”. Un complottista in laguna, devono avere pensato i tuttologi con silenziatore. Se poi qualcuno è asservito, significa che qualcun altro lo domina. Cacciari – che colto lo è per davvero – cita Dante e Platone, chiama tormentosa la croce della libertà che alcuni si ostinano a portare e, fastidiosamente, mette in guardia contro le derive totalitarie. Taccia anch’egli.
I filosofi sono spesso invisi all’opinione corrente e al potere costituito poiché la loro vocazione, la loro specializzazione è porre domande fastidiose, scomode sin dal tempo di Socrate, che ne morì. Il filosofo pone la domanda ulteriore anche quando sembra che siano state fornite tutte le risposte: per questo è il vero scienziato, l’amico della sapienza secondo l’etimologia della parola. La filosofia è scienza della verità in quanto pone le domande appropriate. Ma non possiamo più fare domande: sarebbe revocare in dubbio la sedicente scienza e contestare il potere.
Carlo Freccero l’ha fatta e l’ha detta grossa. Si è spinto oltre la colonne d’Ercole del pensiero obbligatorio: “le élite ci governano con la paura; la sovranità va ridata al popolo”. Un complottista in più, populista e sovranista. Presto l’intellettuale savonese, patrono di Raitre, si ritroverà con l’etichetta di fascista. D’altronde, l’unico esercizio che riesce perfettamente ai padroni del silenziatore è applicare etichette, classificare a prescindere. Poi tuonano contro i pregiudizi.
Freccero si è schierato a favore di un referendum sul passaporto vaccinale (non lo chiameremo mai green pass per amor di lingua). Le élite – spiega prendendo atto della loro esistenza (sacrilegio) – hanno trovato la soluzione: bypassare leggi e Costituzione in nome dell’emergenza epidemica. I decreti dovrebbero essere convertiti in legge, ma c’è il trucco, “sostituire un decreto con un altro alla scadenza sino a fare apparire questo sistema legittimo, sino a far penetrare il popolo in una nuova normalità”. Freccero conserva riflessi da vecchia sinistra, quella rispettabile che difendeva chi lavora: “il movimento che si sta formando contro il green pass ha preso le mosse dai ricatti subiti dai cittadini sui luoghi di lavoro. Si tratta di violazioni gravissime dell’art. 3 della Costituzione che vieta ogni discriminazione”.
Con la pandemia il dibattito si è spostato in campo sanitario. È bastato trasferire dalla politica alla sanità l’attenzione dell’elettorato per ottenere un consenso svanito. “Per l’essere umano, nella sua fragilità, la morte viene prima della Costituzione, che perde importanza di fronte alla malattia. È un esperimento di ingegneria sociale basato su un movente fortissimo: la paura della morte. Aderendo alle richieste del governo ci spogliamo volontariamente di qualsiasi difesa nei confronti di un potere sempre più pervasivo. Le élite transnazionali stanno decidendo per noi e lo fanno a carte scoperte, come se ritenessero già conseguita la vittoria”.
Il passaporto verde è un esperimento sociale, “in tutta evidenza non è altro che il primo embrione della tessera digitale che conterrà i nostri dati sanitari. Censirà i nostri spostamenti, valuterà tramite algoritmi la nostra obbedienza al sistema. Queste decisioni sono state già prese sulle nostre teste”. Tutto vero, tranne la premessa: no, non c’è l’evidenza, Freccero, purtroppo dilaga l’acquiescenza. Silete teologi e filosofi, ma tacciano soprattutto gli uomini liberi. Altri hanno deciso per voi, opinionisti e tuttologi sono schierati (quasi) come un sol uomo.
A proposito di una nuova misura “risolutiva”, l’ennesima, un sussiegoso membro del governo afferma: sarà la scienza a decidere. Eh no, silete, tacete voi, scienziati, in munere alieno. Non vi compete decidere in nome del popolo: vostro è il dovere, l’altissima responsabilità di fornire dati, previsioni, pareri e proposte. Il fardello della scelta va lasciato a chi deve decidere politicamente, ovvero valutando tutti gli aspetti di un problema, non soltanto il nudo dato scientifico, interpretato peraltro secondo inclinazioni, convinzioni personali, talora interessi inconfessabili.
La dittatura della scienza non è migliore di quella dei banchieri, degli straricchi e dei padroni della tecnologia. Non è una tirannia, ma “solo” una dittatura, poiché la maggioranza è – o sembra – d’accordo. L’aggravante è che viene esercitata all’ombra della legge e con i colori della giustizia, col concorso attivo di opinionisti, tuttologi, specialisti di servizio e camerieri. Costanzo Preve li definiva la sotto classe dominata all’interno della classe dominante. Tacciano loro, finalmente. Meglio ancora, smettiamo di ascoltarli, lasciamoli soli, eco di se stessi. Il loro terreno preferito è la televisione: cambiamo canale finché non ci capiterà una televendita, teatrino di un’ onesta categoria di imbonitori che vendono sì cose inutili o scadenti, ma per pochi quattrini. Tacete voi, servi del potere, in munere alieno, cioè in casa nostra.
Roberto Pecchioli