Dai numeri sul braccio ai numeri sui corpi dei bambini: la memoria si è capovolta nel riflesso della Storia.
SPECCHI INFRANTI DELLA MEMORIA
Redazione Inchiostronero
C’è una specularità agghiacciante tra i sopravvissuti dell’Olocausto e i bambini massacrati oggi sotto le bombe. Eppure, quella memoria che doveva rendere il mondo più giusto si è fatta muta, strumentale, selettiva. L’ONU ha parlato: ha condannato Netanyahu per crimini contro l’umanità. Ma l’Occidente — così pronto a indignarsi quando la Storia lo richiede — oggi balbetta. E il nuovo Papa, che pure dovrebbe levare il grido dei giusti, sussurra parole tiepide, come se la neutralità potesse essere una forma di misericordia.
C’è qualcosa di profondamente osceno nella dissonanza morale che stiamo vivendo. L’orrore del passato, scolpito nella carne e nella coscienza collettiva, doveva essere una lezione eterna: “Mai più”. Eppure oggi quel “mai” si è sfilacciato, deformato, ridotto a formula diplomatica buona per ogni occasione, tranne quella in cui serve davvero.
La Corte Penale Internazionale ha chiesto il mandato d’arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e per il suo ministro della Difesa. L’accusa è pesante: crimini contro l’umanità, atti deliberati contro civili, contro bambini, contro un popolo che da mesi muore sotto i bombardamenti. Eppure, in Europa, nei corridoi dorati delle cancellerie, si evita l’argomento. Gli stessi leader che alzano la voce per le “democrazie sotto attacco” e che condannano ogni forma di barbarie — purché proveniente da Mosca, da Damasco, da Teheran — ora sono d’un tratto afoni.
Dove sono le lacrime ufficiali per i bambini di Gaza? Dove sono le fiaccolate, le risoluzioni urgenti, le sanzioni, le visite diplomatiche, le dirette TV con analisti che scandiscono ogni morte? Tutto svanito. Tutto ignorato. L’Occidente, così pronto a difendere la legalità internazionale a targhe alterne, si gira dall’altra parte.
E poi c’è lui: il nuovo Papa. Un pontificato ancora giovane, che avrebbe potuto iniziare con un atto di coraggio, un gesto netto. Ma non è arrivata una condanna, né un grido evangelico contro l’ingiustizia. Solo l’eco sbiadita di un appello alla pace, generico, ovattato, come se le macerie di Gaza fossero un incidente della Storia, e non il frutto di decisioni precise, di armi fornite, di silenzi complici.
Chi tace oggi, griderà domani? Troppo tardi, troppo comodo. Perché il dolore non ha tempo da aspettare. Le immagini dei bambini nei sacchi di plastica, i numeri incisi col pennarello sui loro corpi inerti per essere riconosciuti, sono il nuovo tatuaggio della vergogna. E ci chiedono conto. A noi tutti.
La memoria non serve se non sa farsi azione, se non sa nominare il male quando accade. Se resta solo un rituale da commemorazione, diventa complice. E allora sì, davvero, l’Olocausto sarà stato inutile — se non ci insegna a riconoscere, ovunque, il segno dell’inumano che ritorna.
