Crisi da Covid come messa alla prova della propria struttura di personalità

SPERO CHE NIENTE TORNI COME PRIMA

Il Covid-19 ha determinato una crisi, che sia globale, finanziaria, sanitaria è fatto secondario per la questione inerente alla soggettività.
Per crisi si intende una frattura temporale ed esistenziale tra un prima e un dopo nella vita individuale, tra uno stato consuetudinario acquisito di certezze, di sicurezze e di abitudini, siano pure artificiali e apparenti, ed una condizione nuova, carica di preoccupazioni, di discontinuità e rischi.
Etimologicamente, pur nelle diverse preferenze interpretative dal greco, crisi significa discernere, valutare, scegliere, decidere. Crisi come messa alla prova della propria struttura di personalità, dell’organizzazione del carattere, del proprio apparato di competenze psichiche per affrontare la realtà dopo un cambiamento improvviso.
Quello che è importante non è tanto la gravità dell’evento esterno, quanto l’impatto emotivo interiore e le sue conseguenze per sé e per le relazioni.
Il termine “resilienza” ha ormai superati i limiti della decenza concettuale per diventare sinonimo di adattamento e di sopportazione. Non è questo che si deve intendere.
È molto più salutare prendere in esame i quattro indicatori della traduzione di crisi, come guida per il dopo fake pandemico. Quattro paradigmi per classificare la propria buona riuscita e le nuove relazioni interpersonali.
Individualmente, chi ha saputo riconoscere la trappola che il governo e i suoi pretoriani ha teso al solo scopo politico della propria tenuta, chi è stato capace di valutare con razionalità i metodi che sono stati applicati per l’addomesticamento generale, chi ha anteposto la propria libertà alle pressioni terroristiche sanitarie e informative, chi ha optato per il rischio e le vessazioni pur di difendere i propri diritti, non potrà essere come prima con la massa acquiescente. E questo non riguarda chi ha dovuto subire il ricatto governativo, ma tutti coloro che liberamente hanno assecondato per indifferenza o per remissività un esperimento di ingegneria sociale contro il proprio popolo.

Chi, per dirla con Nietzsche, ha risposto Sì alla vita, non può avere alcuna vicinanza con chi si è sottomesso al potere negatore della vita stessa.
Rappresaglia? Anche sì. In fondo, sempre Nietzsche, ha ragione a ritenere un

indebolimento l’atto di rinuncia alla vendetta, alla resistenza, all’inimicizia e alla collera.

Contro gli odiatori, sotto sotto gli invidiosi del coraggio altrui, contro i ciechi esecutori dei decreti governativi in divisa o non, contro i crumiri epidemici, antisolidali e complici, nessuna comprensione, né benevolenza. E non ci vengano a dire “abbiamo obbedito agli ordini”. Chi ha obbedito agli ordini per evitare la morte è stato impiccato a Norimberga. Chi ha obbedito agli ordini rischiando una multa o qualche interdizione persecutoria merita solo disprezzo e ritorsione.
Le anime belle inorridiscano pure, e continuino a belare in coro, come hanno sempre fatto in questo cupo ma chiarificatore periodo. Per loro la realtà è parsa buia, per gli altri solo nera. Per loro il Covid ha rappresentato un pericolo, per gli altri una prova. Per loro la vita è stata una sconfitta, per gli altri un motivo di risveglio.

Adriano Segatori

Friedrich Nietzsche, libertà, perdono, vendetta

 

 

Fonte: ElectoMagazine

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