Hollywood è un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima

Marilyn Monroe.

Da quasi cento anni è uno dei simboli di Los Angeles. Da emblema di un investimento immobiliare a icona dell’industria del cinema, è uno dei monumenti più celebri della città californiana. Quando si arriva nella città della California e si guarda Mount Lee, non si può far a meno di notare la grande scritta che risalta sul promontorio. “HOLLYWOOD”, recita l’insegna bianca e tutta in stampatello. Quelle nove lettere, ancora oggi, vengono fotografate da milioni di turisti e sono comparse in tantissimi film. La scritta è ormai parte integrante del paesaggio, è l’immagine di Los Angeles. Anche se, a quasi 100 anni dalla sua costruzione, non è ancora stato risolto il mistero sul suo compleanno. Secondo alcuni, l’insegna è stata posizionata su Mount Lee il 13 luglio. Ma ci sono prove storiche che già alla fine dell’estate del 1923 l’insegna era al suo posto, illuminata da 4 mila lampadine.

   Il nome, fu dato nel 1886 da una certa signora Wilcox, moglie di un investitore immobiliare, a una immensa tenuta alla periferia di Los Angeles. Come ammise lei stessa, il nome (che significa “bosco di agrifoglio”) fu scelto solo perché “suonava bene”, e non per il tipo di vegetazione che cresceva nella proprietà, costituito in prevalenza da limoni e avocado. Sin dalle origini, quindi, il nome Hollywood segnalava uno scarto tra realtà e fantasia, scarto che gli studi cinematografici avrebbero in seguito trasformato in industria mondiale. Alla fine degli anni Venti Hollywood, acquistò altresì una serie di connotazioni rimaste poi associate a questo nome: la “fabbrica dei sogni”, la capitale mondiale del divertimento, il luogo con lo stile di vita più sfarzoso del mondo, un modello filmico egemonico, universalmente comprensibile, dotato di una struttura narrativa abilmente congegnata, popolato di personaggi ben caratterizzati, con un’appagante catarsi finale, lo star system; lo studio system, un approccio al cinema come industria più che come arte, produzioni appariscenti, budget colossali e, soprattutto, una rete internazionale di commercializzazione e distribuzione senza eguali.

   Dalla tenuta chiamata Hollywood gli Stati Uniti hanno creato la loro maggiore industria di esportazione, vendendo, essenzialmente, un’immagine. E fin dall’inizio si è trattato di un’immagine di avventura e di benessere materiale, di individualismo e di libertà, di sesso e di ricchezza, di appagamento fantastico attraente per il pubblico nazionale tanto quanto per quello estero. Il modo in cui questa immagine ha conquistato il mondo è una storia ricca di particolari.

Gli inizi.

Negli anni Novanta dell’Ottocento i coniugi Wilcox vendettero vari lotti della loro proprietà, che nel 1903 era già un villaggio di 500 abitanti annesso poi a Los Angeles nel 1910. In quegli stessi anni giunsero vari gruppi di produttori cinematografici dalla East Coast, attratti dalle condizioni climatiche ideali per le riprese (sole tutto l’anno, paesaggio estremamente vario che abbracciava montagne, oceano e deserto). La Paramount aprì il primo studio nel 1911. Ma l’impulso più significativo allo sviluppo di Hollywood come centro della produzione cinematografica fu dato quando il regista Cecil B. De Mille decise di girare in Arizona, con Oscar C. Apfel,(1) il suo western The squaw man (1914); trovando le montagne nevose di Flagstaff assolutamente inadatte alle sue esigenze, De Mille caricò nuovamente la troupe sul treno e si spinse fino all’ultima stazione della ferrovia occidentale, scoprendo quel luogo così duttile. The squaw man ebbe un tale successo che indusse altri a seguire l’esempio di De Mille, così che nel 1920 l’area intorno al ranch dei Wilcox giunse a contare ben cinquanta studi cinematografici.

La nascita dei grandi studi Hollywoodiani.

William Fox.

   Un manipolo di immigrati o di figli di immigrati dall’Europa orientale riuscirono a costruire personali e competitivi imperi cinematografici. Uno di questi fu William Fox.(2) Nato in Ungheria da una famiglia di ebrei tedeschi. La formula da lui escogitata nel 1915 – produzione, distribuzione, esercizio – controllata da un’unica società dei tre settori chiave dell’industria cinematografica, assicurò un potere insuperabile agli studi di Hollywood: essa rappresentò, come avrebbe scritto in seguito il critico André Bazin, la genialità del sistema Hollywoodiano. La Fox Film Corporation fu un modello ben presto imitato dagli altri grandi studi.

Lo star system.

Carl Laemmle.

   Un ruolo pionieristico fu svolto da un altro produttore indipendente, ancora una volta un immigrato di origini ebreo-tedesche, Carl Laemmle,(3) il quale dapprima fondò la Independent Motion Picture Company (IMP, il nucleo della futura Universal), un’organizzazione in grado di competere direttamente con la MPPC, e in seguito avviò con successo la politica volta ad amplificare e sfruttare il richiamo esercitato dagli attori, dando vita allo Star system. Sino ad allora, infatti, i produttori non avevano mai dato risalto ai nomi degli interpreti nei titoli di testa dei film, temendo che ciò li inducesse a reclamare compensi più elevati. Pubblicizzare i nomi degli attori costituiva invece il sistema più efficace per catturare l’interesse del pubblico, sfruttando la fonte ancora vergine delle fantasie generate dai film. L’idea di non limitarsi a porre gli attori sotto contratto (cosa già praticata), ma di esaltarne l’immagine, prese subito piede; di conseguenza il potere dei divi crebbe così rapidamente che nel 1919 tre dei più famosi ‒ Mary Pickford, Charlie Chaplin e Douglas Fairbanks, assieme al regista Griffith ‒ crearono una società di produzione indipendente, la United Artists.

 

Gli otto studios.

Nel 1915 Laemmle inaugurò il prototipo dei grandi studi Hollywoodiani, la Universal City: una vera e propria città ‒ se non un mondo a sé ‒ dotata non solo di set prefabbricati per i generi di film più diversi, ma anche di una propria polizia, di un corpo di vigili del fuoco e di un quartiere residenziale che ben presto si popolò di divi celebri come Rodolfo Valentino. Al pari di Fox, Laemmle controllava lo sbocco commerciale dei film che produceva: una cruciale catena di sale cinematografiche. Nello stesso periodo un altro immigrato, Adolph Zukor,(4) avviò una serie di partnership che portarono alla creazione di un’altra mega società, la Paramount.

Marcus Loewe.

Il quarto studios, la Metro Goldwyn Mayer nacque da una serie di acquisizioni effettuate da Marcus Loewe,(5) un immigrato ebreo di origini austriache che gestiva un complesso di sale cinematografiche. MGM, Paramount, Universal Picture, United Artists e Fox furono ben presto affiancate da RKO, Warner Bros. E Columbia Pictures formando le otto case di produzione che nel 1922 si associarono nella MPPDA. Di queste la MGM, la Paramount, la Fox, la RKO e la Warner Bros. costituirono le vere e proprie majors o Big five, mentre si faceva riferimento alle altre tre come alle minors o Little three. Producendo quasi ottocento film l’anno, questo gruppo di società rappresentava la più formidabile industria cinematografica del mondo. Tutte però avevano le loro sedi centrali a New York, dove venivano prese le decisioni cruciali.

Il lungometraggio di genere.  

La macchina dei sogni non avrebbe potuto creare la forma di intrattenimento più popolare del Ventesimo secolo senza un’ulteriore innovazione di Laemmle: il lungometraggio. Alcuni significativi esempi del nuovo formato si erano già visti in Italia e in Germania prima che Laemmle affrontasse il rischio con il lungometraggio Traffic in souls (1913), film diretto da George Loane Tucker. Interpretato da Jane Gail, Ethel Grandin, William H. Turner e Matt Moore, il film è incentrato sulla prostituzione forzata negli Stati Uniti. È composto da sei rulli, una durata superiore rispetto alla maggior parte dei film americani dell’epoca. Costato 5000 dollari, il film realizzò un incasso quasi cento volte superiore (mezzo milione di dollari). Il lungometraggio divenne immediatamente uno standard a Hollywood, e una norma per le case di produzione in tutto mondo. Il nuovo formato richiedeva una struttura narrativa più complessa di quella dei cortometraggi precedenti, e tale complessità esigeva a sua volta un paradigma da seguire per rendersi comprensibile e poter così penetrare il mercato. Si resero necessarie attente analisi e osservazioni dei gusti del pubblico in alcune sale cinematografiche dove vennero presi alcuni film a modello, dando così origine ai Generi Cinematografici destinati a soddisfare all’infinito le medesime preferenze. All’epoca del muto, i generi in cui Hollywood si specializzò in modo particolare furono: il western, per il quale il paesaggio californiano si rivelava particolarmente adatto, il nascente melodramma (di cui Cecil B. DeMille(6) fu un maestro), il film spettacolare in costume. Il film d’avventura (celebri quelli interpretati da Rodolfo Valentino nel deserto arabo). Il genere gangster con Le notti di Chicago, The dragnet, e La retata del 1928. E infine la commedia, che raggiunse l’acme con Charlie Chaplin e Buster Keaton.

La pubblicità.

Lo star system statunitense era gestito da professionisti con un’abilità che non trovava riscontro nei produttori di altri Paesi, i quali non disponevano di mercati, di risorse finanziarie e di tecnologie paragonabili. I mass media statunitensi erano in grado di raggiungere una popolazione di 100 milioni di persone, alimentando il fascino dei divi attraverso campagne pubblicitarie, articoli sui giornali, riviste dedicate ai fan e scandali creati ad arte. Negli anni Trenta, come riferì Arthur Wilde, responsabile della pubblicità della Warner Bros., tutti i grandi studi fornivano ai media, ogni giorno, venti o trenta storie inventate. Fu in questo decennio che le case di produzione integrarono i loro apparati pubblicitari con quotidiani ad ampia diffusione specializzati sul mondo dello spettacolo della città: “The Hollywood reporter” e “Variety”, ancora ampiamente diffusi oggi con edizioni anche settimanali e internazionali.

Arroccati nel loro immenso mercato interno, gli studi Hollywoodiani saccheggiarono aggressivamente i talenti delle industrie cinematografiche europee, in particolare gli attori, per incorporarli nel loro sistema guadagnando così ulteriore attenzione da parte della stampa e un pubblico più vasto, impoverendo nel contempo le risorse dei concorrenti. Nulla, tuttavia, poté uguagliare l’effetto pubblicitario delle cerimonie annuali di consegna degli Oscar, che vennero conferiti per la prima volta nel 1929, evento con il quale il mondo del cinema ha continuato a celebrare sé stesso e divenuto nel corso del tempo una sfarzosa cronaca televisiva seguita da un miliardo di spettatori di un centinaio di Paesi.

La produzione.

Alla base del sofisticato sistema di pubblicità e di commercializzazione dei film Hollywoodiani vi era una serie di radicali innovazioni nella gestione degli studi introdotte dalle prime case di produzione. Fasi e operazioni erano governate secondo una divisione e un coordinamento del lavoro altamente razionalizzati, tipici dell’organizzazione di fabbrica. Autosufficienti e situati nelle vicinanze delle località in cui si effettuavano le riprese, gli studi applicavano un principio di “utilizzo seriale” non soltanto agli attori e ai set riciclabili all’infinito, ma anche a registi, scenografi, direttori artistici, direttori della fotografia, truccatori, decoratori e montatori. Tutti costoro formavano la “scuderia” dello studio, un gruppo di professionisti altamente specializzati che lavorava sotto contratti esclusivi e a lungo termine, e che passava rapidamente dalla realizzazione di un film a un’altra. La pre-produzione era pianificata con eguale cura. Un gruppo di lettori esaminava romanzi, pulp fictions, riviste e lavori teatrali per trarne soggetti. Dopo aver ricevuto istruzioni da New York in merito al numero e al tipo di film necessari per riempire le sale l’anno successivo, il capo dello studio assegnava i soggetti scelti a un gruppo di scrittori affinché ne sviluppassero le sceneggiature. Da queste venivano poi tratte le cosiddette sceneggiature tecniche, un’altra delle innovazioni di Hollywood, che indicavano come girare il film nel modo più efficiente ed economico, vale a dire senza seguire in senso cronologico la narrazione come si usava fare in passato, bensì procedendo da un gruppo di scene girate nello stesso ambiente a un altro. La sceneggiatura tecnica (la cui invenzione è attribuita al produttore e regista Thomas Ince) offriva un vantaggio economico in quanto evitava di trasferire continuamente e con notevoli costi l’attrezzatura e il personale da un set all’altro, consentiva di stimare con precisione il costo totale di un film e di calcolare addirittura il metraggio esatto di pellicola richiesto da ogni singola scena. La sceneggiatura ‒ con l’esatta indicazione del genere del film, dei personaggi, e con un quadro sintetico della storia e delle singole scene ‒ veniva poi sottoposta all’approvazione del direttore. Questa pianificazione dei film cominciava in genere un anno prima che iniziassero le riprese. Per quanto riguarda queste ultime, furono ancora gli studi di Hollywood a introdurre l’uso di più cineprese, particolarmente utile per evitare di dover girare più volte complicate scene di massa e di azione. Un altro elemento essenziale di questo sistema di produzione era il continuity clerk (supervisore di sceneggiatura), volto ad assicurare che ciascuna ripresa registrasse ogni singolo dettaglio richiesto per costruire una storia coerente sul piano cronologico. Il montaggio del materiale in una sequenza era compito di un’altra figura professionale fondamentale, quella del montatore.

Lo scopo di questo sofisticato sistema era, naturalmente, la massimizzazione del prodotto cinematografico, motivata a sua volta dal fatto che i proprietari degli studi possedevano anche intere catene di sale. L’obiettivo era quello di garantire per tutto l’anno, sia alle sale di proprietà degli studi sia alle altre, un flusso settimanale di film i quali, per assicurare una costante affluenza di pubblico, dovevano appartenere a generi ben collaudati ed essere costellati di divi. Gli studi, poi, proteggevano la produzione dei numerosi film che offrivano minori garanzie di successo mediante la prassi della “vendita in blocco” (block-booking), che consisteva nel costringere gli esercenti ad acquistare annualmente a scatola chiusa un intero pacchetto di film; così, per avere un film con Douglas Fairbanks e Gloria Swanson, gli esercenti dovevano acquistare da cinquanta a cento produzioni della Paramount con attori meno noti. Alle proteste dei proprietari di sale indipendenti per gli squilibri negli incassi causati da questa pratica i grandi studi risposero acquistando ancora altre sale o costruendone di nuove. Negli anni Venti il risultato di questa campagna di acquisizioni fu un circuito di sale completamente nuove, che cambiarono radicalmente la fruizione del cinema da parte degli spettatori.

 L’età aurea.

Tra gli anni Trenta e la fine della Seconda guerra mondiale Hollywood conobbe il suo momento di gloria: un catalogo di divi, registi e tecnici di livello internazionale, il sistema di produzione più efficiente del mondo, una posizione di dominio nella distribuzione mondiale. Con l’avvento del sonoro, Hollywood aggiunse il musical ai suoi generi prediletti; i più spettacolari furono quelli realizzati dalla MGM. Alla fine degli anni Trenta i due terzi dei film usciti nelle sale di tutto il mondo erano prodotti a Hollywood, a cui andava anche il 90% degli incassi realizzati negli Stati Uniti.

Il 1939 fu l’anno più fecondo per il cinema americano: uscirono Gone with the wind (Via col vento) e The wiz-ard of Oz (Il mago di Oz) di Victor Fleming, Stagecoach (Ombre rosse) di John Ford, Wuthering heights (La voce nella tempesta) di William Wyler, Mr. Smith goes to Washington (Mister Smith va a Washington) di Frank Capra e Beau geste di William A. Wellman.

La storia di Hollywood è segnata da un graduale ma quasi inarrestabile declino della sua fortuna nel secondo dopoguerra. Molteplici furono i motivi di questa decadenza, tra cui una legge antitrust che, impedendo la concentrazione di numerose attività economiche legate al cinema nelle mani di poche industrie, causò una crisi delle grandi compagnie cinematografiche; a questo si aggiunse la concorrenza della televisione e il distacco del pubblico giovanile. Di conseguenza furono inevitabili la riduzione del numero di film prodotti, lo spostamento di numerose produzioni a New York o in Europa, la chiusura di numerosi studi.

 

Ma quel cinema, quell’incantesimo in grado di trasformare uomini e donne dall’oscuro passato in divinità inarrivabili, perfette, era definitivamente finito.

Note:

  • (1) Oscar Apfel (1878 – 1938). È stato un attore, regista, sceneggiatore, produttore e aiuto regista statunitense.
  • (2) William Fox, nato Vilmos Fried (1879 – 1952). È stato un produttore cinematografico ungherese naturalizzato statunitense, che si è firmato anche con i nomi di W.M. Fox o Wm. Fox. Nato in Ungheria nel 1879, all’epoca dell’Impero austro-ungarico, la sua famiglia emigrò negli Stati Uniti quando il piccolo Vilmos aveva appena 9 mesi. Il nome Fox è la traduzione inglese di Fuchs (volpe), il cognome materno. Cominciò a lavorare a 8 anni. Nel 1900, fondò una ditta tessile che vendette nel 1904 per acquistare il suo primo Nickelodeon (Sala cinematografica popolare). Nel 1915 fondò la Fox Film Corporation.
  • (3) Carl Laemmle (1867 – 1939). Nel 1884, emigrò negli Stati Uniti, andando a vivere a Chicago dove lavorò per vent’anni nel settore delle confezioni. È stato un produttore cinematografico tedesco naturalizzato statunitense. Fu uno dei pionieri del cinema muto, fondatore dell’Independent Moving Pictures, una compagnia di produzione che in seguito confluirà nell’Universal, una delle più importanti majors hollywoodiane.
  • (4) Adolph Zukor (1873-1976). È stato un produttore cinematografico ungherese naturalizzato statunitense, fondatore insieme a Jesse L. Lasky della Paramount Pictures. Nacque in una famiglia in un cittadina dell’allora impero austro-ungarico. Dopo la morte di entrambi i genitori nel 1891 emigrò a Nuova York. Nel 1911, produsse il film Elisabetta regina d’Inghilterra (Queen Elisabeth), con Sarah Bernhardt, primo lungometraggio della storia del cinema statunitense. L’introduzione del lungo da parte di queste case indipendenti, minò la base su cui si fondava il monopolio del cartello MPPC, ossia il cortometraggio monobobina. Non riuscendo ad adattarsi all’innovazione, portò allo scioglimento del trust, avvenuto nel 1915, dopo una sentenza della corte distrettuale di New York, che dichiarava illegali le pratiche utilizzate dalla MPPC.
  • (5) Marcus Loew (1870-1927). È stato un magnate degli affari americani e un pioniere dell’industria cinematografica che costituì Loew’s Theatres e lo studio cinematografico Metro-Goldwyn-Mayer (MGM). Loew nacque a New York, in una povera famiglia ebrea , emigrata a New York pochi anni prima dall’Austria e dalla Germania. Fu costretto dalle circostanze a lavorare in giovane età e aveva poca istruzione formale.
  • (6) Cecil B. DeMille, (1881-1959). È stato un regista, produttore cinematografico e montatore statunitense. Nel 1927 fu uno dei 36 membri fondatori dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS), organizzazione per il miglioramento e la promozione mondiale del cinema; fu l’accademia, nel 1929, a creare il Premio Oscar. Considerato tra i padri fondatori della settima arte, Cecil B. DeMille era figlio del commediografo di origine olandese Henry Churchill DeMille e della sceneggiatrice inglese Matilda Beatrice Samuel. Suo padre morì di tifo quando Cecil aveva 12 anni. Frequentò l’ambiente dello spettacolo fin da giovane grazie all’attività del padre che – insegnante alla Columbia University e predicatore di sermoni – si dilettava con la moglie a scrivere testi per il teatro.
Fonte

 

 

LE LOCANDINE PIÙ FAMOSE. 

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