Sempre più comune è la tendenza a richiudersi nella nicchia del proprio spazio sicuro
SULL’IMPORTANZA DELL’ESPORSI
di Greta Finelli
Viviamo in un secolo in cui si è sempre più tentati ad agire usando il comodo e il facile come criteri. Un atteggiamento che il filosofo Walter Friedrich Otto nel ‘900 spiegava come una paura di essere esposti al reale. Perché acquistare in un negozio fisico quando posso ordinare online? Perché sudare quando posso accendere il condizionatore? Perché presentare una cruda realtà ai miei figli quando posso mentire? Forse un motivo c’è.
Sempre più comune è la tendenza, nel ventunesimo secolo, a richiudersi nella nicchia del proprio spazio sicuro – la cosiddetta comfort zone, se vogliamo usare questo termine ormai abusato e mal interpretato dai più. Prioritizzare la propria interiorità, i momenti di calma con sé stessi, essere i protagonisti della propria vita sono diventate tendenze a cui sempre più membri della Gen-Z – e non solo – aderiscono. Che sia per i video motivazionali su TikTok, o per l’abitudine acquisita in tempi di pandemia di prenderci cura di noi interiormente ed esteriormente, stiamo andando incontro al rischio di idealizzare un iperindividualismo mascherato da terapia personale o da azioni in fin di bene nei confronti di chi ci circonda.
Già nel secolo scorso, il filosofo e filologo tedesco Walter Friedrich Otto esponeva in Teofania. Lo spirito della religione greca antica (1956) [La teofania è un termine che deriva dal greco antico “theos” che significa dio e “phanai” che significa apparire o manifestarsi. Si si riferisce all’apparizione o manifestazione di una divinità agli esseri umani, sia in forma fisica che attraverso visioni o rivelazioni spirituali] una certa preoccupazione per i suoi contemporanei. Egli criticava il fatto che l’uomo moderno evitasse in ogni modo l’esposizione al mondo circostante, al quale non partecipava pienamente, e che piuttosto fosse sempre più autoreferenziale e ricercasse sé stesso in ogni manifestazione esterna per un senso di conforto. Così facendo, tuttavia, ci si allontana dal fenomeno originario dietro cui non vi è nulla, vale a dire la natura sorgiva, proprio ciò che l’uomo rifiuta nel suo cercare sé medesimo dietro alle altre cose.
Attualizzando questo concetto, capiamo quindi che il pericolo che l’uomo corre è quello di allontanarsi dalla realtà per ciò che è, rifugiandosi in un’immagine artificiale che nasce dal riflesso di essa sull’uomo. Si finisce così per vivere in un mondo verosimile, non reale, plasmato dall’uomo a sua convenienza, un protettorato artificiale dove a dettare le regole siamo noi, e dove non corriamo il rischio di andare incontro all’ignoto, allo scomodo, al brutto, perché tutto ciò che incontriamo è il nostro stesso riflesso.
Quante volte ci è capitato di ascoltare o prendere parte ad una conversazione all’insegna del «I giovani di oggi non conoscono più il sacrificio, sono abituati ad avere tutto e subito». Ecco, a dire il vero ciò non riguarda solo i ”giovani di oggi”. Questo discorso lo si può ampliare fino ad includere la maggior parte delle persone – per lo meno occidentali. Viviamo nell’era della gratificazione istantanea, in cui per colmare una mancanza ci basta fare un ordine online che dopo meno di 24 ore verrà comodamente recapitato davanti alla nostra porta. Non sono solo i giovani di oggi ad essere impazienti e a perdere facilmente la concentrazione a causa dell’alta esposizione a contenuti sempre più brevi e rapidi sui social, lo stesso accade anche agli adulti.
Gli Stati Uniti presentano l’esempio perfetto del basso spirito di adattamento diffusosi esponenzialmente dagli inizi del secolo scorso fino ad oggi. È risaputo come nella Terra dei Sogni, l’aria condizionata sia un must have in ogni edificio 24/7 per quasi la totalità dell’anno, o per lo meno negli stati più caldi. Per quanto riguarda l’Europa, la situazione è migliore (anche se di poco), e sempre più stati la utilizzano regolarmente, ma solo nella stagione più calda. Notiamo però che una realtà come la Francia, che in occasione delle Olimpiadi 2024 ha proposto un sistema di raffreddamento alternativo più sostenibile, è stata il mirino di numerose critiche internazionali.
In verità, lo scopo iniziale di quello che oggi è considerato solo un impianto di raffreddamento non era quello di creare un ambiente più piacevole per le persone. Willis Haviland Carrier inventò per la prima volta a Brooklyn un sistema refrigerante che era finalizzato a proteggere l’ambiente di una tipografia da sbalzi di temperatura causati dal calore della stampa, per contrastare l’umidità e proteggere la carta. Con il passare degli anni e il raffinamento degli impianti rinfrescanti, gli statunitensi iniziarono ad apprezzare il grande vantaggio garantito da questi impianti, e cominciarono a comparirne alcuni nei cinema e in altri spazi pubblici, fino ad arrivare nelle abitazioni.
C’è da ammettere che è anche grazie all’aria condizionata che stati come il Texas o l’Arizona hanno potuto sperimentare un aumento di popolazione, in quanto fino ad allora il caldo torrido li rendeva inospitali. Purtroppo però, la situazione è poi sfuggita di mano. Il fatto che l’AC (come lo chiamano gli americani) oggi non venga nemmeno iscritto al tavolo degli imputati, il fatto che sia per molti normale lasciare accesi gli impianti condizionatori anche quando si lascia una stanza – o l’intera abitazione – demarca un’incapacità di affrontare una scomodità, una situazione non piacevole come può essere esperire il caldo. L’uomo rifiuta di esporsi.
A prova della tesi sostenuta da Otto, possiamo passare in rassegna alcune situazioni che si presentano all’ordine del giorno anche nelle famiglie italiane del ventunesimo secolo. Tanto per iniziare, avete mai avuto un pesce rosso? E in caso di risposta affermativa, vi è capitato di trovarlo morto qualche giorno dopo averlo acquistato? Altrimenti, siete stati avvertiti della sua morte dai vostri genitori? Oppure hanno preferito sostituire il pesce morto con uno nuovo a vostra insaputa, per poi venirlo a scoprire qualche anno dopo?
Se quest’ultimo scenario vi riguarda, allora senz’altro la sostituzione è stata a fin di bene, per non farvi soffrire. Tuttavia, così facendo si fa un torto allo sviluppo dell’intelligenza emotiva dei propri figli, più che aiutarli. Si pensa che sia meglio sottrarre i propri figli dalla sofferenza di vedere morto il pesce rosso vinto appena tre giorni prima alla sagra di paese. Invece, mascherando la realtà, i genitori fanno sì che la prole non sia esposta – ed ecco che si inserisce Otto – al mondo reale.
Scenario simile si presenta nelle coppie che si definiscono separate in casa. Si sente spesso dire: «Sì, litighiamo sempre, ormai non ci amiamo più, ma rimaniamo insieme lo stesso, è per il bene dei nostri figli». Di fatto, il bene maggiore per i figli sarebbe proprio quello di affrontare la separazione dei genitori. In primis, per evitare di dover vivere in un clima di tensione dove non c’è più affetto reciproco, e in aggiunta, l’esposizione dei figli a un divorzio dei genitori sarebbe sicuramente dolorosa, ma anche necessaria e utile per poter affrontare in seguito ostacoli talvolta più gravi che la vita potrebbe presentare loro.
Si può fare un discorso analogo per i genitori che non acquistano un cellulare ai propri figli fino a età avanzata per evitare che esso venga usato in modo improprio e si commettano errori. Ancora una volta, non sarà il sottrarli da un potenziale rischio che salverà la situazione. Al contrario, un’esposizione al mondo digitale quando ancora non si ha la giusta maturità, se affiancata da una supervisione da parte di un adulto, può essere un approccio più funzionale che favorisce anche l’abbassamento dei rischi in rete. Vale il concetto del I’ve been here before, so come affrontare determinate dinamiche perché ho già affrontato l’esposizione ad esse, al posto di nascondermi nel mio stesso nido di protezione.
Le riflessioni fino a qui sviluppate restituiscono l’immagine di una popolazione sempre meno disposta a sentirsi a disagio, ad essere perturbata, ad affrontare l’ignoto e il rischio che implica l’esposizione. Ma se invece cambiasse la nostra idea di comfort? Se ci abituassimo al concetto che l’essere esposti al reale non fa altro che beneficiare la nostra presenza sulla Terra? Se la smettessimo di voltare le spalle alla difficoltà, alla sofferenza, all’incertezza, accettando la loro natura inevitabile, non sarebbe allora a quel punto più facile convivere con esse su base giornaliera? Non è forse auspicabile per ciascuno di noi conoscere i nostri nemici a tal punto da accettarli come nostri alleati?