”Aveva ragione Totò quando divideva l’Italia in uomini e caporali…
Aveva ragione Totò quando divideva l’Italia in uomini e caporali. L’eterno divario tra plebe e classi dirigenti con la perversione italica del trasformismo, per cui cambiano i regimi ma i caporali sono sempre gli stessi, mutano solo casacca. Ai caporali e a Totò nell’inconsueta veste di storico, dedica ora un saggio Emilio Gentile(1), Caporali tanti, uomini pochissimi (ed. Laterza)(L.C.). Ma a Totò si addice la dimensione del mito, della leggenda, più che della storia. Quanto a Uomini e Caporali,(2) vorrei ricordare che la censura cinematografica nel 1955 cancellò dal copione un caporale comunista ma lasciò la frase “si stava meglio quando si stava peggio” che fu poi la bandiera di tutti i nostalgici. Lo ricordo a Veltroni che ha fatto di recente una lettura sinistrese e antifascista del comico napoletano, poggiando sulla sua famosa frase “poi dice che uno si butta a sinistra”.
Totò rappresentò l’autobiografia collettiva e comica dell’Italia in bianco e nero, l’Italia che ancora amava Napoli e la considerava la capitale spiritoso-sentimentale d’Italia. I tratti dello spirito nazionale erano da lui mimati in versione grottesca: l’italiano imbroglione e pomicione, paraculista e pastasciuttista, malinconico ed euforico, sbafatore e mariuolo, gesticolante e chiassoso, comiziante, anarchico ma in cuor suo monarchico.
Qualcuno insinua dietro il Totò comico popolare un Totò quasi impegnato e incompreso. Le pezze d’appoggio più vistose sono due. La prima è la celebre poesia ‘A livella, che dette il titolo a una raccolta di poesie di Totò, in cui il comico parlava di due defunti, uno di nobili natali e uno proletario che lo invitava a lasciare ai vivi la prosopopea aristocratica perché la morte è una livella, ci fa tutti uguali. Questa poesia viene accreditata come una sorta di manifesto ideologico di Totò, una specie di comunismo mortuario, quasi che Totò, oltre la comicità, fosse in cuor suo un egualitario, un livellatore. È una sciocchezza. Quando smetteva di fare il comico, Totò era scostante e a tratti anche sprezzante, manteneva le distanze e teneva soprattutto a una cosa: al suo titolo di principe, quantomeno sedicente. Totò a quel titolo presunto teneva più di ogni cosa, persino più della sua fama di artista e del suo successo. E teneva a scindere il poveraccio di scena dal nobile di casata quale diceva d’essere. Rideva degli umili e dei potenti, dei gerarchi fascisti e dei voltagabbana antifascisti.
La seconda contraffazione è l’importanza centrale data al suo film con Pasolini, Uccellacci ed uccellini, considerato quasi il testamento del miglior Totò, non comico ma intellettuale a sua insaputa, rispetto al vile Totò da cassetta, nazionalpopolare che conosciamo. In realtà quel film fu un episodio della sua vita d’artista e fu forse l’unico film in cui Totò fu alieno, eterodiretto, interpretò un ruolo assegnato, smise di essere se stesso e d’improvvisare, pure il suo repertorio lo usò fuor di casa. Non fu un brutto film, anzi fu tra i migliori; ma fra quelli di Pasolini, non di Totò. Quello non era il vero Totò. Non è per quello che viene ancora amato e ricordato.
Totò unificò l’Italia a rovescio, attraverso il lato comico, partendo da Napoli, dalla miseria e dalla vita intima e privata. Unì colti e ignoranti, plebe ed élite, furbi e fessi, nel culto della sua comicità. Mi ricordo da bambino al cinema a vedere Totò: ridevano i cafoni che sputavano le bucce delle fave arrostite sulla gente seduta davanti e ridevano in galleria i borghesi, i professionisti e nei palchi le coppiette. Ridevo io, di anni sette, e ridevano mia madre e mio padre, professori. Ridevano i semplici, che consideravano Totò la versione antica di Franco e Ciccio, e ridevano gli appassionati di teatro e letteratura. Unificava le generazioni, e anche noi stessi: mi sorprendo a ridere ancora delle battute che mi facevano ridere da bambino. Non amo rivedere i film già visti, eccetto che per Totò. Ho coltivato amicizie nel culto della comune totolatria. Ma Totò ha rappresentato anche la duplice vocazione plebea e aristocratica del nostro paese, l’impossibilità di essere seriamente borghese. O signori o pezzenti: miseria e nobiltà. In lui si rispecchiava la schizofrenia del ceto medio, aspirante alla nobiltà e risucchiato dalla plebe. Totò rappresentava questi eccessi anche nella sua vita: da bambino era Antonio Clemente, nato povero nel povero rione Sanità, ma poi si scoprì il Principe de Curtis da Costantinopoli, e si faceva chiamare favolosamente Sua Altezza. Cronaca e leggenda, senza di mezzo la storia. Il suo talento partorì, per dirla in un ossimoro, un realismo surreale: nei suoi film c’era l’Italia vera, la vita vera, le persone veraci del suo tempo ma il suo modo d’affrontarle era surreale.
Totò fu lo scopritore della Padania sbarcando con Peppino a Milano; il simil-tedesco con cui lui si rivolgeva al vigile milanese era il segno di un’Italia mal unificata. Per essere uomini di mondo, sosteneva Totò, bisogna aver fatto tre anni di militare a Cuneo, come dire all’estero, in Legione straniera. Ma Totò coltivava il sentimento del contrario – origine del comico, secondo Pirandello – e rovesciò il procedimento secessionista: partì dalla separazione tra Padania e Napoletania ma poi riuscì a fondere i due paesi sul versante comico. Ho visto milanesi che si sbellicavano alle sue battute e si riconoscevano nei suoi ritratti. Se i fratelli Bandiera furono i simboli intrepidi dell’Italia risorgimentale, i fratelli Caponi, Totò e Peppino, furono i simboli dell’Italia senza eroi. Totò, fondatore di Farsa Italia e di un ameno regime totolitario.
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Note:
(1) Emilio Gentile (Bojano, 31 agosto 1946) è uno storico, accademico e docente italiano, studioso di storia contemporanea, in particolare del fascismo; è un accademico dei Lincei. Allievo di Renzo De Felice, dalla seconda metà degli anni Settanta ha lavorato sulla storia del fascismo. I suoi studi hanno riguardato temi della storia contemporanea fra i quali la modernità, la nazione, il totalitarismo, il pensiero mitico, le religioni della politica.
(2) Siamo uomini o caporali è un film del 1955 diretto da Camillo Mastrocinque e interpretato da Totò e Paolo Stoppa in due rispettivi ruoli contrapposti: l’uomo e il caporale.
Trama
Totò Esposito, reduce da diverse piccole esperienze come attore comico, si reca a Cinecittà con lo scopo di ottenere un ruolo da comparsa per un film su Napoleone, ma termina invece sul set di una pellicola dedicata a Nerone. Il responsabile comparse, tale Meniconi, viene richiamato ed incolpato di non aver fatto attenzione alla presenza di Totò, ma cerca comunque di rimediare inserendolo nel film sull’imperatore francese. Vestito da milite napoleonico, Totò finisce erroneamente e nuovamente sul set del film su Nerone. Dinanzi alle promesse di Meniconi di farlo arrestare, Totò sfila il fioretto dal fodero minacciando di uccidere chiunque gli capiti a tiro. Viene bloccato e portato in una clinica psichiatrica in quanto considerato pazzo. Lo psichiatra che lo visita capisce fin dall’inizio che Totò non è malato, e se ne convince pienamente dopo che il paziente gli espone la sua personale visione del mondo, diviso a suo dire tra la maggioranza degli “uomini”, costretta da sempre a subire e patire, e la minoranza dei “caporali”, perennemente concentrata sul vessare con prepotenza e cattiveria gli “uomini”. Incuriosito da quella particolare filosofia di vita, il medico desidera sapere da Totò quali eventi l’abbiano maturata.
Totò allora racconta allo psichiatra le fasi salienti di quella che lui stesso chiama “odissea”. Tutto comincia durante la guerra, quando, per sbarcare il lunario, si mette al servizio di quanti non vogliono o non possono attendere nelle lunghe file per il cibo davanti ai negozi. Per superare i clienti che lo precedono, ricorre a piccoli trucchi: prima li distrae verso un inesistente “puntino nero”, suscitando in loro il dubbio che si tratti di un aeroplano, poi si traveste da gerarca fascista e da ufficiale nazista. Alla fine viene scoperto da un milite fascista che lo fa arrestare dai tedeschi.
«L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama. I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque. Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!»
Libri Citati
- Caporali tanti, uomini pochissimi. La storia secondo Totò
- Emilio Gentile
- Editore: Laterza
- Collana: I Robinson. Letture
- Anno edizione: 2020
- In commercio dal: 12 novembre 2020
- Pagine: 192 p., Brossura
- EAN: 9788858142479 [btn btnlink=”https://www.ibs.it/caporali-tanti-uomini-pochissimi-storia-libro-emilio-gentile/e/9788858142479″ btnsize=”small” bgcolor=”#7100e2″ txtcolor=”#eded00″ btnnewt=”1″ nofollow=”1″]Acquista. € 13,30[/btn]
Descrizione
«Il saggio dello storico Emilio Gentile illustra la filosofia e l’etica del grandissimo attore» – Corriere della Sera. Il principe Antonio De Curtis non era solito leggere i racconti degli storici. Lo appassionava solo la storia della sua famiglia, che risaliva all’imperatore Costantino. Non lo divertiva la Storia, cioè l’esistenza umana nel fluire del tempo, perché aveva una visione tragica della vita. Ma permetteva a Totò di spernacchiare tutte le persone che nella Storia, e quindi nella vita, si comportano da «caporali»: i prepotenti che tormentano gli «uomini» qualunque, costretti a vivere un’esistenza grama. Nei suoi novantasette film, ambientati nelle più varie epoche storiche, dall’Egitto dei faraoni all’Italia del ‘miracolo economico’ e all’Europa del Muro di Berlino, Antonio incarna nei personaggi di Totò sia i ‘caporali’ sia gli ‘uomini’, ma sempre con lo stesso proposito: «spernacchiare» i caporali, spiegando che la pernacchia «ha tanti scopi: deride, protesta, esplode con un grido di dolore». E difende così la dignità dell’uomo libero.