Una riflessione laica e critica sul papato tra storia, spiritualità e logiche di potere
TRA DIO E CESARE: I PAPI NELLA STORIA DEL POTERE
Il lungo viaggio del papato tra idealismo evangelico e compromessi terreni
PARTE I
Redazione Inchiostronero
Il papato è una delle istituzioni più antiche e durature della civiltà occidentale, capace di trasformarsi da voce profetica perseguitata a potenza temporale con eserciti, intrighi e alleanze. Questo saggio ripercorre in chiave critica le principali fasi storiche del pontificato: dalle origini comunitarie e martiri dell’età romana, all’apogeo medievale e rinascimentale, dominato da nepotismo e simonia, fino alle recenti sfide della modernità, dei totalitarismi e della secolarizzazione. Attraverso citazioni storiche, analisi documentate e una prospettiva laica, il testo interroga la coerenza tra il messaggio evangelico e le azioni spesso contraddittorie dei papi: figure a volte illuminate, altre volte più vicine a monarchi che a pastori. L’elezione del nuovo pontefice, Robert Francis Prevost, diventa infine occasione per chiedersi se la Chiesa possa ancora parlare con voce credibile al mondo contemporaneo o se resti prigioniera dei suoi paradossi. Un invito a conoscere, criticare e comprendere — senza dogmi — una delle strutture di potere spirituale più complesse della storia umana.
Come nasce un papa: dalla fede al primato
Nel cuore del cristianesimo delle origini, non c’era un papa. C’erano comunità, carismi, persecuzioni, e una fede diffusa in modo fluido, spesso clandestino. Ma tra tutte le città dell’Impero, Roma assunse ben presto un ruolo centrale: sede del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, cuore del potere imperiale, crocevia di popoli e culture.
La figura del vescovo di Roma cominciò a imporsi per autorevolezza, più che per diritto. Già nel II secolo, alcune lettere dei vescovi romani alle altre comunità cristiane rivelano una pretesa di primato, non ancora giuridico, ma spirituale. Solo nel corso dei secoli, quel vescovo si trasformerà nel “papa”, padre universale della cristianità, pontefice tra Dio e il mondo.
“Su questa pietra edificherò la mia Chiesa.”(Matteo 16,18 – frase chiave attribuita a Gesù nel designare Pietro)
Questo sarà il fondamento simbolico del papato: Pietro come primo vescovo di Roma, e il papa come suo successore. Un’idea semplice, ma destinata a cambiare la storia del mondo.

Contesto storico e culturale

Il papato, nella sua lunga evoluzione, ha attraversato fasi storiche radicalmente diverse: dall’emarginazione alla centralità, dalla persecuzione al comando. A differenza di altre cariche religiose, il vescovo di Roma si è trasformato nel tempo da guida spirituale di una piccola comunità a sovrano universale con un potere spesso assoluto, influente non solo in ambito teologico ma anche nelle grandi dinamiche geopolitiche europee e mondiali.
Il cristianesimo nasce nei margini dell’Impero Romano, come movimento di rottura, profetico, radicalmente egualitario. I primi seguaci di Gesù rifiutano il culto imperiale, predicano la povertà e la carità, si riuniscono in case private. In questo scenario, la figura del “papa” non esiste ancora nel senso moderno, ma il vescovo di Roma gode progressivamente di un’autorità crescente, vista la posizione strategica della città e la tradizione che la vuole fondata sulla testimonianza di Pietro.
Con la progressiva “legalizzazione” del cristianesimo — prima con l’Editto di Milano (313), poi con l’Editto di Tessalonica (380), che lo rende religione di Stato — si assiste a una mutazione profonda: la fede perseguitata si istituzionalizza. Il vescovo di Roma, in questa nuova realtà, inizia ad assumere una funzione di mediazione tra autorità celeste e potere terreno.
“Il potere corrompe; il potere assoluto corrompe assolutamente.” – Lord Acton, in una celebre lettera al vescovo di Londra sul dogma dell’infallibilità papale (1870)
Questa citazione, benché moderna, offre una chiave di lettura valida per tutta la storia del papato: l’ingresso nel mondo del potere comporta, inevitabilmente, contraddizioni rispetto al messaggio originario del Vangelo. La Chiesa, nata dalla croce, finisce per abitare i palazzi. Il pescatore di Galilea, simbolo di semplicità e mitezza, viene progressivamente sostituito dalla figura del pontefice sovrano, spesso contornato da corti fastose e da una burocrazia imponente.
A partire dal V secolo, e ancor più nel Medioevo, la Chiesa diventa la sola istituzione europea in grado di garantire una continuità culturale, linguistica e giuridica. In un continente frammentato da guerre e invasioni, i papi si ritagliano un ruolo di arbitri, legittimatori di sovrani, leader morali e, sempre più spesso, attori politici. La tiara papale — con le sue tre corone — simboleggia appunto questo triplice potere: spirituale, temporale, universale.
Ma a quale prezzo? Questo è il nodo centrale del presente saggio: in che misura l’identità cristiana è stata sacrificata sull’altare della strategia politica? E in che misura, invece, i papi sono stati capaci di contenere la deriva mondana, richiamando la Chiesa alla sua missione evangelica?
Per rispondere a queste domande, occorre ripercorrere criticamente i momenti salienti della storia papale, guardando non tanto ai dogmi quanto ai comportamenti, alle scelte, agli effetti delle azioni dei pontefici nella storia concreta delle società.
“Dai loro frutti li riconoscerete.” (Vangelo secondo Matteo 7,16)
Questa affermazione, attribuita a Gesù, vale non solo per i fedeli, ma anche per i successori di Pietro. E proprio dai frutti — ovvero dalle decisioni storiche, dalle alleanze, dalle guerre, dalle riforme e dalle omissioni — possiamo tentare di capire che cosa sia davvero stato, e che cosa sia ancora oggi, il papato.
Dalle catacombe all’Impero: i papi della Chiesa primitiva

La figura del papa nasce non con un atto istituzionale, ma in modo quasi spontaneo, organico, nella struttura delle prime comunità cristiane. Il termine “papa” (dal greco πάππας, padre) era inizialmente un titolo affettuoso usato per vari vescovi, ma finì per designare in modo esclusivo il vescovo di Roma solo a partire dal III secolo.
I primi “papi” — Pietro, Lino, Cleto, Clemente, Evaristo… — non erano capi di Stato né legislatori, ma pastori di piccole comunità clandestine, che si riunivano nelle domus ecclesiae, tra i vicoli di una Roma ostile, sotto la minaccia costante della persecuzione imperiale. La fede cristiana era vista come pericolosa, in quanto negava il culto dell’imperatore e proponeva una fraternità radicale che metteva in discussione l’ordine sociale romano.
“Non abbiamo altro re che Cristo.” (Tertulliano, apologeta cristiano, II sec.)
Questa affermazione era più che un atto di fede: era una sfida all’autorità imperiale. I primi pontefici non indossavano vesti sontuose, ma abiti semplici; non risiedevano in palazzi, ma vivevano in modestia. Molti morirono martiri — secondo la tradizione, san Pietro fu crocifisso a testa in giù durante le persecuzioni di Nerone, nel 64 d.C., e sepolto dove oggi sorge la Basilica Vaticana.
È importante sottolineare che la Chiesa primitiva non aveva una gerarchia rigida come quella successiva. L’autorità spirituale era diffusa, le comunità erano autogestite, e il ruolo di Pietro, pur centrale, non implicava una superiorità giuridica sul resto della cristianità. Questa supremazia sarà rivendicata solo in epoca posteriore, quando il primato petrino verrà teologicamente codificato (specialmente a partire dal Concilio di Calcedonia, 451 d.C.).
La svolta epocale avviene nel 313, quando l’imperatore Costantino emana l’Editto di Milano, con il quale viene concessa la libertà di culto ai cristiani. La Chiesa esce dalle catacombe e inizia un lento, inesorabile processo di istituzionalizzazione. Le persecuzioni cessano, le comunità cristiane diventano visibili, si costruiscono le prime grandi basiliche, si organizza una burocrazia ecclesiastica.
Ma è con l’Editto di Tessalonica (380), sotto Teodosio I, che il cristianesimo diventa religione ufficiale dell’Impero Romano. Da quel momento, la Chiesa non solo è tollerata, ma imposta, e il vescovo di Roma inizia ad assumere un peso politico crescente.
“La religione cristiana, trasformatasi da setta perseguitata a religione di Stato, corre il rischio di perdere la sua anima.” (Paul Veyne, storico del cristianesimo tardoantico)
Il paradosso è evidente: la fede che proclamava “il mio regno non è di questo mondo” si ritrova ora alleata con il potere imperiale, e la figura del papa comincia a evolvere in senso monarchico. La veste di martire lascia il posto alla toga del giudice, il linguaggio profetico si stempera nel compromesso istituzionale.
È in questo contesto che emergono papi come Damaso I (366–384) e Leone I (440–461). Quest’ultimo, noto come Leone Magno, non solo afferma con forza il primato di Roma sulle altre sedi episcopali, ma interviene attivamente negli affari politici, come nel celebre incontro con Attila nel 452, in cui ottiene il ritiro degli Unni senza spargimento di sangue.
“Il papa parlò. E l’ira dei barbari fu placata.” (leggenda sul colloquio tra Leone I e Attila)
La storia reale è meno romantica — probabilmente influirono fattori logistici e militari — ma il gesto simbolico resta cruciale: il papa non è più solo un pastore d’anime, diventa interlocutore delle potenze del mondo.
Questa fase segna la nascita del papato come forza geopolitica. Pur non avendo ancora uno Stato proprio, i papi diventano figure di riferimento morale, legittimatori di poteri, difensori della romanità in decadenza.
Medioevo e potere feudale: l’apogeo e la corruzione
“È necessario alla salvezza che ogni creatura sia sottomessa al Romano Pontefice.” (Bonifacio VIII, Unam Sanctam, 1302)
Tra il IX e il XIII secolo, il papato conosce un’espansione impressionante. Gregorio VII (1073–1085) proclama il Dictatus Papae, affermando la supremazia del papa su ogni re cristiano. Ma è anche il periodo delle investiture, dei simoniaci, dei papi guerrieri.
“Chi non vuole essere vassallo dell’Imperatore, lo sia almeno di Dio” (Gregorio VII, Lettera all’imperatore Enrico IV)
Con Innocenzo III (1198–1216), il papato raggiunge la sua massima influenza, ordinando crociate, scomunicando re, fondando università. Ma il lato oscuro non tarda ad emergere: nepotismo, guerre tra famiglie papali, persecuzioni (Catari, Templari), uso disinvolto dell’Inquisizione.
Il Medioevo rappresenta, per il papato, un’epoca di consolidamento e massima espansione del potere, ma anche una fase segnata da scandali, conflitti interni e ambiguità morali. Se nei secoli precedenti il vescovo di Roma era un’autorità morale emergente, a partire dall’VIII secolo il papa diventa una figura centrale nella costruzione dell’Europa cristiana, protagonista di alleanze, guerre, investiture e scomuniche.
La trasformazione inizia con la Donazione di Costantino, un documento apocrifo (rivelato come falso solo nel XV secolo) che attribuiva al papa il dominio temporale su Roma e l’Occidente. Anche se falso, fu per secoli considerato autentico e servì da base ideologica per legittimare la sovranità temporale dei papi.
“Per volontà dell’Imperatore e per decreto divino, a Pietro e ai suoi successori appartiene la signoria su Roma e le province d’Occidente.” (Donazione di Costantino, testo apocrifo, ca. VIII sec.)
Questa pretesa di potere sfocia nel Patrimonio di San Pietro, ovvero l’embrione dello Stato Pontificio, che sancisce l’ingresso ufficiale dei papi nella sfera politica e feudale. Essi diventano signori territoriali, con eserciti, tasse, castelli, vassalli — non diversi da altri feudatari dell’epoca.
La lotta per le investiture: Chiesa contro Impero
L’episodio più noto del papato medievale è la lotta per le investiture (XI secolo), ovvero il conflitto tra papato e impero su chi avesse il diritto di nominare vescovi e abbati — una questione apparentemente interna alla Chiesa, ma che nascondeva una vera e propria guerra per il controllo dell’Europa cristiana.
Lo scontro tra Papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV culminò in un atto di forza clamoroso: il papa scomunicò il re.
“Io ti depongo, Enrico, re non più re, e sciolgo i tuoi sudditi dal giuramento di fedeltà.” (Gregorio VII, Lettera a Enrico IV, 1076)
Enrico fu costretto a umiliarsi a Canossa (1077), rimanendo tre giorni nella neve per ottenere il perdono papale. Fu un momento di massima autorità per il papa… ma anche un preludio a nuove guerre, rotture e umiliazioni.
Papato feudale: nepotismo, guerre, alleanze
Nel corso del Medioevo, il papato diventa sempre più simile a una corte principesca, con i suoi intrighi, alleanze e scandali. I papi si circondano di parenti (da cui nasce il termine nepotismo), spesso nominano cardinali i propri nipoti, e partecipano attivamente a guerre e campagne militari.
Un esempio è Papa Bonifacio VIII (1294–1303), figura potente e controversa, che si scontra frontalmente con il re di Francia, Filippo il Bello. Bonifacio proclama la bolla Unam Sanctam (1302), in cui dichiara la superiorità assoluta del potere spirituale su quello temporale.
“È necessario alla salvezza che ogni creatura sia sottomessa al Romano Pontefice.” (Bonifacio VIII, Unam Sanctam)
Ma questa arroganza segna l’inizio della decadenza: Filippo il Bello farà arrestare il papa ad Anagni nel 1303, evento simbolico della crisi del papato. Dopo Bonifacio, seguirà il periodo dell’esilio avignonese (1309–1377), durante il quale i papi risiederanno in Francia, sotto il controllo della monarchia francese.
Questo allontanamento da Roma e dal popolo italiano provocherà il grande Scisma d’Occidente (1378–1417), con due o addirittura tre papi rivali contemporaneamente, ognuno sostenuto da una diversa fazione politica. Una spaccatura che metterà in discussione la credibilità stessa del papato.

Le crociate e l’ideologia della guerra santa
Altro elemento distintivo del papato medievale è la promozione delle crociate. A partire dal celebre appello di Urbano II nel 1095, il papa diventa promotore di guerre “sante”, volte alla conquista dei luoghi sacri, ma anche alla gestione di crisi politiche interne all’Europa.
“Dio lo vuole!” (Urbano II, discorso al Concilio di Clermont, 1095)
Le crociate rappresentano l’apogeo del potere papale, ma anche la sua contraddizione più evidente: una religione di pace si fa promotrice di violenza sacralizzata. Dietro la retorica spirituale, si celavano motivazioni economiche, espansionistiche e politiche.
Il papato medievale, dunque, non fu solo guida spirituale, ma anche attore politico, principe feudale, stratega militare. Alcuni papi furono colti riformatori e promotori della cultura (come Silvestro II o Innocenzo III), ma molti furono protagonisti di intrighi, guerre e abusi di potere.
“Il Papa è insieme il successore di Pietro e il signore di Roma. In questa duplice veste, spesso dimentica l’uno per servire l’altro.” (Jacques Le Goff, storico del Medioevo)
Questa commistione tra sacro e profano raggiungerà il suo apice nel Rinascimento, dove il papato si trasformerà in mecenate delle arti ma anche regista di alleanze e vendette, come vedremo nel prossimo capitolo.
Rinascimento: splendore artistico e decadenza morale
Il Rinascimento rappresenta una delle stagioni più ambivalenti della storia del papato. Da un lato, i papi diventano promotori delle arti, mecenati di architetti, scultori, filosofi e pittori. Dall’altro, si affermano come figure politiche senza scrupoli, coinvolti in guerre, simonia, intrighi dinastici e scandali morali che scandalizzarono fedeli e nemici della Chiesa.
In questa fase, il pontefice è a tutti gli effetti un principe rinascimentale: regna, combatte, stringe alleanze e finanzia le proprie ambizioni con tasse e indulgenze. Il soglio di Pietro diventa un trono conteso tra famiglie nobiliari e dinastie affaristiche. La carica papale è spesso il risultato di manovre politiche, accordi segreti e, in certi casi, veri e propri acquisti.
“Non si può essere cristiani e romani, perché non si può servire Dio e Mammona.” (Girolamo Savonarola, 1495)
Savonarola, frate domenicano e feroce critico della corruzione ecclesiastica, fu uno dei pochi che osò denunciare pubblicamente la contraddizione tra il Vangelo e il lusso del papato rinascimentale. Fu scomunicato e bruciato come eretico nel 1498.
La curia come dinastia familiare: Borgia, Medici, della Rovere
I papi del Rinascimento provengono da famiglie potenti e si comportano come tali. Tra i più emblematici:
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Alessandro VI (Rodrigo Borgia, 1492–1503): accusato di corruzione, nepotismo e simonia. Favorì i propri figli, tra cui Cesare e Lucrezia Borgia, trasformando il papato in un affare di famiglia.
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Giulio II (Giuliano della Rovere, 1503–1513): chiamato “il papa guerriero”, più spesso in armatura che in paramenti sacri. Commissionò a Michelangelo la Cappella Sistina ma al contempo guidò campagne militari per consolidare il potere dello Stato Pontificio.
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Leone X (Giovanni de’ Medici, 1513–1521): raffinato intellettuale e patrono delle arti, fu il papa che approvò la vendita delle indulgenze per finanziare la costruzione di San Pietro. Il suo pontificato sarà una delle cause scatenanti della Riforma luterana.
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“Dio ci ha dato il papato: godiamocelo.” (attribuito a Leone X)
Questa frase — autentica o meno — è il simbolo perfetto dell’atteggiamento cinico e disincantato di molti papi dell’epoca: il papato non come servizio ma come privilegio, non come croce ma come corona.
Il mecenatismo papale: bellezza al servizio del potere
È innegabile che proprio grazie a questi papi Roma divenne uno dei centri culturali più straordinari del mondo. Raffaello, Bramante, Michelangelo, Bernini e tanti altri furono finanziati direttamente dalla Curia. Nascono opere immortali: la Cappella Sistina, la Basilica di San Pietro, gli affreschi delle Stanze Vaticane.

Il mecenatismo papale fu una forma di legittimazione del potere: la bellezza serviva a impressionare, stupire, sedurre. La magnificenza artistica della Roma papale era anche una risposta alla crisi spirituale e morale: se il papa non poteva convincere con la santità, lo faceva con lo splendore.
Ma questa magnificenza aveva un costo. Le continue spese portarono a misure impopolari, come la vendita delle indulgenze — ovvero il perdono dei peccati in cambio di denaro — che suscitò indignazione in Germania, dove un frate agostiniano, Martin Lutero, affisse le sue 95 tesi nel 1517, dando inizio alla Riforma protestante.
“Non si può redimere l’anima col denaro. Il papa dovrebbe vendere le sue mitre e costruire ospedali, non cattedrali.” (Martin Lutero, Disputa sulle indulgenze, 1517)
Lutero non contestava solo la dottrina: metteva in discussione la credibilità morale del papato, ormai percepito come una struttura corrotta, distante dal Vangelo. La frattura fu irreparabile. La Chiesa reagì con la Controriforma, ma il danno alla reputazione del papato era fatto.
Il Rinascimento segna così la fase più spettacolare ma anche più vulnerabile del papato. Il pontefice brilla nel campo dell’arte e della diplomazia, ma crolla sul piano della coerenza evangelica. È il secolo dei papi-banchieri, dei cardinali-armatori, delle corti pontificie più simili a Versailles che a Gerusalemme.
“La Chiesa non fu mai così bella. E mai così lontana da Cristo.” (Johann Baptist Metz, teologo tedesco)
Ma se il potere spirituale sembrava voler solo benedire quello temporale, la storia ci mostra presto che i confini tra altare e trono non furono mai davvero stabili. È proprio da qui che inizia la seconda parte: quando i papi smettono di essere solo consiglieri dell’Impero e iniziano a diventare protagonisti essi stessi del potere.

La Bibliografia critica essenziale nella seconda parte