Che questa sinistra faccia pena è un dato umano
TRA UNA LAGNA E UNA MONTATURA
Che questa sinistra faccia pena è un dato umano, prima ancora che storico e simbolico. Solo pensare che sia l’erede culturale e ideale del Partito Comunista è un’abiezione che fa inorridire anche qualunque avversario politicamente onesto e leale.
Arruffoni dal punto di vista culturale, i suoi figuranti applicano nelle loro esposizioni la tattica del cherry picking, ovvero il metodo di trascurare o denigrare le argomentazioni dell’interlocutore per mettere in evidenza o sostenere solo quelle a proprio favore – metafora del prendere dal cesto le ciliegie più buone lasciando quelle considerate guaste -. Sono in tanti questi malriusciti esperimenti antropomorfi che occupano posizioni di rilievo nella comunicazione di massa. Le espressioni variano dal narcisismo maligno alla cortigianeria più untuosa, dalla malversazione concettuale all’ossessione patologica, dall’aggressività inopportuna alla falsificazione più becera. Li unisce una supponenza che, una volta sedato l’istinto futurista dell’assalto magari fisico, provoca al massimo un sorrisino di compatimento per questi miserevoli pulcini mannari. La stessa prepotenza esplicita, alla fine, risulta una specie di manifestazione controfobica per nascondere la paura di rivelare la propria nullità.
Dopo aver occupato ogni spazio disponibile nell’organizzazione sociale secondo l’insegnamento di Gramsci, e dopo essere stati adeguatamente organizzati in Partito da Togliatti, grazie all’elaborazione teorica del primo e al realismo politico del secondo, i comunisti sono stati per molti anni una compagine ideologicamente compatta, intransigente e disciplinata.
Poi, da Berlinguer in poi, fino all’insignificante e scombinata Elly Schlein – quella contorta, astrusa e sconclusionata portavoce dei “cicli positivi della circolarità” e del “campo largo” e di un oscuro passaggio di palla – la liquefazione è continuata con ineluttabile progressione.
Da Partito, quale dispositivo portatore di una visione del mondo, creatore di destino e messaggero di ideali – apparato preposto all’azione concreta e decisa –, il comunismo è ormai una melassa confusa tra bigotti dell’accoglienza, puritani dell’ambiente, ipocriti della compassione.
Scodinzolano nelle aree protette della pseudocultura progressista e del moralismo impotente, ringhiando al comando dei loro padroni ma sempre prudentemente al guinzaglio. Se solo l’attrezzo si rompe, si nascondono dietro alle sottane di mamma-democrazia.
Per potersi mantenere nel ruolo di patetici intellettuali – cultori e competenti è altra cosa – si inventano nemici, escogitano pericoli e lanciano terrifici allarmi: il più consolidato, ovviamente, è il rigurgito del fascismo; abbastanza in auge è il riscaldamento climatico e la siccità, seppure smentito dall’evidenze meteo; sempre funzionale è il razzismo serpeggiante nel sesso, nei corpi e nelle culture.
Tra un piagnisteo sulla repressione censoria ed una montatura sulla tirannide incombente, i gallonati maggiordomi della New Left usufruiscono di tutti i possibili agganci per distribuire a piene mani omelie, sentenze e beatificazioni.
Dal martirologio di picchiatrici antagoniste, alle pagelle sugli avversari politici, alle omelie sulle grandezze personali e redazionali, i Bernardo Guy del politicamente corretto e i Bellarmino della inquisizione woke, i derelitti rappresentanti della non-cultura democratica stanno minando dall’interno la già tarlata democrazia con gustoso cinismo apocalittico di coloro i quali in questa non hanno mai creduto.