Hanno una gran paura
TREMA L’EUROPA DEI POTENTI
Hanno una gran paura. Da quando Trump è scampato all’attentato che doveva togliere le castagne dal fuoco ai globalisti, tutto si è maledettamente complicato, anzi per gli adepti europei della guerra, delle stragi in Medio Oriente e delle sanzioni, l’atmosfera è diventata drammatica perché una caduta del bidenismo a Washington lascerebbe l’Europa da sola a fare i conti con il servilismo suicida che l’ha portata a sacrificare ogni cosa in una insensata guerra alla Russia e ora persino alla Cina. Come farà senza il tutore e il suggeritore? Per l’élite europea che ha coinvolto il continente in un conflitto senza avere i mezzi per sostenerlo e che i suoi cittadini non vogliono combattere, si tratterebbe di una meritatissima fine. Non saranno rimpianti da nessuno.
Che stiano tremando come gelatina attaccandosi a Kamala che significa guerra e ancora guerra, lo dimostra anche il fatto che i loro aedi a pagamento hanno cominciato già da tempo a cantare su quanto sia bello abbandonarsi agli americani. Lo si può fare in maniera avveduta o in modi scomposti e stupidi come suggerisce l’angoscia per il fallito attentato a Trump. Una zucca vuota come Panebianco, vecchio reperto del berlusconismo, arriva a dire che gli accadimenti in Usa nei quali si scorge chiaramente il tentativo di estromissione degli elettori da ogni decisione con un doppio golpe, uno dei quali fallito, sarebbe la dimostrazione della “vitalità della democrazia americana”. Questo davvero ricorda un’espressione campana, tenere i pappici in capa, le farfalline della pasta nella testa. Ma mentre gli animaletti pasteggiano, Panebianco esprime il terrore vero: che l’Europa venga lasciata da sola e che quindi i suoi referenti, compreso il Corriere della Sera sul quale scrive, vadano a gambe all’aria, travolti dalla realtà. È un incubo del quale non riescono nemmeno a farsi una ragione e ancora vivono nell’illusione (come la Schlein con la laurea honoris causa in cazzeggio comparato) che l’Occidente riuscirà a sottomettere il mondo intero e soprattutto quella parte di mondo che non vuole più farsi ricattare a forza di bombe, che vuole espandere i suoi rapporti civili ed economici, senza ricatti e prepotenza.
Questo fa parte della sindrome di proterva incredulità che sta disegnando una sorta di semplice ideologismo, alla portata anche di Panebianco, Schlein e Kamala, il quale si fonda su una elementare convinzione: se non distruggiamo i Brics e la Sco ora, loro distruggeranno noi. Il che può anche essere vero se con noi non si intendono le persone, le quali anzi avrebbero tutto da guadagnare da rapporti più civili ed equi di scambio economico, ma le élite di comando che si sono arricchite oltre ogni immaginazione su un sistema fondato sulla diseguaglianza e la cui logica è quella di sopravvivere grazie a un sempre maggior divario tra popolazione e oligarchi. Anzi c’è di più perché la guerra è ormai necessaria per nascondere il fallimento del sistema complessivo. In una folgorante e lunga intervista l’economista Michael Hudson ha così sintetizzato la cosa: “Aspetta un attimo, questa è la fine della storia. Ci siamo. Siamo la fine della storia. Siamo la storia. Accompagnata dalla meravigliosa battuta del presidente Biden che ha detto, ehi, non sono senile. Sto controllando il mondo intero. Sto governando il mondo”. Questa è la mentalità nella politica estera degli Stati Uniti che è stata completamente denudata nelle scorse settimane. Ed è questa la mentalità a cui l’Europa si è entusiasticamente adeguata, mostrando benissimo che la Ue non è che una dependance della Nato.
C’è però un problema di fondo che riguarda la praticabilità di tale obiettivo: le armi magiche non hanno avuto il successo che si immaginava contro un esercito professionale e bene armato come quello russo. Finché si trattava di Gheddafi o di Saddam hanno potuto maramaldeggiare, ma adesso le cose si stanno facendo serie. con la distruzione di enormi quantità di armamenti e con decine di uomini Nato che ci lasciano la pelle ogni giorno nel carnaio dell’Ucraina. Per di più le aziende americane degli armamenti importano dalla Cina il 40 per cento dei loro chip, quasi tutto il cobalto e le terre rare e dalla Russia motori e sistemi per i missili: senza Pechino e senza Mosca ci metterebbero anni a risalire la china sempre che ce la facciano.
Ecco perché ora tremano: secondo Hudson non c’è modo che gli Stati Uniti o l’Europa possano in qualche modo ricostruire la loro industria senza definanziare drasticamente la loro economia di carta e senza aumentare i salari, gli stipendi e gli standard di vita dei lavoratori, senza ripensare l’istruzione e il ruolo dello Stato. Così molti dei cantori del sistema si aggrappano tremanti a Kamala come a una Cabala: non hanno capito che è la struttura stessa che non tiene più, proprio quella struttura che essi pensavano come eterna.