Fedele alla sua fortunata ricetta di «commedia gialla», Roberto Centazzo ci invita a conoscere un gruppo variopinto di personaggi indimenticabili

Tutti i giorni è così a Cala Marina, località inventata che nessun lettore avrà difficoltà ad identificare con una qualsiasi piccola cittadina turistica della riviera, finché una bellissima sconosciuta non scende dal treno. Ovviamente, tutti l’hanno notata! Prendetevi un po’ di tempo, indossate i panni del muto spettatore, ovvero del narratore ed abbandonatevi a questa genuina commedia gialla nostrana.

L’autore non dimentica proprio nessun tipico personaggio, quando ci narra la quotidianità di Cala Marina. C’è Silvano che tutte le mattine pedala assonnato procedendo a zig zag per andare ad aprire la sua edicola. Porta una molletta ai pantaloni per temerli su ed evitare il contatto con la catena della bici. La bella Ludovica arriva con il Ciao blu e si appresta ad aprire il bar della stazione. È l’unica che saluta il nostro narratore, anzi fa di più, addirittura gli sorride. “Nulla è più luminoso di un sorriso. Sembra un lampo che illumina la notte, il flash di una macchina fotografica che immortala un momento unico”. Il primo cliente è sempre Taddeo, il gabbiano intelligente a cui Ludovica dà gli avanzi del giorno prima. C’è Bartolomeo, il tassista, sempre con la Settimana Enigmistica in mano in attesa dei turisti, il professor Martinelli che insegna matematica e fa di qualsiasi cosa una questione di calcolo e Dalmasso, il capostazione triste.

Nessuno nota Adelmo Spreafico, l’addetto delle pulizie, soprannominato Il Muto perché muto. Lui è sempre lì. Vede e sente tutto. Il maresciallo della Polizia Ferroviaria Norberto non ha segreti per lui. Quest’ultimo è ormai a fine carriera ed è tranquillo, perché come dice sempre: “a Cala Marina tutti i giorni è così”. Mai un caso di omicidio!

Quello che mi è piaciuto di più è la leggerezza e l’autenticità di questa breve commedia tinta di giallo. Lettura breve, caratterizzata da uno stile semplice e scorrevole, nonostante le minuziose descrizioni dei personaggi che a dire il vero, sono il punto di forza. Danno vita ai personaggi come se fossimo lì, a Cala Marina, a pulire la stazione in silenzio, ascoltando e vedendo tutto quello che accade.

Ah l’amore! Una maglia comoda all’inizio, confortevole, calda, morbida ma che, in taluni casi, piano piano si infeltrisce e diventa stretta. Tanto che non riesci più a levartela e senti l’ansia salire sino a farti soffocare. Succede, talvolta.

E quella volta che succede, iniziano i guai.

Dimenticavo, il mio personaggio preferito è senza dubbio il professor Martinelli. Da liceale ho sempre odiato la matematica, ma vista attraverso le pagine di un romanzo mi piace.

La trama del romanzo

Appoggiata a un mare calmo, Cala Marina è una località tranquilla, soprattutto prima che inizi la stagione estiva, quando è popolata soltanto da nonni e nipoti, e da qualche coppia in cerca di intimità. Alla sua piccola stazione FFSS ogni giorno si può incontrare la stessa piccola folla di personaggi: Dalmasso, il capostazione triste; Ludovica, la barista sensibile; Silvano, dentro la sua edicola piena di fumetti; il professor Martinelli, pendolare, matematico e filosofo; Bartolomeo, il tassista; Adelmo, l’addetto alle pulizie e poi Norberto, il maresciallo della Polizia Ferroviaria. La vita scorre senza scossoni a Cala Marina, e il resto del mondo con il suo fragore resta sullo sfondo, lontano come i rapidi, che non fermano mai.
Tutti i giorni è così, «arriva il treno accelerato, il macchinista lancia il segnale sonoro, le ganasce dei freni stridono e il treno si ferma. C’è chi scende e chi sale, come sempre. Ma oggi accade qualcosa di diverso. Dalla seconda carrozza fa la sua apparizione una donna, alta, in equilibrio su tacchi a spillo. È bellissima…»

 

Come inizia

  • A mia moglie,
  • alla serenità che mi regala,
  • e ai giorni che verranno.
  •  

1

  • Dove, come ogni mattina,
  • la vita ricomincia
  • alla stazione ferroviaria
  • di Cala Marina

Quando è ancora buio

I lampioni sono accesi lungo il viale che porta alla stazione. È un viale lungo, limitato da abeti rossi, che emanano un profumo balsamico. Non si sente alcun suono. I rospi hanno smesso di gracidare e per i grilli e le cicale è ancora troppo presto. Sono le cinque e mezzo, non è più notte ma non è nemmeno giorno. È l’ora del silenzio. L’ora del cambio della guardia. La luna va a dormire e lascia il posto al sole.

Stamattina però il sole ha voglia di poltrire. Si stira, sbadiglia, apre un occhio e guarda giù. La strada è deserta. Non c’è nessuno in giro, neanche un’auto di passaggio. Può voltarsi dall’altra parte e attendere, ancora qualche minuto prima di alzarsi.

Ecco, in lontananza si sente un cigolio. E si vede una piccola luce, il fanale di una bicicletta. Come tutte le mattine, Silvano pedala procedendo a zig zag, assonnato. La molletta ai pantaloni, beige e con la riga, per tenerli fermi ed evitare che vengano masticati dalla catena, le mani sul manubrio da corsa. Percorre il tratto in leggera salita, il cigolio aumenta: dovrebbe metterci dell’olio, alla corona, ma poi, senza carter, gli schizzi sporcherebbero i calzoni.

Un gatto sta rientrando a casa. Prima di scavalcare la recinzione del giardino, si ferma per un attimo a osservare incuriosito quell’uomo che accosta la bici al muro, la assicura con il lucchetto a un palo, si toglie la molletta e infila una mano in tasca. Lo fissa con i suoi occhi che sembrano fanali e poi sparisce con un salto oltre una siepe di pitosforo.

Silvano si sfila il K-Way azzurro e resta con la maglietta di cotone gialla a maniche corte. Estrae il thermos dal portaborraccia, toglie il coperchio, lo rovescia, svita il tappo e versa. Zuccherato al punto giusto. L’aroma di caffè si solleva nell’aria e sale in cielo.

Il sole capisce che è ora. Si sgranchisce.

«Ah!» esclama Silvano. Per lui significa: buono, ci voleva!

Attende qualche istante guardandosi intorno. Aspetta che il cielo rischiari. Il sole sbuffa ma si alza.

È quello il momento in cui Silvano solleva la serranda della sua edicola. L’attimo esatto in cui nasce il giorno. Quando tutto deve ancora accadere.

Ogni giorno vedo giungere in stazione i suoi frequentatori abituali, precisi come un orologio. E ripetitivi nei loro comportamenti: potrei quasi anticipare i gesti che faranno, indovinarli prima che li compiano.

Silvano è il primo. Ha trentotto anni, è appassionato di fumetti e un giorno si è detto: «Perché non leggerli gratis?» Detto fatto. La mamma, con la quale ancora vive, gli ha dato i soldi per rilevare l’edicola della stazione. Farebbe qualunque cosa per lui, la mamma. Ha sempre coccolato quel suo ometto rimasto bambino. Deficit intellettivo, lo chiamano. È come se avesse dodici anni.

La prima mezz’ora Silvano la passa a preparare i resi. Prende i pacchi di quotidiani invenduti, li conta e li impila fuori della porta. Poi passa l’avambraccio sull’ultimo, come a stirarlo. Intanto che aspetta il furgoncino con i quotidiani del giorno, fa un giro a controllare i libri e le riviste sugli espositori. Eccolo, arriva. Il giovanotto alla guida posteggia con una ruota sul marciapiede e scende fischiettando. Indossa una giacca da lavoro verde scuro e un cappellino con la visiera. Mastica una gomma. Ha l’aria furba. Conosce i problemi di Silvano e, per sfotterlo, fa un saluto militare, portando la mano destra alla visiera.

«Come va, capo?»

Silvano non risponde. Il tipo che ritira l’invenduto e distribuisce il nuovo non gli è simpatico, per niente.

Il giovanotto delle consegne lo sa. Ma se ne infischia. Anzi lo fa apposta.

«See you later!» lo punzecchia mentre sbatte i pacchi nel vano posteriore del furgone, un Fiat 850T rosso, tutto ammaccato. Chiude il portellone e se ne va.

Silvano scrolla le spalle e comincia a esporre per bene la mercanzia sul bancone.

Poi si mette a leggere l’ultimo numero di Zagor, in attesa dei primi clienti.

Intanto si sono fatte le sei

E a quest’ora, sul Ciao blu con il cestino portapacchi, arriva Ludovica. Attraversa il paese partendo da un piccolo sobborgo di Cala Marina, ai piedi delle colline, chiamato Puntacane. Il nome deriva da una roccia sul mare che, con un po’ di fantasia, sembra un cane da caccia che fa la punta.

Ludovica gestisce il bar della stazione. Alle sei in punto posteggia il suo motorino, prende la grossa borsa di stoffa dal cestino (l’ha fatta lei all’uncinetto, di cotone arancione, e per fermaglio ha usato una conchiglia), cerca le chiavi e solleva la saracinesca. Accende le luci. I neon balbettano un po’, ronzano come mosconi disturbati e infine inondano di bianco il locale. A quel punto Ludovica mette in funzione la macchina per l’espresso, il piccolo forno e la radio a valvole da cui sbuca la voce di Little Tony: «Un cuore matto… matto da legare…» Il successo del momento.

Anche lei ogni giorno compie gli stessi identici gesti. Contrariamente a Silvano, però, mi saluta. Un semplice gesto del capo e un sorriso per farmi intendere che mi ha visto, nella penombra della sala d’aspetto.

Nulla è più luminoso di un sorriso. Sembra un lampo che illumina la notte, il flash di una macchina fotografica che immortala un momento unico.

Nello stanzino sul retro Ludovica si toglie la giacca, la appende e infila il grembiule. Fa un grosso sospiro e inizia a passare il panno umido con lo sgrassatore sopra la vetrina dei dolci, sui tavolini e sulle sedie. Si assicura che i dispensatori di tovagliolini siano pieni.

Quando la temperatura è giusta, inforna le torte. L’impasto lo prepara la sera prima e lo lascia tutta la notte in frigorifero.

È sempre serena in volto ma il suo cuore è adombrato. Ha una sorella più piccola, Sofia, che è disabile. Ora che i genitori sono mancati, l’incarico di accudirla grava tutto sulle sue spalle. Deve fare mille sacrifici e il pensiero è sempre là, rivolto alla piccola. Potrebbe farsi male e nessuno saprebbe accudirla con l’attenzione che le dedica lei.

Ludovica è una bella donna e fa quel lavoro da quando ha quindici anni. All’epoca, papà e mamma c’erano ancora e lei dava soltanto una mano nel pomeriggio, dopo la scuola. Per renderle più agevole il tragitto, le avevano comperato la sua prima bicicletta. Ora di anni ne ha trentacinque e le difficoltà della vita l’hanno trasformata. Hanno fatto di lei una persona pacata. Saggia. E straordinariamente affascinante.

Il rumore di un motore diesel rompe il silenzio. L’aria s’appesta di gasolio.

Ecco il garzone del fornaio, con le brioches appena sfornate, la pizza e il pane ancora caldo.

Ludovica lo saluta con un sorriso, ritira il portavivande dei cornetti e li sistema nell’espositore. Lui intanto porta dentro il sacco del pane e poi il vassoio della pizza. Rimette in moto e uno sbuffo di fumo nero esce dalla marmitta del furgoncino. Sarebbe ora di cambiarlo quel vecchio catorcio.

Ludovica attende che il pane si raffreddi e nel frattempo taglia con l’affettatrice il prosciutto e il formaggio, per preparare i panini. Le torte sono pronte. È il momento di sfornarle.

Alle sei e mezzo è tutto a posto. Mancano solo i clienti.

Il primo in assoluto è Taddeo.

Arriva dal mare. Plana nell’atrio della stazione come fosse una pista d’atterraggio.

Ludovica ha gli avanzi del giorno prima. Briciole, pezzi di pane, rimasugli. Qualche fetta di salame accartocciata.

Taddeo lo sa, è un gabbiano intelligente. Divora tutto in un baleno. Poi torna verso il mare.

Ludovica vorrebbe fare altrettanto, ma da anni non riesce più a volare.

 

Tutti i giorni, alle sette

Bartolomeo parcheggia il suo taxi nell’apposito spazio delimitato dalle linee gialle fuori della stazione. E attende.

A memoria d’uomo non si ricorda che a Cala Marina a quell’ora qualcuno abbia mai preso un taxi.

Ha cinquantatré anni, Bartolomeo, è un po’ sovrappeso per il fatto che passa tutto il suo tempo seduto in macchina, con la Settimana enigmistica in mano. Specie in inverno, quando piove e i pomeriggi passano lenti, e lui se ne sta al caldo, intabarrato nel cappotto, una vecchia radiolina a pile che trasmette una musica in sottofondo e le gocce che disegnano strane linee sul parabrezza della sua Fiat 13000.

Non è stata una grande idea acquistare la licenza. Pochi clienti. Soltanto d’estate il gioco vale la candela, quando arrivano i turisti, con grosse valigie, e allora finalmente si vedono dei bei soldi. La gente in vacanza non fa storie, mette in conto di spendere. Bartolomeo lo sa.

D’estate è tutto un susseguirsi di corse avanti e indietro dalla stazione al litorale, per raggiungere gli alberghi a tre o quattro stelle o le pensioncine a gestione familiare. Arriva anche la concorrenza dai paesi limitrofi e allora c’è da litigare con i rivali scorretti che in quella zona non potrebbero esercitare o addirittura con gli abusivi. Per non parlare di quelli che prelevano i clienti tre stazioni prima, nel capoluogo, dove fermano i rapidi. Fanno la corsa lunga, i furbastri, fino a Cala Marina e Bartolomeo non può nemmeno dir loro nulla, se non ruminare qualche improperio.

Però adesso è maggio, l’estate deve ancora arrivare e Bartolomeo sta seduto in auto immerso nelle sue parole crociate.

Gli viene in mente un pensiero: le parole intersecandosi fanno nascere nuove parole e sono come i treni che, spostando le persone, intrecciano i loro destini e fanno vivere nuove storie.

Se non avesse fatto il tassista avrebbe potuto fare il poeta, si dice, fiero della pensata.

Dodici verticale: simbolo chimico del molibdeno. Ecchecaspita!

Diciotto orizzontale: vi razzola il pollame. Questa è facile: aia.

Proprio come le persone, ci sono quelle complicate e quelle molto semplici. E le loro esistenze si incrociano.

Altro che poeta, doveva fare il filosofo.

Diciassette verticale: permettono l’accesso alle singole stanze. Otto lettere. Boh! Ah già, corridoi!

Ma quando la finisce? si domanda Silvano che, divertito, lo sta sbirciando da dietro la vetrina. Si riferisce al numero della Settimana, acquistato alla sua edicola un mese e mezzo prima. Si era segnato la data sul calendario di Frate Indovino. Eccola lì, cerchiata: 3 aprile 1967.

«Ora siamo al diciotto maggio…» ridacchia.

Alle sette e mezzo

Arriva il professor Martinelli, pendolare.

Insegna al liceo Galilei, nel capoluogo che dista trenta chilometri. Non sono tanti, ma con i treni locali, quasi sempre in ritardo, a volte sono stancanti.

Ogni mattina il professore acquista all’edicola due quotidiani. Uno di destra e uno di sinistra. Ne acquisterebbe anche di più ma non se li può permettere. Li legge durante il viaggio o a scuola, nelle ore buche. Pesa le notizie, le confronta e si costruisce una sua idea seguendo una regola sicura: sottrae gli estremi, che si annullano a vicenda, ed esegue una media ponderata di ciò che sta in mezzo. In sostanza se un quotidiano dice cha va tutto bene e l’altro che va tutto male il risultato finale è che le cose vanno così così.

A questo punto potrebbe anche non comprarli più i giornali.

Lo si è capito: Martinelli insegna la materia più affascinante e bistrattata che esista: la matematica.

Dopo aver dato il buongiorno a Silvano, il professore, con i quotidiani sottobraccio, va al bar e saluta calorosamente Ludovica. Si siede al tavolino e attende che lei gli porti la solita colazione: il cappuccino con la fetta di torta. Una di quelle che prepara lei stessa, si sa.

Il professore indossa una giacca consumata, un tempo marrone, dal cui taschino sbucano una penna stilografica e una mastodontica biro Bic a sei colori: blu, nero, rosso, giallo, verde e arancione. Cosa se ne faccia del giallo e dell’arancione, non l’ha mai capito nessuno. Del verde lo sanno tutti: sottolinea le soluzioni creative, quelle che dimostrano fantasia. Verde speranza. Il rosso è per gli errori gravi, il blu per quelli meno drammatici, il nero per il suo giudizio finale.

Ha i capelli scompigliati e un paio di occhiali con la montatura nera e le lenti spesse, rettangolari. La barba è malfatta, ma, involontariamente, lo fa apparire interessante. Mentre assapora la torta, comincia a sfogliare i quotidiani. Si limita a scorrere i titoli. Che poi sono la cosa più intrigante: i fatti, compressi nell’occhiello, finiscono per essere poi totalmente ribaltati o contraddetti nel corso dell’articolo.

Ogni tanto lancia un’occhiata a Ludovica. Il professor Martinelli non la sta corteggiando, troppi anni di differenza e poi non è il tipo. Oltretutto è stata pure una sua alunna. Già carina allora, s’intuiva che sarebbe diventata una bella donna. Il motivo per cui la osserva è un altro: la sta studiando. Come fosse una funzione, un’equazione: c’è qualcosa di sfuggente in quella donna e lui è sicuro di sapere cos’è.

«La matematica spiega tante cose», dice spesso il professore, «e ognuno di noi non è soltanto la somma dei propri giorni passati, ma è anche il prodotto fra tali giorni e la propria individualità.»

Potrebbe anche fare previsioni sulla base dei suoi calcoli e predire, con un modesto margine di errore, come sarà l’avvenire di quella persona: «Tutta questione di probabilità», minimizza, modesto come di consueto.

Butta un altro sguardo, l’ennesimo, a Ludovica. Ma sì, dai! Un po’ guardone lo è. In primavera gli ormoni si rimettono in moto. Ha un seno così generoso, Ludovica, sotto quel vestito a fiori.

Quando lei lo coglie in flagrante, si sorprende lui stesso. Prova a fare l’indifferente e cerca qualcosa su cui concentrarsi. Medita sulla parola ennesimo: un numero alla potenza «n», ci credo che gli studenti non capiscono! Anche lui ce ne ha messo!

Abbassa immediatamente gli occhi e prende un appunto: «Spiegare bene agli studenti il concetto di potenza». Rimette la stilografica nel taschino.

Poi sente una voce sgradevole che esclama: «Buongiorno a tutti!» Un ingresso plateale. Da spaccone.

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L’autore

Roberto Centazzo ha pubblicato (per le edizioni TEA) i romanzi della serie “Squadra speciale Minestrina in brodo”, ottenendo un successo crescente; sempre da TEA è apparso il “divertimento gattofilo” Il libretto rosso dei pensieri di Miao. Recentemente ha scritto i testi delle canzoni dell’album Mendicante di Enrico Santacatterina.

 

 

 

  • Tutti i giorni è così. Le Storie di Cala Marina
  • Roberto Centazzo
  • Editore: TRE60
  • Formato: EPUB con DRM
  • Testo in italiano
  • Cloud: Sì Scopri di più
  • Compatibilità: Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
  • Dimensioni: 827,01 KB
  • Pagine della versione a stampa: 216 p.
  • EAN: 9788867025701.  [btn btnlink=”https://www.ibs.it/tutti-giorni-cosi-storie-di-ebook-roberto-centazzo/e/9788867025701″ btnsize=”small” bgcolor=”#59d600″ txtcolor=”#000000″ btnnewt=”1″ nofollow=”1″]Acquista € 6,99[/btn]

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