Cosa saremmo disposti a fare per un amore? È una delle domande più ricorrenti come metro di giudizio per determinare la profondità di un sentimento

UN AMOREVOLE INGANNO

Racconto

di

Riccardo Alberto Quattrini

«Quando l’essere amato va troppo lontano nel tradimento di sé stesso e persevera nell’inganno di sé, l’amore non lo segue più̀.» JACQUES LACAN


Dall’ampia vetrata del suo ufficio Guido Boyles vedeva le guglie della Madonnina. Le dita intrecciate sotto il mento, lo sguardo che fissava senza realmente vedere i numerosi palazzi che popolavano quell’angolo di Milano. Era da tempo che pensava a quell’idea, ma l’aveva sempre rimandata. Gli sembrava un intento azzardato, che richiedeva troppa fantasia e tanto impegno. No, si disse, no, non ci riusciresti mai. E scosse la testa. Era tanto coinvolto in quei pensieri che, quando squillò il telefono, faticò a staccare le dita incrociate.

«Sì. Pronto», disse con un tono seccato. «Ah, sei tu Alessandro. No. Dimmi pure. Sì, la pratica l’ho esaminata, mi sembra vada tutto bene… I disegni e i calcoli li ho fatti io personalmente, per essere sicuro. Tutto secondo i nostri standard. Sì, ora ti faccio avere tutto l’incartamento.» E riagganciò. Quella telefonata lo aveva risvegliato dai suoi pensieri, al contempo gli aveva dato il vigore necessario per parlare di quella cosa che rimuginava da tempo.

Quando la signorina Prudenzi entrò dopo che l’ebbe chiamata, la invitò a sedersi. Vania era una di quelle donne che, se pur dall’aspetto piacevole, passava inosservata. C’era in lei un qualcosa che le mancava per essere ammirata. Era priva di femminilità̀, un po’ ingenua e asessuata, almeno così gli pareva, ma andava bene per il piano che aveva pensato.

«Siediti un momento, ti devo parlare», le disse indicandole la poltroncina davanti alla sua scrivania. Vania si accomodò con un viso preoccupato e tutte quelle lentiggini di cui era punteggiato il viso, sparirono perché era arrossita. Rossa, come rossi erano i suoi capelli tirati indietro in uno chignon fissato con una forcina d’argento. «Quello che devo chiederti non è pertinente con il nostro rapporto di lavoro. Si tratta di un favore che vorrei chiederti.» Il suo rossore persisteva. Si era seduta in punta della poltroncina, il suo corpo snello era rigido, in una posa contratta. Guido proseguì. «Ma non vorrei parlarne qui. Tu mi capisci…» Lei annuì appena. «Allora se sei d’accordo, quando finirai, ci vediamo in Galleria, al bar Zucca. Siamo d’accordo?» Lei non disse nulla, si limitò ad annuire con la testa. «Bene. Ora parliamo di lavoro.» E le consegnò la pratica.

Guido Boyles la cercò con lo sguardo mentre si faceva largo dentro il bar, che a quell’ora era assai pieno. Tutti intenti a sorseggiare aperitivi, gustare spuntini e conversare, chi appoggiato al lungo bancone, chi seduti ai tavolini. Vania sedeva a uno di questi, sullo sfondo del locale, quando Guido la scorse.

«Ah, eccoti», le disse. «Cosa prendi? È meglio vada io a ordinare altrimenti qui…»

«Un bitter»

«Un bitter», ripeté e si allontanò verso il banco. Tornò qualche minuto dopo seguito da un cameriere che teneva in una mano un vassoio. «Ecco, posa lì», disse. Il cameriere depose due bicchieri e un paio di piattini di stuzzichini. «Allora, salute», disse e le porse il bicchiere ghiacciato. Una volta fatto il brindisi di rito Guido si decise a metterla al corrente di quell’inusuale appuntamento.

«Allora Vania ora ti dirò del perché́ di questo incontro. Chissà cosa mai avrai pensato. Non è così?» chiese ironizzando lei scosse la testa in un sì indotto. «Stai tranquilla, vedrai che non è come potrebbe sembrare. A proposito perché Vania?» le chiese per rompere quel suo mutismo.

«Mia madre è serba è nata a Belgrado e ama molto gli scrittori russi: Čechov, Kolokolov, Tolstoj…»

«Va bene, va bene. Ho capito», disse e mise le mani avanti. Questa finisce che me li elenca tutti e mi recita pure i fratelli Karamazov. «Allora Vania devo dirti che ho pensato molto prima di decidermi a confidarti ciò che ti dirò…»

«Cominci dalla fine», disse candidamente mentre sorseggiava dal bicchiere e i cubetti di ghiaccio le sfioravano le labbra gelate.

«Come?» domandò stupito.

«Sì, salti tutti i preliminari e mi dica cosa vuole che faccia per lei.»

«Accidenti Vania… Hai ragione. Vado subito al sodo», disse avvicinandosi un poco a lei, poiché il chiasso nel locale si era fatto frastornante. «Ecco, tu dovresti recitare la parte dell’amante», disse e le guardò gli occhi verdi che le si erano spalancati.

«Amante? Amante di chi?»

«Mia. La mia amante. Oh, ma è solo una recita, mica davvero», volle rassicurarla toccandole appena una mano.

«Oh, questa è bella ingegnere», disse e bevve una lunga sorsata.

«Guido. Chiamami Guido. L’ingegnere lo lasciamo per quando siamo in ufficio. Vedi Vania, prima di spiegarti tutto, vorrei sapere se te la senti di recitare questa parte.»

«Ma ingegnere… Guido, come posso dirle se saprò recitare la parte dell’amante, mica è un regista che me lo chiede, ma il mio superiore. Pertanto, ne deduco, non si tratti di una finzione ma di una realtà. È così, vero?» La facevo più sprovveduta, pensò. «Se volesse una vera attrice, le potrei presentare una mia carissima amica. Lei sì, la saprebbe recitare la parte dell’amante.» Quell’affermazione risvegliò in Guido la speranza momentaneamente persa.

«E quando me la presenteresti?» le chiese con un entusiasmo bambinesco.

«Lei recita qua, al Piccolo Teatro Grassi.»

«Ah. E ci potremmo andare subito?» Vania guardò l’orologio.

«Veramente io dovrei andare a casa. Abito in periferia.»
«Oh, non c’è nessun problema. Poi ti metto su un taxi e te ne torni

tranquillamente a casa.» Vania sporse in fuori le labbra come se volesse riflettere.

«Va bene. Ora la chiamo. So che a quest’ora stanno ancora provando.»

«Che recita?»

«Non lo ricordo… Ah, Sogno di una notte…»

«Caspita Shakespeare», disse felice di essersi ricordato l’autore. «Allora andiamo?» disse già in piedi.

 

Si chiamava Alice Janet Pollock, era alta, magra, capelli lunghi e neri. Vania l’aveva presentato e le aveva accennato a grandi linee quello che voleva facesse per lui.

«Naturalmente la ricompenserò per il suo lavoro, se così posso chiamarlo» la rassicurò Guido.

«Perché, forse recitare non è un lavoro?» disse seria. Guido si sentì uno stupido in quel piccolo camerino. «Ora, però, devo prepararmi. Ci vediamo a fine spettacolo. Verso mezzanotte, se le va bene.»

«Così tardi. Non saprei cosa fare per tutto questo tempo.»

«Beh, mi venga a vedere a teatro. Così vedrà come lavoro», disse facendo il segno delle due parentesi nell’aria lanciandogli un sorriso. Alice Janet guardò la sua amica.

«Tu potresti fargli compagnia, no?» Vania scosse la testa.

«Non posso. E poi voi dovete parlare, io sarei solo d’intralcio.» Alice Janet alzò le spalle magre.

«Va bene, fate un po’ come volete, basta che mi lasciate preparare. Via, sciò», disse muovendo le braccia come se stesse allontanando delle galline.

Boyles accompagnò Vania a un parcheggio di taxi, e dopo averla fatta salire, allungò una buona mancia all’autista.

Telefonò a casa.

«Come, non vieni?» disse poco dopo Cecilia. «Lo sapevi che venivano a trovarci i Martino.» Guido imbastì lì per lì una scusa di lavoro improvviso.

«Eh, vuoi che non me ne sia ricordato. Ma che potevo dire ad Alessandro, che dopo cena venivano a trovarci i Martino…? Come, dove sono? In ufficio. Dove vuoi che sia Ora usciamo mangiamo un boccone e poi finiamo quella pratica ostica… Sì, vedrò di non fare tardi.» E chiuse la comunicazione.

***

Girovagò un poco per la Galleria. Guardò le vetrine dei negozi. Versace, Louis Vuitton, Prada. Guardò le borse e pensò a Cecilia. Forse un pensierino la farebbe rimanere più tranquilla. Spinse la porta.

Chiusa.

Guardò l’orologio. Un quarto alle otto. Scosse le spalle e si avviò al Savini. Un pensierino vorrebbe anche dire che ho qualcosa da farmi perdonare. Meglio di no. E poi che prezzi. Avrebbe mangiato qualcosa di leggero. Sapeva che gli attori prima della recita non mangiano nulla. Gli sarebbe toccato più tardi cenare con lei.

 

Il teatro quella sera non aveva fatto il pienone delle prime rappresentazioni. La commedia era in cartellone da più di un mese e quelle erano le ultime rappresentazioni. Il ruolo di Alice Janet Pollock era quello di una delle tante fate, che mentre gli uomini si rincorrono e si affannano per amarsi, in un folle girotondo, esse si burlano di loro per soddisfare i propri capricci.

«Sei stata brava», le disse una volta che furono fuori dal teatro. Erano passati al “tu” dopo che lui glielo aveva chiesto. «Dove andiamo?»

«Io devo ancora mangiare. E tu?»

«Una pizza può andare bene?»

La pizzeria, diversamente dal teatro, era piena.

«Allora Fabrizio ora possiamo parlare», disse sistemandosi il tovagliolo sulle ginocchia.

«Guido. Mi chiamo Guido.»

«Oh, scusami Guido.»

«Vania ti ha accennato qualcosa?»

«Beh, a dirti la verità, non ci ho capito molto. Di sicuro non vuoi mettere su una compagnia teatrale», disse ridendo.

«No. Ecco, la commedia di stasera cade, come si dice, a fagiolo. Parla

dell’amore tra gli uomini. Ecco, è per amore che ho bisogno di te.»
Il cameriere servì le pizze ordinate. Alice Janet si gettò su di essa con un appetito manifesto.

«Tu parla. Io ti ascolto», disse e si infilò in bocca un pezzo di pizza.

«La cosa dovrebbe essere semplice. Semplice, dico per un’attrice come te. Semplicemente dovresti interpretare la parte dell’amante.»

«Semplicemente», ribatté ironica. «La tua amante, dunque», disse con la bocca piena.

«Sì. È un po’ che ci penso a questa cosa, ora mi sono deciso, altrimenti mi sembra di impazzire», Alice Janet mosse la mano nell’aria perché proseguisse. «Sì», proseguì Guido che si era infilato un triangolo di pizza in bocca. «Ecco l’idea. Tu fingi di essere la mia amante. L’amante, come spesso accade, stanca di considerarsi di serie b chiede che lui faccia una scelta. Sai le solite cose che si leggono.»

«Sì sì», disse mentre sorseggiava una Coca Cola. Guido si chiese se l’ascoltava. Sembrava tanto presa a mangiarsi quella pizza da non essere in grado di sentire alcunché. Poi la osservò meglio. I cappelli sciolti sulle spalle. Senza trucco. Forse è troppo magra, pensò. Ma andrà bene per fare l’amante. Saprà farla ingelosire? Per un momento aveva pensato che non fosse la persona adatta. Invece lei gli fece quella domanda secca:

«Perché solo ora?»

«Come?» chiese Guido con un viso interrogativo.

«Sì, perché solo ora hai deciso di mettere in atto questa commedia? Perché è un po’ che ci pensi, non è così?»

«Sì, un po’», ascolta, invece. Pensò. «Sapessi quanto mi costa questo, non ne hai idea. Mi sembra di essere un ragazzino, non un adulto. Ma sento che se non lo faccio, finisce che vado fuori di testa. Anche oggi, mi ero scordato di una pratica importante da consegnare, figurati.»

«L’amore è una malattia connessa all’essenza stessa del genere umano, e nessuno, per quanti sforzi faccia, ne è immune», disse pulendosi la bocca con il tovagliolo. Sembrava che quella frase l’avesse estratta da un qualche monologo che lui non conosceva.

«Certo che alla tua età. Scusami se mi permetto…», era diretta, non soggetta a nessuna regola, sembrava sempre che stesse recitando una parte in commedia. «Non ti sei offeso, vero?»

«No. Figurati. So bene che è una cosa che si sarebbe dovuta fare da ragazzi e che ora, alla mia età. Oh, non che sia un vecchio. Ho solo quarantuno anni.»

«Oh, non ti devi preoccupare per questo. Ci sono migliaia di uomini che diventano genitori, di solito al secondo matrimonio. Scoprendo una paternità più appagante e completa di quando erano giovani. Ma non hai risposto alla mia domanda. Perché ora?» Dal fondo della sala salì una forte risata. Guido si girò a osservarli.

«Eh, quelli sono ancora tanto giovani, basta un niente per farli ridere», disse.

«Proseguiamo», fece Guido spostando un bicchiere. «Dicevo dell’amante di serie b alla quale prometti le solite cose: vedrò, forse, non è il momento giusto. Capisci…»

«Lasciare la moglie…», proseguì Alice Janet e fece roteare la forchetta. «Bla bla. Sì ho capito. Quindi voglio che tu mi presenti tua moglie. È così, vero?» Guido restò con la bocca spalancata tanto era rimasto stupito per quella intuizione tanto repentina.

«Perché ora, mi avevi chiesto. Complice è stata l’ultima gita che abbiamo fatto insieme. Gita. Non era proprio una gita. Siamo andati a vedere una mostra a Bergamo. Lui, il marito di Chiara…»

«Ecco», lo interruppe Alice Janet «cominciamo a fare le presentazioni. Questa Chiara chi è?»

«Giusto. Chiara… Chiara è la ragione per cui tu sei seduta di fronte a me. Il marito si chiama Carlo.»

«Tu sei sposato?»

«Sì. Mica avrai degli scrupoli?»

«Chi, io?» chiese puntandosi la forchetta sul petto. «No, figurati. Era

solo per avere chiara la situazione. Perché Chiara e Carlo sono tuoi amici, non è così?»

«Già. Vecchi amici. Chiara è pure amica di Cecilia, mia moglie.»
«Bene. E allora questa gita a Bergamo…»

«Carissima Pollock», disse all’improvviso un uomo con un viso affilato, due baffi arruffati che gli nascondevano completamente la bocca. Lo seguiva una donna con un’acconciatura seducente, un parka corto nero che lasciava vedere la gonna attillata, il collo semitrasparente della blusa, le labbra rosse.

«Oh, dottor Tozzi», disse Alice Janet quasi alzandosi, subito bloccata dalla sua mano che le si era posata su una spalla. Poi si era chinato e le aveva sussurrato: «Brava. Poi ne parliamo», e si era allontanato verso un tavolo seguito sempre dalla donna che l’aveva fulminata con un’occhiataccia.

«È Tozzi, un produttore. Insiste perché faccia del cinema. Ma io amo il teatro. L’odore polveroso del proscenio mi inebria come una droga. Ma torniamo a noi. Mi parlavi della gita a Bergamo.»

«Ecco. A Bergamo siamo andati con la macchina di Carlo, per vedere Bill Brandt che è il più illustre dei fotografi inglesi del Novecento, anche se è tedesco di nascita. Carlo è un fotografo amatoriale e gli piace vedere queste mostre. Al ritorno io ero seduto davanti, dietro c’era Chiara. Ad un certo momento ho messo un braccio dietro il sedile, così, per distendermi, e ho sentito le sue gambe. Così ho cominciato ad accarezzarle, dapprima come se si trattasse di un caso fortuito, poi ho notato che non le aveva spostate. Così ho continuato.»

«E tua moglie non ha visto niente?»

«Non poteva. Il braccio l’ho fatto passare dal basso del sedile, dalla parte destra.»

«Insomma, una contorsione da fachiro», disse e rise.

«Poi ho continuato e mi sono accorto che lei non cercava di ritirarle. Era come se le facesse piacere ricevere quelle carezze. Capisci?»

«Andavano bene?» chiese all’improvviso il cameriere. «Posso portarvi qualcos’altro? Un dolce?» Alice Janet ascoltò quanto le proponeva il cameriere e ordinò. «Per lei?» Guido non avrebbe voluto ordinare nient’altro, preso com’era dal racconto ma, pur di levarselo da torno, gli fece segno che andava bene anche per lui. «Ecco, da quel momento non sono più riuscito a smettere di pensare, che era venuto il momento di dirle tutta la verità»

«La verità che l’ami?» Guido fece sì con la testa e gettò un lungo sospiro. Si sentiva come svuotato. Quella era la prima volta che confessava a qualcuno quella verità che per lungo tempo aveva tenuta nascosta. «Da quanto tempo dura questo innamoramento?»

«Praticamente da quando ci siamo conosciuti. Da più di cinque anni.»

«Un’infatuazione. Davvero straordinario. E per quale motivo non le hai mai fatto capire nulla a questa Chiara?»

«Forse l’amicizia verso Carlo. Non so. Forse avevo paura che mi respingesse. Sentivo che se fosse accaduto, mi sarebbe crollato il mondo addosso. Non dicendole niente potevo comunque vederla, sperare che anche lei provasse qualcosa, magari nel tempo. Anche ora che ho deciso, sono in realtà terrorizzato.»

«Sicché questa donna, di cui sei perdutamente innamorato, non sa nulla della passione che nutri per lei», chiese depositando le posate nel piatto.

«Già. Capisco che ti sembrerà alquanto insolito come metodo per conquistare una donna e lo capisco.»

«Non così come immagini. Conosci la storia di Cyrano?»

«Non bene», disse.

«Cyrano è perdutamente innamorato di Rossana, un candido ed impossibile amore che è pure sua cugina. Quando, chiamato da lei, si reca trepidante al suo appuntamento, convinto che il suo sogno d’amore stia per realizzarsi. Ma alla vista di Rossana riesce a malapena a mantenere un contegno formale, pronto a liberare i propri sentimenti appena l’amata manifesterà i suoi. Però la sua adorata, ha ben altro in mente.

Si appella alla loro amicizia ed al loro affetto per confidargli il proprio amore per un altro uomo, si tratta di un giovane cadetto, tale Cristiano, bello, del quale si è innamorata a prima vista e che, sebbene non abbia mai scambiato una parola con lui, crede fermamente dotato di ogni altro talento. Cyrano addirittura deve prometterle solennemente di proteggere e guidare questo giovanotto, lui è un abile spadaccino, per non farle soffrire l’ansia di saperlo indifeso. Non trovi delle affinità al tuo proposito?» Guido alzò le spalle.

«L’essere perdutamente innamorato. Questo sì.»

«Lo vedi. Ma non è tutta lì la storia. Cyrano oltre ad essere un ottimo spadaccino è un poeta capace di scrivere dei versi splendidi. Versi che scriverà per Cristiano per conquistare meglio il cuore di Rossana. Ma poi che cos’è un bacio? Un giuramento fatto poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole “T’amo”; Un segreto detto sulla bocca, un istante d’infinito che ha il fruscio d’un’ape tra le piante, una comunione che ha gusto di fiore, un mezzo di potersi respirare un po’ il cuore e assaporarsi l’anima a fior di labbra.» Una coppia alle loro spalle batté con discrezione le mani. Guido Boyles era rimasto incantato da quelle parole.

«Brava», le disse applaudendo anch’egli discretamente.

«Ecco io sarò il tuo Cyrano al femminile che ti aiuterà a conquistare il cuore della tua amata», disse con un sorriso ammiccante per poi terminare la Coca Cola. «Ma tua moglie? Sì, tua moglie si è mai accorta che…» Guido scosse la testa.

«Mai. Anche perché mi sono sempre tenuto tutto dentro. Certo, quando ci vediamo, a casa nostra o da loro, i miei abbracci verso Chiara hanno una durata maggiore rispetto ai soliti convenevoli. È l’unico momento di cui posso approfittare per abbracciarla.»

«Davvero straordinario. Guardandoti, se non mi avessi confessato tutto questo, avrei pensato ad un manager con qualche amante sempre pronta ad aspettarlo.»

«Ma dai», disse Guido muovendo un braccio che mancò poco colpisse un bicchiere. Il cameriere giunse con due piattini nelle mani.

«Ecco i dolci», disse e li depose sul tavolo.

«Ma lei, non ti ha mai fatto capire nulla, a parte quelle carezze esplicite, non rifiutate», disse e si portò alla bocca un profiterole.

«No. Mai. Anche se a volte mi è parso da un suo sguardo, da un suo atteggiamento, ma ho sempre pensato che fosse solo frutto della mia fantasia, della mia passione.»

«Che fa questa Chiara.»

«È una concertista.»

«Accidenti una concertista. E dove suona?»

«Nell’orchestra sinfonica Giuseppe Verdi.»

«Allora la sede è il Teatro Dal Verme.»

«Esatto.»

«Che strumento?» chiese mentre si puliva la bocca con il tovagliolo.

«È primo violoncello.»

«E tua moglie?»

«Cecilia è un docente. Insegna letteratura inglese.»

«Tu però sei un manager», disse sorridendo puntandogli la forchetta sporca di cioccolata. Guido rise.

«È così importante che lo sia?»

«No. Ma sono curiosa di vedere se avrei indovinato.»

«Avresti indovinato. Meno per le amanti. Come vedi sono ancora al liceo. Sono un innamorato perso e discordato.» Entrambi risero.

«Allora sei d’accordo. Perché bisognerà organizzarci bene. Ti dovrò

mettere a conoscenza di alcune cose per poter interpretare la tua parte.» «Certamente. Ma come convincerai Chiara.»

«È questa la parte più difficile degli attori in commedia. Tu cosa mi

consiglieresti», disse mentre con una mano faceva segno al cameriere. «Prendi ancora qualcosa. Un caffè? Un liquorino?» Il cameriere si avvicinò. «Due caffè e il conto», disse.

«Non saprei cosa consigliarti. Non c’è commedia che ricordi che parli di questa situazione. Certo devi raccontarla bene. Sai cosa ti auguro, che lei capisca subito che glielo chiedi solo per ingelosirla e ti getti le braccia al collo», disse mentre si era alzata e infilata il cappottino nero.

«Allora siamo d’accordo. Ci vediamo lunedì. I teatri sono chiusi il lunedì, vero?»

«Sì. Potremmo vederci qui per l’aperitivo. Ti va?» disse e si tirò su il bavero che strinse contro la gola.

«Va bene. Così prepareremo la tua parte», disse Guido annodandosi la sciarpa attorno al collo. «Potrebbe nevicare stanotte», disse guardando il cielo di piombo una volta usciti dal locale.

***

Aveva trascorso la notte rigirandosi nel letto come un tarantolato. Quell’incontro gli aveva acceso nuovamente le speranze che potesse

portare a termine quello che si era prefissato da tempo. Anche se ora c’era la cosa più difficile da realizzare. Coinvolgere Chiara.

«Ti sei rigirato tutta la notte. E hai pure parlato», disse Cecilia di spalle mentre si versava il caffè.

«Parlato?» disse angosciato mentre si imburrava una fetta biscottata.

«Sì, cose senza senso», disse e gli si sedette accanto. Era vero, Guido aveva fatto degli strani sogni, irrazionali come lo sono sempre. Chiara era in una casa con le pareti di vetro, dove tutti, passando, potevano vederla. Era avvoltolata in una tenda verde, tra le gambe aveva un violoncello che emetteva una nota sola: un do di due ottave inferiori. Improvvisamente entrò un cameriere, indossava un tight e teneva in una mano un vassoio con sopra un archetto. Si avvicinò a Chiara, si chinò e glielo porse. Lei cominciò così a suonare. Fuori la gente che passava, indifferente fino a quel momento, nell’udire quelle note, si fermò e cominciò ad accalcarsi accanto alle grandi vetrate. Ascoltavano affascinati da quella musica. Improvvisamente entrò lui che le si avvicinò e le sussurrò ti amo. Ma lei continuava indifferente a suonare incurante di quell’espressione.

«Guido!» lo apostrofò Cecilia. Ti sei incantato?»

«Oh, scusami», disse e mise lo zucchero nel tè.

«Sei preoccupato per il lavoro. C’è qualcosa che vuoi dirmi?» Guido scosse la testa mentre intingeva la fetta imburrata.

«Che hanno detto i Martino ieri sera?»

«Che tu non c’eri? Niente. Siamo ancora al lei. Non si sono permessi di fare le solite battutine sul marito che non rincasa la sera. Però è una bella coppia. Saranno dei buoni vicini. Tu, invece, che hai fatto con il tuo socio Alessandro?»

«Non c’è bisogno che ironizzi. Dovevamo chiudere una pratica…»

«E l’avete chiusa? Va bene Guido. Ne abbiamo già discusso a sufficienza, non ti pare? C’eravamo dati, come si dice, un anno sabbatico, per riflettere sulla nostra unione. Veramente lo hai chiesto tu. E non ti nascondo che non ho ancora ben capito il perché.»

«Che l’abbia chiesto solo io, non mi sembra. Anche tu fosti di quell’idea. Che ci avrebbe fatto bene una tregua. È da un po’ che la nostra unione ha bisogno di un, come dire, tagliando.»

L’idea di ingelosire Chiara era sì ben radicata nella sua mente, ma non era stato quello il vero motivo. Anche se, aveva pensato, quel distacco gli avrebbe permesso di compiere con più determinazione quel passo.

«È per via che non abbiamo figli?» chiese mentre asciugava le tazze.

«Assolutamente no. Quel problema lo abbiamo discusso mille volte, figurati. Non è quello, anche se…»

«Anche se…?» sollecitò Cecilia. Quella tregua, Guido l’aveva decisa qualche mese addietro. Gli sarebbe servita per mettere bene a fuoco il discorso che avrebbe dovuto farle e che se lo era ripetuto centinaia di volte, ma non gli riusciva mai di portarlo alle labbra. Procrastinava sempre convincendosi che non era quello il momento. Così aveva finto che volesse prendersi una pausa riflessiva.

«No, niente», disse aprendo il frigo.

«Eh, lo so dove vuoi arrivare. Facciamo poco sesso. Vero? È questo che volevi dire?»

«Perché, non è così?»

«Senti Guido sono stufa che si parli solo di questo. Sembra sia l’unico problema», disse chiudendo con forza l’anta dello scolapiatti.

«Se dobbiamo elencare i problemi, ti do ragione che non è l’unico. C’è stato quello del lavoro. Ero sempre in giro per il mondo. Come ci fossi andato per divertirmi. Poi ho cambiato e allora non rincasavo mai in orario. Certo, se avessi fatto anch’io l’insegnante, sarei rincasato presto. Invece faccio l’ingegnere e non ho i tuoi stessi orari», disse e bevve un succo da una bottiglietta.

«Sì, ma è un discorso che oramai ci trasciniamo da tempo.» «Di che parli ora?»
«Delle tue lamentele.»

«In fatto di sesso? Di queste parli?»

«Già. Ogni tanto, come le malattie esantematiche, arrivano», disse e si appoggiò all’acquaio. Guido rise di gusto.

«Sì, ma quelle a differenza delle lagnanze, non portano infezioni.»

«Oh, le portano, eccome se le portano.»

«Le lagnanze?»

«No il sesso.»

«Ma che fai ora? mi vuoi far credere che hai paura delle malattie sessuali ed è per questo che…»

«Ma no. Che dici. Anche se…»

«Anche se?»

«Anche se io non so quello che fai quando esci di casa»

«Vado in ufficio. Dove credi vada»

«Sai, ti lamenti sempre che ne facciamo poco e allora…». Guido rise. «Non potrebbe essere?»

«Veramente è da un po’ di tempo che non piagnucolo per farlo.»

«Ecco, lo vedi?»

«Ma vedi cosa?»

«Che non ti interessa che lo si faccia. E quindi…» Guido sbuffò.

«E sì. Ho l’ufficio pieno di donne che non vedono l’ora di farsi… Ma andiamo Cecilia la tua gelosia è fuori contesto.»

«Non è solo la gelosia che mi prende, lo sai benissimo, è il nostro rapporto in generale che non funziona più come prima.»

«Cecilia, ascolta: amore e sesso sono queste le basi per costruire un buon matrimonio.» E rimase con le due dita davanti al viso di Cecilia.

«Davvero una bella analisi matrimoniale. Sesso e amore punto. E la comunicazione, il parlare, il conversare, lo scambiarsi le idee, i giudizi. Niente.»

«Ma sì Cecilia. Certo che è importante. Forse noi non ci parliamo? Forse non abbiamo argomentazioni? Ma la base, ciò che lega l’unione come un collante è il sesso. Senza di esso la coppia via via perde quella complicità, quell’intimità quella trasgressione che non la si ritrova più. Si finisce con l’essere come fratello e sorella.»

«Ma dai. Finiscila.» Disse appendendo lo strofinaccio che teneva nelle mani.

«Ora, scusami Cecilia se te lo dico, ma mi ci hai tirato per i capelli. Ti voglio ricordare che ti sei sposata con il mestruo. Te lo ricordi, vero?»

«Ah! Ancora con questa storia», disse spostando con rabbia una sedia.

«Storia? Tu la chiami la solita storia?» ribatté alzando la voce. «Ora fammi un esempio di una tua amica, di un personaggio di un libro o di un film che la protagonista si sia sposata con le sue cose. Fammelo, ti prego.» Per qualche attimo nella stanza calò un silenzio dove si udiva solamente il compressore del frigo in funzione. «Lo vedi? Non ce l’hai. Non ce l’hai perché in tutta la storia della letteratura non è mai stato scritto. Perché non si è mai visto che una donna si sposi con le sue cose. Perdio!» disse e batté una manata sul tavolo. Cecilia sbiancò.

«Ecco, come al solito non si può parlare che subito…»

«Va bene, va bene», disse e alzò le braccia «spiegami ancora una volta perché decidesti così», disse e, girata una sedia, ci si sedette cavalcandola.

«Te lo dissi», ribatté cantilenando «perché era stato tutto predisposto e non si poteva rimandare.»

«Perché, allora, le tue cose ti arrivavano così improvvisamente», e schioccò le dita, «tanto da non permetterti di poterle prevedere con un giusto anticipo. È così? È così che vuoi dire. Dimmi», disse con un tono spazientito.

«Se stai calmo te lo spiego ancora una volta. Sei calmo?»

«Sono calmo», disse e le fece un gesto perché proseguisse.

«Non potevo…»

«Ho capito», disse fermandola a mezzo della frase. «Non potevi perché era già stato tutto programmato. Ma prima. Prima lo dovevi immaginare che quel giorno le avresti avute», sentenziò e fece roteare il braccio.

«Ah! Lascia stare», e si alzò di scatto facendo cadere la sedia. «Sai invece quale è la verità?» disse e la raccolse e la sistemò sotto il tavolo. «La verità è che quando te lo feci notare tu mi dicesti: abbiamo tanto tempo. Capito? Tanto tempo. Dunque, che vuoi che sia se, oggi che ci siamo sposati, non lo facciamo come capita a milioni di persone. Così dicesti.»

«Caspita che memoria. Sei comunque rimasto il solito conformista», disse Cecilia mettendo le tazze sullo scolapiatti dell’acquaio.

«Conformista? Sì! Sono un conformista. Mi sposo e voglio consumare la prima notte di matrimonio. Questo è conformismo? Allora sono conformista come milioni di persone. Bada bene: ho detto persone, perché annovero in questo sterminato numero di conformisti, anche le donne. Sì, anche loro amano, come si dice banalmente, consumare il loro matrimonio.» Aprì il frigo e bevve un paio di sorsate d’acqua a canna, scatenando una reazione violenta da parte di Cecilia che dovette trattenere.

«Vedi Cecilia», disse con tono calmo «la storia delle malattie veneree, te la sei inventata di sana pianta. Non posso e non voglio credere che tu lo pensi davvero. Ne andrebbe della stima che ho nei tuoi confronti. Nemmeno voglio pensare che, anche se la morale ha picchiato duro sul desiderio sessuale, che è solo uno dei desideri che l’uomo inconsciamente non distingue, ma che sono alla base di ogni azione umana, dove senza desideri non c’è azione.»

«Ah!» gridò battendosi una mano su una coscia. «Ora mi diventa pure psicologo. Ma smettila Guido, sei ridicolo.»

«Sai cosa penso? Che tu abbia paura. Sì, paura, ma non di quella stronzata delle malattie che tuo marito potrebbe trasmetterti. Ma paura del sesso. Sei repressa. Ma non solo nei confronti del sesso, in tutto ciò che fai. Devi avere tutto sotto controllo. Non ti lasci mai andare.»

«Ma finiscila», disse e si sistemò un ciuffo che le era disceso sulla fronte.

«Eh, sì. Non ti lasci andare. Sei sempre così controllata. Anche nell’intimità. Non parliamo poi di quando siamo in presenza di altre persone. Non ti piace ricevere tenerezze.»

«E solo ora te ne sei accorto? Ma lo sai che sei davvero strano. È proprio vero che non ci si conosce mai a fondo, anche quando si è vicini a quella persona da anni, c’è sempre un risvolto, una piega, un qualcosa che non conosci.»

«È l’individualità delle persone. Ogni essere ha per natura i suoi segreti. Se vogliamo chiamarli così.»

«Va bene Guido. Chiudiamola qui. Ho tante cose da fare.»

«Già. Tante cose molto più importanti. Non è così?»

«Ancora. Vuoi ricominciare?»

«Eh, è da troppo tempo che volevo argomentare questo problema. Ora

che l’abbiamo iniziato, che l’ho iniziato, voglio dirti tutto ciò che ho sempre considerato.»

«E allora sentiamo», disse e posò le mani sulla spalliera di una sedia, «quante volte alla settimana, per un riccio come te, sarebbe cosa normale avere un rapporto sessuale. Perché è di questo che vuoi argomentare, vero?»

«Sempre ironica. E allora dimmi, in una coppia, la cosa più importante che serve per una perfetta unione quale è?» chiese e riprese a cavalcare la sedia.

«La fiducia. La sincerità. Il rispetto reciproco.»

«Balle. Il cemento è il sesso. Perché unisce due corpi e ne solidifica l’unione.»

«Allora anche se vai con una puttana solidifichi l’unione. Ma dai Guido.»

«Ma che c’entra. Parlo di unioni. Matrimoni o convivenze. Chiamale come vuoi.»

«Come siamo giunti a questo, Guido», disse e si asciugò con uno strofinaccio le mani che sentì sudate.

«Intendi dire che non c’è più l’amore di una volta?»

«Non dico quello. Tu hai parlato di segreti. Che ogni coppia ha i suoi e non li confessa all’altro. Io credo che…»

«Credi che…?» la sollecitò Guido. Cecilia chiuse l’anta e schiaffeggiò l’aria con un braccio.

«No, nulla, seguivo solo il tuo discorso.»

«Hai qualcosa di importante che mi vuoi dire?» la sollecitò per vedere se avesse capito qualcosa.

Cecilia scosse la testa.

 

Quel lunedì mattina, Vania Prudenzi era nell’ufficio dell’ingegner

Boyles e teneva in una mano il registro delle firme. La sua curiosità era alle stelle. Avrebbe voluto sapere come era andata con la sua amica Alice Janet, ma se ne guardava bene dal chiederlo.

«Ecco ingegnere i contratti che voleva rivedere. Tutti e due sono stati già visti dal dottor Colamedici. Ha detto che vanno bene.»

«Già, ci mancava pure dicesse qualcosa», pensò.

Guido e Alessandro si erano conosciuti al Politecnico di Milano. Guido era al quarto anno d’ingegneria, Alessandro si stava laureando in architettura con tre anni di ritardo. Soleva dire che si era perso un poco nei meandri di un labirinto per ammirarne la costruzione. Il padre di Alessandro aveva una grossa impresa di costruzioni, la Colamedici & Figli, specializzata nella realizzazione di ponti e viadotti, con cantieri aperti in tutto il mondo. Veramente di figli nell’impresa era rimasto solo Alessandro. Roberto era ben presto uscito, non trovando un ruolo adatto in considerazione dei suoi studi e delle sue idee strettamente marxiane e utopistiche volte alla difesa di tutti coloro che riteneva sfruttati oltre il dovuto. Dopo essere diventati amici, una volta che Guido si laureò, gli propose di lavorare per l’impresa di suo padre.

Quando il padre morì, Alessandro gli offrì di diventare socio minoritario con un piccolo capitale. Guido sapeva bene del perché gli fece quella proposta. Alessandro aveva bisogno di una persona di cui potersi fidare inoltre come architetto valeva poco, mentre era tagliato per fare l’amministratore, e per trovare nuove commesse.

No, Vania non era stata capace di chiedergli come era andata e lui non l’aveva messa a parte di nulla.

Una volta terminati alcuni impegni urgenti, si era subito preparato a quell’incontro tanto meditato.

Il bar dove si erano dati appuntamento era vicino al Teatro alla Scala dove Chiara stava facendo delle prove per l’imminenza della rappresentazione del Don Giovanni. Guido percorrendo la strada da via Brera che portava a piazza della Scala, si impose di non pensare alle meravigliose pasticcerie che avrebbe incontrato nel tragitto. Si sforzò di non lasciarsi trascinare dai profumi tentatori che provenivano dalle porte che si aprivano e chiudevano dei bar, in quella mattinata ancora luminosa e fredda di novembre. La facciata del teatro, i binari del tram, il parcheggio dei taxi davanti a lui. Dietro di lui, il monumento a Leonardo, Palazzo Marino, il traffico, i passi, i giubbotti e cappotti colorati che sciamavano dalla galleria Vittorio Emanuele e piazza San Fedele.

Era entrato aveva detto al cameriere che aspettava una signora e gliela aveva descritta. Poi si era portato sul fondo del locale, in una zona tranquilla e discreta. Gli aveva detto di portargli una vodka martini. Si sentiva agitato come poco prima di un esame. Era da tutto il fine settimana che aveva pensato e ripensato a ciò che le avrebbe detto. La forma. Il tono della voce doveva essere supplichevole o deciso? Lo scopo era quello di suscitare in lei una qualche gelosia. Ma era sicuro che quello stratagemma avrebbe ottenuto lo scopo? Si era ripassato un infinità di volte quel discorso che a grandi linee si era scritto. La prima coppa la trangugiò in poche sorsate. Alzò un braccio e gli fece segno che gliene portasse un altro. Quando anche la seconda coppa si stava esaurendo, dal fondo del locale la vide giungere. La sua camminata altera era inconfondibile. Indossava un tailleur grigio e una ampia mantella di lana che le fasciava il corpo.

«Ciao Guido», gli disse sfilandosela e gettandola su una sedia. Guido le strinse la mano ed evitò di baciarla come faceva di solito quando si incontravano accoppiati. «Lo sai che la tua telefonata mi ha incuriosito moltissimo», disse e si sedette ordinando qualcosa da bere. Pose le mani congiunte sotto il mento, esternò il suo meraviglioso sorriso e attese di essere messa al corrente di quell’appuntamento. La vodka aveva svolto il suo compito. Il discorso che si era preparato l’aveva perfettamente chiaro nella testa ma gli venne di condensarlo peggio di quelli del Reader’s Digest.

«Come sta andando il concerto?»

«E dai, Guido, non temporeggiare, ti prego», disse e fece un gesto al cameriere.

«Tu sei molto amica di Cecilia. Ancor prima che la conoscessi io, non è così?» Chiara annuì. «Ecco… quello per cui ti ho voluta incontrare, riguarda lei.»

«Cecilia!» disse e il suo volto si fece serio. «Non sta bene?» domandò allarmata.

«No no», disse Guido «sta benissimo. Non ti allarmare», disse mentre lei fece seguire un lungo sospiro. «Ecco, volevo dire che, come amica tu sai molte cose di lei e di noi. Non è così?» Il cameriere si avvicinò con molta discrezione.

«Un Cartizze freddo», disse Chiara al cameriere. «Allora che mi devi dire di così urgente», chiese e accavallò le gambe con un fruscio di nylon e buttò i capelli dietro le spalle, poi sospirò profondamente. «Dunque?»

«Ho un amante», disse tutto d’un fiato. Quella frase esplose nel locale come un petardo.

«Come?» ribatté Chiara, sporgendosi e sgranando gli occhi verdi dallo stupore, e le spalle sussultarono in un riso che era in parte stupore e in parte nervosismo per l’equivoco che pensava d’essere incappata.

«Sì, un amante», confermò.

«Sì, ma io che c’entro?» chiese. Guido le fece segno di avere un attimo di pazienza. Il cameriere, nel frattempo, aveva servito il flûte di Franciacorta, un’altra vodka martini, e dei salatini dentro una coppetta di vetro.

«Ecco Chiara», riprese «so che tu sei tanto amica di Cecilia, che vi conoscete…»

«Questo lo hai già detto», disse Chiara e lo sollecitò a continuare.

«Non mi interrompere, ti prego. Già è così difficile. Dunque, dicevo della vostra amicizia. Ecco, è contando proprio su questa che, mi auguro, quello che ti ho confessato e ti chiederò tra poco, resti confinato in questo bar. Pensi di riuscirci?» le chiese posandole la mano sulla sua. Chiara annuì appena. «So che venir meno a un giura…» Chiara fece scivolare la mano da sotto la sua e gliela pose al di sopra.

«Non le dirò nulla, non voglio che ne soffra. Come non voglio sapere del perché tu ti sia fatto un amante.»

«Eh, no. Questo ci tengo a spiegartelo. Non voglio tu pensassi che me la sia proprio cercata.»

«Ah, no?» domandò curiosa.

«No. Ora ti spiego come è successo. Ci siamo conosciuti in un cantiere.»

«Gliene porto un altro?» chiese lusinghiero il cameriere, mentre portava via i due bicchieri.

«Come?» chiese Guido che cominciava a sentire i postumi dell’alcol.

No, fece con la testa. «Ti dicevo», riprese quando il cameriere se ne fu andato «tutto è successo così in fretta che ancora oggi mi domando come sia potuto accadere. L’ho conosciuta in un cantiere. Lei è geometra e stava eseguendo dei controlli.»

«Geometra. Ma dai! Tu ingegnere e lei geometra, una bella coincidenza, no?»

«Chiara, ti prego», fece congiungendo le mani.

«E da quanto tempo tu e… a proposito, puoi dirmi come si chiama?»

«Alice. Alice Janet.»

«Che bel nome. E da quanto…», e unì i due indici.

«Aspetta. Ti prego. Devo dirti le cose come sono successe. Solo così comprenderai del perché ti ho cercata.» Chiara annuì e gli fece segno che proseguisse. «Così, complice un caffè e poi un pranzo di lavoro, abbiamo cominciato a conoscerci. Poi c’è stata la prima cena e così via, la storia ha preso la sua svolta. Sai come capita in questi casi. Oh, scusa», si corresse capendo di aver fatto una gaffe.

«Lascia stare Guido, ho capito benissimo. E poi non è certo necessario che anch’io abbia avuto una relazione per capire come vanno certe cose. C’è tanta letteratura in giro. Tranquillo.» Guido continuò.

«Ma poi a un certo punto io volevo troncare. Non mi trovavo sempre a mio agio con lei.»

«Ah no?» Non poteva certo esagerare. Va bene voler cercare di ingelosirla. Ma non era certo il caso di ingigantire quel rapporto.

«Così quando le disse che era finita, lei si mise a piangere. Mi disse che per lei quella relazione era una cosa seria. Che… che mi amava insomma. Che aveva visto in me un uomo…»

«Un uomo…?» lo sollecitò Chiara.

«Un uomo straordinario», disse quell’aggettivo e arrossì come un ragazzino. Lei sorrise con quel sorriso incantevole che lui ben conosceva.

Quante e quante volte l’aveva guardata, quando si vedevano nei fine settimana. Sempre elegante e raffinata nel portamento. Mai un capello fuori posto, o il rossetto sbavato che imbrattava i denti bianchissimi. Mai. Il tono della voce, poi, sempre così soave tale da poter, senza alcuna smentita, ambire a fare la doppiatrice.

«E dunque, dopo che ti elencò tutti questi pregi, che successe.»

«Beh, non ti nascondo che l’imbarazzo fu davvero forte. Ma poi lei insisteva perché la nostra relazione continuasse. Fino al giorno in cui mi disse che avrebbe detto tutto a Cecilia. A mia moglie insomma. Lei non sapeva come si chiamava. Così mi sfuggì quella frase infausta», disse e sentì la bocca arsa. Alzò un braccio e richiamò l’attenzione del cameriere.

«Dell’acqua», gli disse quando si era avvicinato a loro. «Tu vuoi qualcosa?» Lei scosse la testa.

«Gasata o liscia?»

«Fresca. Solo fresca.»

«Quale era la frase infausta che le dicesti», domandò curiosa Chiara.

«Che Cecilia, mia moglie, sapeva tutto. Che tra noi non ci sono segreti. Volevo farle capire che era inutile mi minacciasse.»

«E lei che ti ha risposto?» chiese mentre il cameriere deponeva sul tavolo un bicchiere d’acqua. Guido lo bevve tutto d’un fiato per poi riprendere il discorso.

«Che non ci credeva, che voleva vedere se era vero. E poi non era convinta che anch’io non l’amassi. Che non mi fossi invaghito di lei.»

«E quindi lei si vuole accertare se le hai detto la verità», disse mettendosi in bocca un paio di noccioline.

«Già. Proprio così. Ed ecco che ho pensato a te.»

«Ora ho capito. Io dovrei interpretare la parte di Cecilia, confermare che so tutto della vostra relazione in questo modo non avrebbe di che ricattarti. Dico bene?»

«Sì. È così», disse Guido sorridendo tirando un lungo sospiro. La cosa più imbarazzante l’aveva detta ora era tutto più facile pensò. «Tu conosci molto bene Cecilia. Sai tante cose di lei, magari che nemmeno io so», disse e sorrise. «So che ti sembrerà una cosa ingiusta, ma è capitato, anche perché tra noi è un momento…»

«Ti prego Guido», disse e gli fece segno con la mano «non voglio sapere nulla della vostra vita privata anche se non ti nascondo sono un po’ stupita. Non che ci avessi mai pensato, ma ora che lo hai confessato… sì mi dispiace per Cecilia.»

Per un attimo calò tra di loro un silenzio dove si udì solo il brusio degli avventori. Guido fissava un punto nel vuoto. Fu chiara che riprese la conversazione risvegliandolo da quella abulia.

«E quando dovrei incontrare questa Alice Janet?» Guido scosse la testa e spalancò un paio di volte gli occhi.

«Beh, la sentirò e mi dirà lei quando. Poi te lo farò sapere.»

«Va bene», disse «Ora devo proprio scappare. Il maestro Baremboim che ci ha regalato una rilettura strepitosa di Carmen mi aspetta alle due.»

«Oh, certamente», disse Guido e si alzò avvertendo una leggera vertigine. «Posso accompagnarti?»

«Se ti fa piacere.»

Uscirono. Il vento freddo gli snebbiò i fumi dell’alcol. Camminarono accanto fino al teatro senza dirsi una parola. «Eccoci», disse Chiara quando furono davanti «io sono arrivata.» Guido guardò la locandina alle sue spalle. «L’hai mai vista?» gli chiese guardando anch’essa il cartellone. Scosse la testa.

«No. Chi fa Carmen?» chiese così per pura curiosità.

«Anita Rachvelishvili», disse e sorrise sapendo bene che quel nome non gli avrebbe detto nulla. «È una bellissima opera semiseria.»

«Sarà, ma secondo me uno la deve amare da giovane la lirica per saperla apprezzare in pieno. Ci deve essere una cultura di base, come in tutte le cose. Non credi?»

«Credo che si possa amare il melodramma sempre. Sono essenziali secondo il mio parere alcune condizioni: valutazione dell’opera nel suo complesso quindi la storia, il libretto, la musica, se si contestualizza il momento storico nel quale l’opera è stata prodotta. Capisci?» disse in un fumetto. Guido si era già perso in quelle labbra e in quegli occhi verdi che si erano come illuminati tanto li aveva accesi il fervore di quelle parole. «Verdi, ad esempio, è stato il più grande pubblicitario del Risorgimento. Pensa ancora oggi la valenza del Va pensiero dal Nabucco e quale entusiasmo ha suscitato per la speranza che aveva creato della liberazione dal dominio straniero in Italia. L’opera da speranza a chi l’ascolta, è esattamente come vorrebbero fosse il mondo: ricco di forti sentimenti, ideali, passioni travolgenti, il tutto regolato dalla pura armonia…»

Sì, una passione, una passione che ti travolge, di cui non riesci a fermare la sua forza. È così che la ricordò per sempre, da quando la conobbe per la prima volta. Ne fu come folgorato. Non avrebbe mai pensato di innamorarsi così a prima vista, come si vede al cinema. Eppure, gli era successo. Era stata sua moglie a volere che l’accompagnasse al concerto che si teneva presso una chiesa sconsacrata nei pressi di Boffalora.

«Eccola», gli disse Cecilia quando lei entrò insieme agli altri orchestrali. Ci fu un lungo applauso. Gli orchestrali fecero un rapido inchino prima di prendere posto. Le luci vennero spente, lei fece alcuni passi sul proscenio e si sedette sulla poltroncina fu allora che il palco venne illuminato dai riflettori le sue gambe risaltarono nel cono di luce. Prese il violoncello e ne fissò il puntale in una sede in gomma posta sul pavimento. Montagnana, così si chiamava il Violoncello che seppe più tardi, imponente ma lei se lo adattò con facilità. Osservò le sue gambe che si divaricavano per accoglierlo e stringerlo tra le ginocchia. Tenne il manico nel palmo della mano e con l’altra pizzicò lievemente le corde della tastiera. Regolò la posizione della mano, del polso, delle dita. Pose l’archetto nella mano destra, lo portò appena sopra il ponticello dello strumento, sollevò il gomito e abbassò la spalla. Provò qualche nota, lasciando il polso flessibile. Le scarpe décolleté rosse, con un fine laccetto sopra le caviglie, batterono gli alti tacchi a terra producendo un rumore secco, un clangore che squarciò quel silenzio e quella crescente attesa culminata nelle prime note del preludio della Prima suite in Sol maggiore per violoncello di Bach. Le note più basse e le vibrazioni gli si trasmisero su per le gambe, nei fianchi fino alla spina dorsale. Meravigliosa! Pensò Guido. Da quel momento la sua vita fu stravolta.

«Ma mi ascolti?», chiese Guido annuì. «Dicevo che è l’unico posto dove le persone combattono ancora e muoiono per la propria Patria, dove i sentimenti portano tutti lettere maiuscole: Amore, Affetto, Rabbia, Vendetta», quelle ultime parole che aveva pronunciato con un passionalità, lo avevano infiammato, avrebbe voluto baciarla, coprire le sue labbra con le sue, all’inferno tutta questa messinscena: io ti amo, avrebbe voluto dirle. Chiara continuò: «Poi c’è l’aspetto meramente musicale: l’emozione che ti da una sinfonia o una romanza, anche ascoltati al di fuori del contesto complessivo della storia. Per amare la musica lirica, è necessario amare il bello, ma soprattutto pensare ed elaborare quello che si ascolta ed i sentimenti che questa musica suscita. Beh, ora devo proprio andare», disse posandogli le labbra su una guancia gelata. Si girò e scomparve dentro l’andito del teatro. Guido restò come impietrito sia per quel racconto che per quel bacio lieve che ora realizzava passandovi sopra la mano.

***

L’aveva aspetta fuori dal teatro con una agitazione da liceale.

«Ciao Alice», l’aveva salutata tirandosi su il colletto del cappotto.

«Fa un freddo cane», disse lei in un fumetto. «Andiamo da qualche parte a mangiarci un boccone e a riscaldarci un poco.» Guido la seguì senza

aggiungere una parola. Osservava la sua figura magra mentre camminava avvolta in quel lungo cappotto rosso. Non è piacevole essere seguiti. Si cammina al fianco di qualcuno, non alle spalle. Gli asini e le pecore vivono seguendo gli altri. Ma lui era stato costretto tanto Alice Janet si era incamminata in tutta fretta.

«Ecco, siamo arrivati», disse fermandosi davanti a una pizzeria. Una volta che si furono seduti Alice Janet gli disse che non vedeva l’ora di sapere come era andata. Guido stirò le labbra in un sorriso soddisfatto e Janet pensò che era andata come lui desiderava.

«Sembra incredibile, ma ha accettato.»

«Dunque, interpreterà la parte di tua moglie? E come è successo. Dimmi», chiese curiosa sgranocchiando un grissino.

«Ora ti spiego», disse mentre il cameriere porgeva i menù. «Due margherite ben cotte e una bottiglia di prosecco freddo, mi raccomando», disse deciso, ridandogli i menù.

«Allora si festeggia», disse sfiorandogli la mano distesa sulla tovaglia colorata.

«Mentre le parlavo mi era sembrata assente, come se pensasse ad altro. Poi, improvvisamente, dimostrò d’aver capito tutto. Non volle nemmeno sapere del perché mi ero fatto un amante.»

«Beh, questo ti dovrebbe aver fatto piacere. Anche se non mi par vero che, tanto amica di tua moglie, non abbia detto niente e abbia accettato ciò che le chiedevi con tanta disponibilità.»

Guido fece un viso incerto.

«Che vuoi dire. Che sarebbe stato meglio non avesse accettato così prontamente?» chiese inquieto.

«No. Non dico questo. Io mi sarei comportata diversamente. Ecco perché ti dissi che quella era la parte più difficile. Quella, appunto, di convincerla. Invece…», disse e alzò le spalle.

«L’importante, comunque, è che abbia accettato», disse mentre il cameriere gli mostrava l’etichetta di un Valdobbiadene del 2015. Guido gli fece un semplice gesto con la mano. Il cameriere lo stappò, ne annusò il tappo per poi versarne un assaggio nel calice.

«Guarda che lo devi degustare», gli disse Alice Janet vedendo che era rimasto a guardare il bicchiere. Quando la pantomima terminò, Guido alzò il bicchiere e fecero un brindisi.

«Che il tuo piano abbia successo», disse lei.

«Anche tu ne sarai complice», disse e bevve una lunga sorsata.

«Ecco le pizze», fece il cameriere depositando i due piatti. «Buon appetito.» Janet si gettò sulla pizza con impeto, ne tagliò alcuni spicchi che gustò con estremo piacere.

«Allora. Quando conoscerò tua moglie», disse beffarda. Guido gustò un paio di bocconi prima di parlare.

«Questo me lo devi dire tu. Secondo la tua disponibilità.»

«Per me non ci sono molti problemi. Piuttosto dobbiamo studiare un poco la nostra relazione», disse non trattenendo un riso ironico, scusandosi quando notò il viso serio di Guido. «Scusami, ma questa cosa mi diverte. Lo sai che ne potrebbe venir fuori una commedia brillante. Scritta magari da Neil Simon.»

«Sarà morto», disse Guido e bevve un altro bicchiere di bianco.

«No no, è ancora vivo. Avrà una novantina d’anni. Ho recitato qualche anno fa una sua commedia: Appartamento al Plaza. Io recitavo la parte di Muriel, una ex compagna di un famoso e ricco produttore cinematografico sceso al Plaza dove tratta i suoi affari. Ha del tempo da spendere in attesa di un importante appuntamento e pensa di impiegarlo alla ricerca di un passatempo femminile. Così scopre nella sua agenda il nome di una sua ex allieva, lui prima di fare il produttore insegnava recitazione. Muriel, dunque, viene invitata ma il Jesse, Jesse è il nome del produttore, ha una brutta sorpresa quando scopre che Muriel è ingrassata di una ventina di chili, si è sposata e ha un paio di figli.»

«Allora tu…», dice Guido puntandole il dito.

«Già, quella volta lì ero grassa e un poco invecchiata. Praticamente non mi avresti riconosciuta. Una bellissima commedia che ebbe un buon successo. Bene, ma non divaghiamo. Allora se vuoi raccontarmi», così dicendo Alice Janet prese dalla borsa un’agenda e una penna. «Ecco, io sono pronta», disse e picchiettò la biro sul taccuino. Guido si mise in bocca l’ultima fetta di pizza poi iniziò a parlare.

***

Guido quella sera, rientrando a casa, si sentì esausto. Andò in cucina, aprì svogliatamente il frigo e, presa una bottiglia d’acqua, si mise a berla a canna. Pensava a quella serata. A quello che aveva detto a Janet. Quasi una confessione. Non restava che dare l’avvio alla parte. Una recita a soggetto, l’aveva chiamata Janet.

«Non vieni a letto?» disse alle sue spalle facendolo trasalire. Guido sputò nell’acquaio un sorso che rischiava di andargli di traverso.

«Mi hai spaventato, Cecilia!» disse tenendo la bottiglia di acqua minerale in una mano.

«Non esistono più i bicchieri?» domandò lei. «Dio, che faccia! Ti faccio una camomilla?» chiese.

«No», le fece muovendo nell’aria la bottiglia per poi rimetterla nel frigorifero. «Tu vai pure, io resto un poco qui.»

«C’è qualche problema?» Guido stirò le labbra, era troppo stanco per affrontare l’ennesima discussione. Qualche problema? Disse tra sé, ma perché non lo vuole capire, che tra noi ci sono dei “grossi” problemi.

«Come?» fece lei, come se avesse compreso il suo pensiero. «Poco fa mi ha telefonato Chiara», disse. Guido si alzò di scatto dalla sedia.

«Come? Ti ha telefonato Chiara. E cosa ti ha detto?»

«Accidenti Guido, mi sembri un matto. Io e Chiara, ogni tanto ci sentiamo, non è un mistero.»

«E che ti ha detto?» chiese con una voce in falsetto.

«Ci siamo detti tante cose. Ma stai tranquillo, di te non abbiamo parlato.» Guido soffio fuori un respiro di sollievo.

«Che strano, dopo la nostra discussione, neanche una parola alla tua migliore amica?»

«Quella è la nostra intimità, non mi piace certo metterla in piazza, anche con l’amica migliore.»

«Hai ragione. Vedo, come al solito, che dopo quello che ci siamo detti, tu hai già dimenticato tutto», disse e si versò da bere dal rubinetto dell’acquario.

«Se stiamo passando un momento difficile non è un buon motivo per farlo sapere agli altri. Non credi?» disse Cecilia raccogliendo un ciuffo dalla fronte.

«Sembra tu non ti renda conto della gravità di questo momento che cerchi di sminuire.»

«Non sminuisco nulla, io. È che ancora non ho ben capito quale è il vero problema che sollevi.» Già, pensò, quale è il vero problema se non quello di provocarlo. Guido si accorse che era così. I contrasti, le beghe, le liti; erano solo dei pretesti per mantenere le distanze, per sentire meno i sensi di colpa. «Dimmi quale coppia non ha mai litigato. O non si sia trovata a discutere, magari per cose futili, stupide, sempre per quel desiderio di primeggiare sull’altro. Ne conosci una alla quale non le sia mai capitato tutto questo?» Guido tacque. «Lo vedi. Non c’è una coppia. E poi mi sembra che la nostra discussione vertesse sul solito logoro problema: il sesso.»

«Ma non era solo quello, andiamo», disse alzandosi dalla sedia e andando alla finestra osservando dei piccoli fiocchi volteggiare nell’aria fredda della notte posarsi sui rami spogli degli alberi che costeggiavano il lungo viale, osservò il traffico che a quell’ora della notte era assai poca cosa.

«E allora dimmi cos’altro c’è tra noi che non va. Forza, sono curiosa», disse sedendosi su una sedia.

«Senti Cecilia, ora è tardi e sono stanco.»

«Eh no! Caro mio. Ora tu mi hai svegliata e pretendo di sapere, dopo la discussione dell’altro giorno, cosa ancora non abbiamo chiarito. E, bada, non tirare fuori il solito discorso. Chiaro?» disse puntandogli l’indice teso come la lama di un coltello. Se le avesse confessato che non l’amava più, che non provava più nessun sentimento per lei, che anzi, a volte le dava fastidio la sua presenza. Lei, cosa avrebbe detto se non che era meglio separarsi. Ma lui non voleva il divorzio, almeno ora. Prima voleva sapere se il suo amore, la sua passione, era condivisa anche da Chiara. Che mai avrebbe potuto fare lui, da solo in una casa così grande. Lui, che non sapeva nemmeno cucinarsi un uovo sodo. No, si disse, no.

«Allora?» lo sollecitò.

«Hai visto?» disse con un’espressione stupida, indicando la finestra «nevica.» Cecilia scosse la testa.

«Dimmi la verità̀, Guido ami forse un’altra donna?»

«Ma che dici…», rabberciò evitando di guardarla negli occhi. «Come solo

lo puoi pensare.»

«E allora cos’è tutta questa astiosità, che hai da un po’ di tempo in qua. C’è forse qualche problema con il lavoro, con Alessandro?» Ecco, pensò, il

lavoro. Ora mi invento qualcosa così si tranquillizza.

«Be, ultimamente Alessandro…»

«Che è successo? Avete litigato?»

«Insomma. Sai come è fatto, pensa sempre di avere ragione.»

«Lo so. Le poche volte che l’ho visto ho capito di che pasta è fatto. D’altronde lui è quello con i soldi, tu sei si socio, ma ti tratta come un suo impiegato certo che tu non riesca mai a metterlo al suo posto. Eppure, i progetti sono frutto del tuo lavoro.» Ecco, era fatta, pensò, ora che si è scaldata per Alessandro che non sopporta, dell’altra cosa non si ricorderà più. Fece un lungo sbadiglio.

«Ti spiace se ne riparliamo domani. Sono stanco», disse e stirò in alto le braccia dando un’ultima occhiata alla strada lì sotto.

***

La mattina Milano era immersa in un’atmosfera surreale, la neve continuava a scendere e le strade erano completamente ricoperta dalla coltre bianca che aveva rivestito ogni cosa. I rumori erano sfumati come se la gente avesse i tappi nelle orecchie. I tram non sferragliavano lungo le rotaie, le auto viaggiavano lente; così la gente lungo i marciapiedi procedeva attenta a non scivolare. Guido si era seduto in un bar di via Rovello di fronte al teatro Grassi. Aveva bevuto un paio di caffè che lo avevano agitato, più di quanto già non lo fosse stato. Quando la vide uscire dal portone del teatro e attraversare la piazza ricoperta di neve, si augurò che non scivolasse e si facesse male. Sarebbe stata una vera sciagura. Quando entrò, batté un paio di volte le suole prima di procedere, lui le fece segno con il braccio.

«Brr, Che freddo», disse e si soffiò sulle mani. Poi si levò il berrettino di lana blu ma non il cappotto, che se lo strinse al petto. Alice Janet si fermò a guardare Guido, scosse appena la testa poi domandò: «Ho un grosso insetto sulla testa, vero?» Disse così visto come lui le fissava la testa.

«No. Guardavo i tuoi capelli.»

«Ah, sì. Me li sono tagliati. O meglio li ho un poco accorciati.»

«Il dottor Tozzi», disse Guido puntandole l’indice. Janet stirò le labbra, prese una sedia e si sedette.

«Non è come pensi. Non ho deciso niente. Mi ha solo chiesto di fare un provino.»

«Sì, un provino. Poi comincerà ad insistere fino allo sfinimento. L’ho visto al bar quello. Ma è una persona seria, almeno.»

«Su quello puoi stare tranquillo. È gay», e rise. «Ma pensiamo a noi. allora è fatta. Possiamo cominciare la nostra recita, dunque.»

«Già. Speriamo che serva a qualcosa. L’ho vista così fredda quando le ho detto cosa volevo facesse.»

«Via Guido, è una donna. Sai quanto siamo strane e complicate noi. Se diciamo una cosa è perché ne pensiamo a un’altra», rise. «Vorrei bere qualcosa di caldo che mi scaldi un poco. Sono tanto infreddolita, lì dentro», e indicò il teatro «il riscaldamento lo tengono basso basso. Solo alla sera c’è un bel caldo.»

Il cameriere poco dopo servì due cappuccini fumanti e un paio di brioche su un vassoio.

«Ah, ora sto meglio», disse quando ebbe finito. «Allora vediamo di ripassare la parte», disse e cavò dalla borsa il taccuino.

«Abbiamo detto che la nostra relazione dura da qualche mese», Alice Janet rise. Poi si scusò.

«Perché, ti faccio tanto schifo come amante?» domandò serio.
«No, no», disse mettendo le mani avanti e agitandole. «È che mi riesce difficile pensarti mio amante.»

«Ancora? Ah, ma allora…»

«Aspetta. Non precipitare le conclusioni. Volevo dire che, dovendo recitare la parte dell’amante, non mi riesce di pensarti mio amante», e fece il segno delle virgolette. «Hai capito? Non che ti ritenga un brutto uomo. Anzi, direi che sei un soggetto interessante se…»

«Se…?» chiese curioso riponendo l’ampia ruota di piume che gli era cresciuta dietro la schiena.

«Te lo dissi la prima volta che ci incontrammo. Ricordi?» Lui scosse la testa. «Ti dissi che mi sembravi un liceale. Non riuscivo a capire come eri potuto giungere a un simile compromesso per amore. E, bada», disse posandogli una mano sul braccio e fermandolo a mezza bocca, «te ne fa merito. Già ti parlai di Cyrano, ricordi?» Guido annuì. «Ma hai sempre quell’aria spaventata, di uno che ha paura che qualcosa possa andargli male. Coraggio, vedrai che reciteremo bene la parte. Dai, riprendiamo», disse battendogli la mano affusolata sul braccio. Guido si era risentito a quelle parole. Ma davvero non stava esagerando. E lei aveva ragione a dirgli che erano comportamenti adolescenziali e non da adulti. Ma lui che ci poteva fare. Era una passione, un’emozione incontenibile che non aveva mai provato prima. Alzò le spalle come a buttarsi dietro quei pensieri negativi, e proseguì cercando di sembrare il più naturale possibile.

«Allora tu sarai la mia…», la guardò per un attimo negli occhi prima di pronunciare nuovamente quella parola. Ma lei aveva assunto un atteggiamento diverso, professionale. Seria, ascoltava. Era come se fosse già entrata nella parte. «Il nostro ménage va avanti da qualche mese. Ho pensato: va bene volerla ingelosire, ma non vorrei esagerare. La nostra deve essere stata una storia breve.»

«Da una botta e via», disse Janet e sorrise. «Va bene. Diciamo dunque un paio di mesi.» «Come ci siamo conosciuti?»

«In un cantiere. Tu sei geometra.»

«Un geometra?» disse «Mi piace. Mi ci vedo nei cantieri con il caschetto

giallo sulla testa.»

«Non so se Chiara ti farà delle domande imbarazzanti. Intendo alle quali

magari non saprai dare una risposta.»

«Non ti preoccupare. Me la saprò cavare. Non dimenticare che sono anch’io una donna. L’importante è che non si parli mai assieme. Se io affermo una cosa tu non devi fare altro che confermarla, e viceversa.»

«Facciamo sesso?» chiese e rise.

«Beh, credo che sia normale se uno ha un amante.»

«Oh, sì. Ma volevo dire che se la vuoi fare ingelosire, allora dobbiamo

insistere su questo tasto. Tu vuoi questo, non è vero?»

«Sì, certamente. È proprio per questo che abbiamo messo su questo

teatrino. E tu dici che quello è l’argomento giusto?»

«Tranquillo. Non credere che li avete solo voi quei pensieri. Anche a noi

femminucce piace fare sesso.» Guido rise. «E tu come sei in fatto di sesso?»

«Che vuoi dire?»

«Sì, sei un riccio, o sei un tipo tranquillo, che so da una, due la

settimana.»

«È una domanda imbarazzante, non credi?»

«Oh, scusa. Non volevo crearti disagio. Mi interessava solo per capire se dovessi fare la smorfiosa e stupidissima donna tutta sesso o essere seria e innamorata. Che c’è?» domandò fattasi seria

«Non dimenticare che tu sei sì innamorata, ma io voglio troncare il nostro ménage. Tu hai minacciato di dire tutto a mia moglie, è per questo che ho chiesto a Chiara di recitare la parte di mia moglie.»

«Sì, non me lo sono dimenticata. Ma non per questo non posso dimostrarti quanto ti amo, quanto sono innamorata di te. È così che la faremo ingelosire, non credi?»

«Hai ragione. Farai l’innamorata.»

«Allora userò un abbigliamento consono.»

«Che vuoi dire con consono?»

«Ma sì. Niente gonne corte. Un abbigliamento sobrio. Ecco.» Guido stirò le labbra in un sorriso amaro. «Su, Guido. Vedrai che andrà tutto bene», disse e gli strinse la mano. «L’importante è che Chiara si ingelosisca. Altrimenti tutta questa farsa non servirà a nulla. Vorrà dire che farai come Cyrano. Io me ne vo… Scusate: non può essa aspettarmi. Il raggio della luna, ecco, viene a chiamarmi.», disse e sorrise.

«Eh, dai. È già abbastanza imbarazzante tutto questo, non ti ci mettere pure tu con questo Cyrano.»

«Scusa», disse Alice Janet «volevo solo stemperare un poco la tensione che sento hai nell’animo.»

«Più ne parliamo e più mi sembra una cosa tanto stupida», disse giocherellando con la forchetta.

***

Era trascorsa più di una settimana prima che Guido potesse fissare l’appuntamento per quell’incontro. Chiara era sempre molto impegnata e Guido sempre più agitato e sul punto di mandare tutto al diavolo.

«Che c’è ingegnere, la vedo distratto stamattina», disse Vania mentre chinata accanto a lui, gli mostrava dei progetti da verificare. E se mi confidassi con lei? si domandò Guido.

«C’è un pensiero che mi tormenta», disse mentre la osservava. Era diversa. Si domandò, non riuscendo a capire dove. Ma osservandola, le pareva diversa dalla solita Vania marginale, insignificante. «Sei diversa», disse lasciando scivolare i fogli sulla scrivania. «I capelli… I capelli, sono diversi», e fece un gesto con la mano. Vania arrossì.

«Li ho solo tagliati», disse e se li toccò appena con la mano.
«Eh, stai bene così», disse. «Siediti. Devo farti una confidenza. Ma che resti dentro queste mura. Mi raccomando.» Vania si toccò il cuore con una mano, come se avesse voluto compiere un giuramento. «Ti ricordi la tua amica attrice?» disse Guido facendosi largo con i gomiti tra le scartoffie distese sulla scrivania dove li appoggiò.

«Alice Janet», disse lei. Guido annuì. «Ebbene?» lo sollecitò.

«Non so se ti ricorderai il motivo che ti chiesi di presentarmela.» Vania non sapeva se rispondere che certamente si ricordava, mostrando forse così di essere troppo curiosa e impicciona; o se fingere di non ricordarsi mostrando così disinteresse per quel fatto. Scosse la testa.

«Guido!» disse con un viso alterato il dottor Colamedici spalancando la porta. «Quei documenti…» Guido scattò sulla sedia che andò a sbattere contro la parete.

«Sono pronti. Li ho controllati e firmati», disse prendendo una carpetta tra quelle sparse sulla scrivania, che gliela porse. Alessandro gliela strappò dalle mani con rabbia. «E la prossima volta bussa», disse mentre lui se la chiudeva alle sue spalle. Questo conflitto lo aveva riportato alla realtà. Subito si era domandato che cretinata stesse facendo cercando di coinvolgere Vania nelle sue bufere amorose. «Ecco, ti volevo chiedere di farmi una ricerca su qualche ristorante molto elegante ma al contempo intimo. Mi sono spiegato?» Tutto qui?, si chiese Vania. Sembrava volesse confidarmi chissà che, invece…

«Non ha bisogno d’altro, ingegnere?» disse alzandosi. Guido fece no con la testa. Si era gettato sulle sue scartoffie, forse dopo aver ricevuto quel rimbrotto dal suo socio era meglio pensare al lavoro. Alessandro aveva comunque ragione, la sua testa, in quelle settimane, era altrove.

***

Vania gli aveva suggerito un bellissimo ristorante il Don Lisander in via Manzoni. Gli aveva fatto riservare un tavolo molto discreto sul fondo del locale.

«È in ritardo la tua amica», aveva sottolineato ironica Chiara mentre beveva del Prosecco di Conegliano da un flûte.

«Arriverà. Non ti preoccupare. Io ti ho aspettata più di mezzora questa sera, non dimenticarlo», disse Guido guardandola con quel trucco leggero, e il rossetto rosso che accentuava la pienezza delle labbra e il leggero rossore del viso la rendeva irresistibile. I suoi lunghi capelli neri, di solito raccolti, ora le accarezzavano la schiena.

«Che c’è?» chiese notando quanto la fissasse.

«Scusami», disse arrossendo un poco girando lo sguardo verso un punto infinito.

«Deve essere quella», disse Chiara indicando una figura che tra i tavoli con passo da modella camminava lentamente facendo ondulare i fianchi, si sarebbe potuto tracciare una linea fra il loro tavolo e l’ingresso con la plausibile ed inevitabile probabilità che il suo ingresso avesse suscitato l’ammirazione entusiastica degli uomini seduti ai tavoli. Non indossava più quegli abiti negligenti con cui l’aveva incontrata nelle sere precedenti. Ora indossava un abito verde dalle linee morbide, aderente sui fianchi prima di allargarsi, gettata su un braccio, portava una giacca I capelli li aveva tinti di un rosso fuoco erano stati intrecciati sulla testa e alcune ciocche, sottili, erano state lasciate libere per arricciarsi intorno al suo viso, incorniciandolo dolcemente. L’insieme era sensuale, ma al contempo semplice.

«È quella?» aveva chiesto Chiara con un sorrisetto smaliziato toccandogli il braccio. Guido aveva annuito, «e menomale che doveva vestirsi sobriamente» pensò sempre con lo sguardo fisso su quelle gambe inguainate, che procedevano, sfidando le più elementari leggi della fisica per restare in piedi su quei tacchi vertiginosi.

«Buonasera», disse con voce flautata quando giunse al loro tavolo. Guido si alzò, le tese la mano, Alice Janet gliela prese, ma con uno strattone lo attirò a sé e gli stampò un bacio sulle labbra. Guido arrossì.

«Ti presento…»

«Sono Cecilia Zanuso, sua moglie», disse Chiara pronta, non volendo si confondesse, visto cosa aveva suscitato quel bacio. Si strinsero la mano. Alice Janet si sedette. «Eccoci qua…», disse Chiara osservandola. Guido chiamò con un gesto il cameriere. Era meglio smussare quella tensione che si era creata. Il cameriere molto professionalmente distribuì i menù.

«Ci consigli lei», disse Guido porgendoglielo. Il cameriere elencò le loro specialità. Scelsero.

«So che aveva tanta voglia di conoscermi, mi pare d’aver capito», e si portò il flûte alle labbra.

«Veramente non mi interessava conoscerla. Volevo solo sincerarmi, se Guido non mentiva, quando affermava che lei sa della nostra relazione», disse e sbatté ripetutamente le lunghe ciglia.

«Sì, ne sono al corrente», disse Chiara. Guido si schiarì la voce e disse: «Mi sono permesso di ordinare anche per te», e le sfiorò appena la mano che teneva posata sul tavolo.

«Hai fatto bene. Tu conosci i miei gusti…», disse gusti trascinando la esse come se avesse detto sesso. «Piuttosto, ho molta sete. Versami un po’ di quel vinello che spero mi scaldi un poco. Fuori fa un freddo», disse e porse il bicchiere. Certo che avrai freddo, pensò Chiara guardati lì, sei tutta mezza nuda. Guido le versò da bere mentre faceva scivolare lo sguardo lungo la scollatura. «Ah, ora sto bene», disse dopo averlo bevuto in un sol sorso.

«E da quanto tempo vi conoscete», fece Chiara scostandosi appena, mentre il cameriere le depositava davanti un piatto fumante di maccheroni all’amatriciana.

«Per te ho ordinato degli spaghetti alle vongole», disse Guido prima che il cameriere le depositasse il piatto.

«Mmmh, senti che profumo. Beh, io magio perché ho una fame…», e forchettò gli spaghetti. Quando ebbe assaporato diversi bocconi, ad ognuno dei quali si spendeva in lodi sperticate, rispose inaspettata alla domanda di Chiara. «Poco più da un anno», disse e bevve. Guido le diede un calcio da sotto il tavolo che la fece sussultare.

«Poco più di un anno, cosa?»

«Volevo dire che sembra da tanto tempo che ci conosciamo. Mentre sono pochi mesi ma è come ci conoscessimo da sempre», disse alzando in alto il bicchiere e fece con Guido un brindisi. Chiara annuì.

«Già», disse «E come vi siete conosciuti?»

«In un cantiere. Io sono geometra. Lavoro per l’antinfortunistica. Visito i cantieri e controllo se sono a norma. Se si mettono i caschetti, le scarpe infortunistiche. Tutte quelle cose lì. È così ci siamo conosciuti.»

«In un cantiere. Direi che è un luogo poco romantico.»

«Oh no. Anche in un cantiere si può trovare qualcosa di romantico. Lì, dove ci siamo conosciuti c’erano dei bei filari di pioppi», disse succhiando una vongola. Ma cosa diavolo si è inventata, pensò Guido.

«Di che cantiere sta parlando», chiese Chiara curiosa rivolta a Guido.

«È un cantiere sul Po dove stiamo ricostruendo un ponte. Sai il Po, ha attorno i pioppeti», disse Guido.

«Certo, ho presente.»

«Ora Cecilia sono io a farle qualche domanda», disse Janet mentre succhiava un’altra vongola.

«Va bene», disse Chiara pulendosi le labbra. «Mi sembra così strano che lei…»

«Che ne dici se ci diamo del tu… in fin dei conti condividiamo lo stesso uomo», disse mentre il cameriere le portava via il piatto. Alice Janet rise e scosse appena la testa.

«Va bene. La domanda che volevo farti era proprio su questo punto. Come hai potuto accettare di incontrare l’amante di tuo marito. Cosa ti ha spinta a questo incontro?» Guido che gli pareva di essere seduto su una sedia elettrica e da qualche parte c’era il boia pronto ad abbassare la leva.

«Beh, veramente sei stata tu a insistere di volermi vedere. Tu gli avevi dato l’aut aut. Lo avevi minacciato di dire tutto. Dire tutto a sua moglie, tutto a me, insomma. Così Guido ti ha detto che io sapevo ogni cosa di voi. Ecco perché tu hai voluto incontrarmi. Volevi sincerarti che fosse vero.» Guido rimase sorpreso. Non le aveva detto tutte queste cose. Era stata Chiara che se l’era inventate.

«Dunque tu hai accettato di incontrarmi, sperando che così tra noi sarebbe tutto finito.» Chiara alzò le spalle e sorrise.

«Io gli ho creduto.»

«E lo hai pure perdonato. Mi sembra che tu l’abbia presa bene», disse

Alice Janet lasciando che le portassero via il piatto.

«E chi ti dice che l’abbia presa bene? La calma non significa sempre comprensione. Guido almeno è stato sincero nel momento in cui gli chiesi se aveva un’altra. Non mi ha detto di volere i suoi spazi o che so, un momento di riflessione. Queste frasi mi irritano notevolmente.»

«Solitamente la donna che ama, protegge sempre il suo amore. Non si dice infatti sei il mio tesoro?»

«Prego», disse il cameriere servendo il secondo. «Filetto alla Voronoff con cipolline al forno.» Fino a che il cameriere non si fu allontanato e il sommelier avesse nuovamente riempito i bicchieri con dell’ottimo Amarone della Valpolicella, nessuno parlò. Solo dopo aver assaporato vino e filetto Chiara disse:

«Ma Guido mi ha detto che con te è tutto finito. Questo incontro è solo per dimostrarti che lui mi ha detto tutto. E poi anche per evitare spiacevoli ed esecrati ricatti.»

«Ricatti?»

«Sai come siamo noi donne. Tu senz’altro gli avrai chiesto che mi lasciasse. O lui te lo ha promesso.»

«Oh, vedo che sei una vera esperta. Parli per esperienza?»

«Non c’è bisogno di esperienza. La letteratura e il cinema sono piene di queste situazioni.»

«Questo è vero. Ma quello che non mi par vero è la tua sicurezza. La sicurezza è la tomba dell’amore. La passione. La vera passione si fonda sull’instabilità, sul senso del pericolo. E tu sei così sicura che Guido torni da te. A meno che…», disse Janet muovendo nell’aria l’indice.

«A meno che?» domandò Chiara.

«A meno che, anche tu non abbia una storia. Solo così ci si sente tanto sicure.» Guido non sapeva più chi guardare. Sentiva che tutta questa recita a soggetto non avrebbe portato a niente. Forse era venuto il momento di dirle tutta la verità e poi che vada come vada.

«Ascolta C…», non gli riuscì di terminare la frase. Alice Janet aveva capito che voleva confessarle la verità di quel convivio.

«Questi sono affari che proprio non ti devono riguardare», disse un poco acida.

«Desiderate del dessert?» domandò il solito cameriere che, non ricevendo risposta se ne stette ritto, in piedi, con le mani incrociate sulle pudenda.

«Ah, basta! Basta, non ce la faccio più», disse Chiara gettando il tovagliolo sulla tavola. Alice Janet guardò Guido che aveva gli occhi sbarrati dalla sorpresa. «E lei, lei non può tornare tra un po’», disse girandosi su un lato, guardandolo con uno sguardo fulminante che non ammetteva repliche. Il cameriere si scusò con un paio di brevi inchini, si voltò e sparì tra i tavoli.

«Che vuoi dire?» chiese Janet ma aveva già capito che la farsa aveva avuto fine.

«Sì, mi sono stufata di recitare questa… questa stupida commedia. Io non sono Cecilia, sua moglie», disse e indicò Guido «Ma sono Chiara l’amica di sua moglie», e calcò su quel sua. Per qualche istante calò un lungo silenzio tra loro. «Eh, mi dispiace Guido ma non ti sono stata di grande aiuto», affermò guardandolo con uno sguardo sconsolato. «E tu, ora, puoi continuare tranquilla la tua relazione.» Alice Janet sorrise e scosse la testa.

«Non c’è nessuna relazione tra noi.»

«Come non c’è… Ma voi due siete o non siete…» Janet guardò Guido e gli posò una mano sulla sua.

«No Chiara», disse Guido «lei ha solo recitato la parte dell’amante. Ma non lo siamo.»

«Ma non vi eravate conosciuto in quel cantiere sul Po?»

«No. Lei non è geometra.»

«Ah, no?»

«Sono un’attrice.»

«Un’attrice? Un’attrice vera dunque.»

«Certamente. Un’attrice di teatro.» Chiara fece una mezza smorfia. «Allora, tutta questa storia a che è servita?»

«Non lo hai ancora capito Chiara?» chiese Janet. Lei scosse la testa.

«Guido ha pensato tutto questo solo per vedere se riusciva a farti ingelosire.»

«Ingelosire? E quale sarebbe stato lo scopo?»

«Che ti amo», disse Guido e gli sembrò di essersi tolto un peso enorme dallo

stomaco.

«Tu, mi ami? E da quando?»

«Non saprei dirti se ti ho amato dal primo momento in cui ti ho vista, o se è stata la seconda, la terza o la quarta volta. Ma ricordo il primo momento in cui ti ho vista arrivare e Cecilia ci presentò. Ecco, penso sia stato da quel momento lì.»

«Un vero colpo di fulmine», disse Alice Janet.

«E il tuo amico Carlo?»

«Carlo, chi?» chiese Janet guardando la bottiglia vuota.

«Carlo, mio marito e suo grande amico.» Alice Janet schiaffeggiò l’aria. «In amore non si fanno prigionieri.»

«Vuoi dire che l’amicizia non conta niente?» chiese Chiara che ora aveva voglia di qualcosa di dolce.

«Voglio dire se l’amore è così profondo, passa sopra ogni cosa. È un qualcosa di incontrollabile. Mica per niente si dice pazzo d’amore. Si diventa folli per amore. Got me looking so crazy right now, your love’s canta Beyoncé ve la ricordate?» Scrollarono la testa. Guido aveva assunto un’espressione imbarazzante e di attesa. O gli diceva che sì, anche lei lo amava o avrebbe preferito sprofondare prima di udire quell’avverbio. Alice Janet che si sentiva come un arbitro di tennis, non aveva smesso di muovere lo sguardo dal viso di Guido a quello di Chiara comprendendo quale sarebbe stata la risposta di quest’ultima. Così, prevedendo la tragedia che di lì a poco si sarebbe scatenata, fece un cenno rapido al cameriere.

«Un cognac», disse al cameriere, poi aveva fatto un gesto per capire se desiderassero ordinare qualcosa. Ma loro erano altrove con i loro pensieri. Chiara era in evidente imbarazzo. Mentre Guido aveva oramai capito che la sua passione era a senso unico. Tutto quel tempo a sperare per poi scoprire che non lo aveva mai considerato. Il cameriere portò il cognac nel momento in cui Chiara aveva preso il cellulare.

«Ora puoi venire», disse e riagganciò. Alice Janet guardò Guido che aveva una faccia sbattuta e stupida al contempo, una faccia di chi sa di essersi esposto in modo imbarazzante. Trascorsero alcuni minuti in cui tutti si erano zittiti. Già, si chiedevano, che avrà voluto dire con quella frase: “ora puoi venire”. Chi doveva venire?

Dal fondo della sala apparve Cecilia. Vestiva un abito elegante che Guido non ricordava di averglielo mai visto indossato. Salutò tutti molto cordialmente, dovette passargli una mano sotto il mento perché Guido chiudesse la bocca rimasta aperta per lo stupore.

Si sedette.

«Non sapevamo come dirtelo», disse Chiara. «Noi due siamo amanti.» Un tuono, un boato risuonò nel locale. Così furono per Guido quelle parole. Si chiese se le aveva udite solo lui o tutti ora sapevano di quella verità imbarazzante. Alice Janet sorrise tra sé, non sapeva spiegarselo ma aveva capito che c’era qualcosa in Chiara qualcosa che non aspettava altro che il momento giusto per esprimerla. Alzò il bicchiere e fece loro un augurio.

«E… da quanto?» chiese Guido dopo aver fatto segno al cameriere perché gliene portasse uno anche a lui. Ne aveva bisogno.

«Quasi tre anni», disse Cecilia che ora appariva serena. Rilassata, come se si fosse levato un grosso peso dallo stomaco.

«Ma… ma io…», balbettò.

«Vuoi dire che non te n‘eri accorto?» chiese Chiara.

«Già̀. E Carlo?»

«Oh, lui è un po’ che lo sa. Ognuno fa la sua vita.»

«Ma non mi ha mai detto niente. Ora capisco i nostri litigi, i figli… il…»

«Sesso. Volevi dire questo?» Guido annuì. Il cameriere depose il bicchiere sul tavolo. Guido lo trangugiò in un paio di sorsi. «Cecilia sorrise. Devo confessarti che cercavo la discussione. Volevo che ci fosse quel distacco dovuto al rancore. E a te veniva così facile. Certo, non volevi troppi sensi di colpa ti eri innamorato di Chiara e non volevi che il nostro rapporto fosse un rapporto di coppia, d’amore.»

«Dunque, fingevi per mantenere le distanze. Non volevi che io…»
«Già. Non mi andava. Anche tu del resto. Veramente mi ha sempre dato un certo fastidio avere rapporti con l’altro sesso. Forse un poco lesbica lo sono sempre stata», disse e accarezzò la mano di Chiara.

«E tra voi due come è successo. Sì, lo siete sempre state o…»

«Chiara ed io siamo sempre state amiche. Poi lo sai, è facile vedere due donne che si tengono per mano, che si baciano innocentemente. Ecco, tutto è nato poco alla volta. Dopo, quando ci siamo accorte che ci amavamo abbiamo continuato la nostra relazione clandestina.»

«Ma, tu allora sapevi che io e…»

«Che ti piaceva Chiara? Certo, l’avevo capito. Anzi, a dirti la verità, quando ho compreso che volevi dichiararle il tuo amore, sono stata contenta. Ci siamo dette che sarebbe stata l’occasione di dirti la verità. La tua idea l’ho trovata fantastica. Anche Chiara l’aveva trovata straordinaria, da pièce teatrale. Una finta amante che vuole conoscere la moglie… E poi lei», disse indicando Alice Janet «così brava. Certo, è un’attrice. Ma è stata davvero spettacolare nel suo ruolo.» Alice Janet sorrise.

«Forse sarà meglio che me ne vada», disse alzandosi.

«Sì, lo credo anch’io», disse Chiara.

«Ma no. Resta», affermò Cecilia. «Se rimani mi farà molto piacere. Mi sembrerebbe alquanto scortese te ne andassi ora. Tu non hai nessuna colpa. Hai solo recitato una parte. Siediti, ti prego», disse e la trattenne per un braccio.

«Eh, no. Scusate ma la geometria mi è stata sempre molto ostica. I triangoli a me non sono mai piaciuti», disse guardando gli occhi di Chiara che si erano accesi di ostilità.

 

Era tardi quando uscirono dal ristorante. Il grosso melograno, solitario nel cortiletto, imbiancato dalla neve, insaporiva quell’immagine da cartolina natalizia. Era sorta la luna logora dietro il Pirellone. Tutto sembrava così surreale, come fossero entrati in una specie di set cinematografico. Guido era l’unico che non sapeva quale fosse la sua parte. Cecilia e Chiara si erano già avviate sottobraccio lungo il marciapiede imbiancato.

«Che fai lì?» gli chiese Alice Janet. Guido scosse la testa. «Dai, vieni. Questa sera ti ospito a casa mia, così parliamo un po’», lo prese sottobraccio e si avviarono in direzione opposte alle altre due.

Con l’orgoglio ferito Guido si incamminò, la sua vita, da quella sera, sarebbe cambiata in modo radicale.

 

 

 

 

 

 

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