Ho il fondato sospetto che per entrare nelle stanze giornalistiche de la Repubblica…

UN IGNOBILE TERRORISMO INFORMATIVO


Ho il fondato sospetto che per entrare nelle stanze giornalistiche de la Repubblica i candidati debbano sottoporsi ad una serie di test da parte di una speciale commissione esaminatrice. Gli item – questo è il termine tecnico che definisce un elemento del sistema di catalogazione, di classificazione – spaziano dalla mimica facciale all’indice di falsità, dall’empatia al livello culturale, dall’onestà intellettuale alla capacità di ascolto, dalla struttura caratteriale alla ponderazione argomentativa. Gli indicatori vanno da 1 a 10, e più alto è il risultato maggiore è l’affidabilità in cortigianeria, in faccia tosta – termine elegante traducibile altrimenti in linguaggio popolare, in superficialità, in presunzione, in maleducazione e in insolenza.
Sicuramente il capoclasse resta Berizzi, il blindato beamhunter, cacciatore di fasci e nazipoacher, bracconiere di nazisti (a Lui ci piace l’inglese): Lui non dialoga, pontifica; Lui non si esprime, spiega; Lui non contesta, accusa; Lui non espone, sentenzia; Lui non partecipa a un dibattito, celebra un evento.
Se fossi in Lui, però, mi guarderei da uno sgambetto possibile. C’è un rivale in narcisismo, supponenza e in sfrontatezza: è Stefano Cappellini, con il suo trisma sarcastico, con il borbottio di disapprovazione, con il suo atteggiamento squalificante.

“Sono sconcertato che il problema sia l’informazione”, dice al prof. Angelo D’Orsi che aveva criticato le modalità taroccate di fornire notizie e immagini. “Sconcertato” per l’accusa documentata, non per i bombardamenti da videogame, per i morti inesistenti, per i laboratori di ricerca biochimica, per gli intrallazzi equivoci tra Volodymyr Zelens’kyj e Hunter Biden. L’ordine di scuderia è: non sconcertarsi!
In qualunque Stato serio – ma l’Italia non ha uno Stato, se non una sua farsesca rappresentazione – i giornalisti responsabili di diffusione di notizie false, settarie, manipolate, distorte e fuorvianti, prima ancora di essere denunciati, sarebbero con un paio di scatoloni sul marciapiede davanti alla redazione. Qui no. Dai noi certe posizioni sono i presupposti per una carriera nella carta stampata, per una decorazione da Cavaliere della Repubblica in ambito televisivo, per un posto da conduttore in prima serata.
“Non si può pensare che il problema sia il racconto di questa barbarie”, ridacchia il portatore del pensiero unico soprassedendo, per ignoranza, per dabbenaggine o per cattiva coscienza, sull’importanza delle modalità comunicative che finiscono nella disinformazione o nella misinformation. Ma il portatore della verità è esente da queste fisime. Tant’è che liquida l’esposizione del prof. D’Orsi riguardante la complessità dell’evento bellico in corso affermando che si tratta di una “tiritera insopportabile”. Eh già. Perché per il prelato de la Repubblica, il celebrante del mainstream, l’officiante del verbo governativo approfondire un’argomentazione è fissazione, una capricciosa fantasia, una noiosa stravaganza.
Quindi, dopo l’euforia pandemica che ha portato a lauti finanziamenti per le testate omologate, siamo arrivati alla narrazione bellica secondo il dettato padronale: non più solo informazione terroristica, ma anche ignobile.

Adriano Segatori

 

 

 

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