Dunque, la Corte penale internazionale ha emesso un ordine di cattura per Putin…

 

UNA CORTE AL SERVIZIO DELL’OCCIDENTE CONTRO IL RESTO DEL MONDO


Dunque, la Corte penale internazionale ha emesso un ordine di cattura per Putin con l’accusa di crimini di guerra. I quali consisterebbero nella deportazione, ossia nel trasferimento illegale, in Russia di bambini ucraini, residenti in orfanotrofi o perduti dai genitori, poi affidati a famiglie russe. Bambini che, a dire della Corte, erano sì in zona di guerra ma “protetti” dalla convenzione di Ginevra che ne rendeva indisponibile il trasferimento e l’adozione. Naturalmente, stando al ragionamento della Corte, quella stessa convenzione gode di una forza giuridica internazionale tale da impedire a quei bambini, se fossero restati nelle zone del conflitto in corso, di diventare vittime innocenti della guerra. La forma astratta del diritto, per la Corte dell’Aja, viene prima di tutto, anche se essa è un guscio normativo vuoto di ogni sostanza e concretezza veramente umana. L’astratto formalismo è la maschera con la quale si presenta l’Anomos. Da parte nostra riteniamo che la guerra non sia poi così rispettosa del formalismo giuridico, invocato dalla Corte penale internazionale. Lasciati dove erano quei bambini sarebbero morti. Ma, perdinci, vuoi mettere morire “protetti” dalla convezione di Ginevra! La realtà dei fatti, a tutti evidente, è che quei bambini sono stati salvati dai russi che li hanno sottratti ai pericoli delle zone di guerra. Bambini che, probabilmente, sono di etnia e lingua russa, benché formalmente cittadini ucraini. Ma per il formalismo della Corte penale internazionale la cittadinanza astratta prevale sulla concretezza culturale degli uomini. D’altro canto, la Corte dell’Aja non ha avuto lo stesso zelo inquisitoriale nei confronti di Zelensky o di Petro Poroshenko responsabili del massacro delle popolazioni del Donbass, compresi i bambini. Poroshenko, durante un discorso a Odessa anni fa, prima dell’attuale guerra, paragonando le prospettive degli ucraini a quelle del popolo del Donbass, ebbe a promettere: “I nostri figli andranno nelle scuole e negli asili, mentre i loro saranno rintanati negli scantinati!”. Una promessa mantenuta come si può verificare dalla denuncia della Chiesa Ortodossa di Torino reperibile nel link seguente:

Poroshenko ha mantenuto la parola: i bambini del Donbass non vanno a scuola

Si legga o rilegga Carl Schmitt “Il Nomos della terra”: diritti umani e diritto umanitario sono soltanto un paravento di rapporti di forza politica ed uno strumento al servizio dell’ideologia globalista occidentale. Non è neanche vero, se non nei termini dell’imitazione immanentista (i cristiani sanno o dovrebbero sapere chi è la simia Dei), che i “diritti umani” sono un portato del Cristianesimo, o comunque delle fedi abramitiche, perché al contrario essi sono espressione dell’impostura

simia Dei

ideologica di matrice illuminista che ha confuso, artatamente ed ingannevolmente, l’idea cristiana di persona – che nella sua concretezza non si dà mai senza appartenenze sociali e culturali ossia comunitarie dalle quali viene definita nella propria identità irripetibile – e il concetto di individuo sempre astratto, vuoto, inappartenente, irrelato, formale, manipolabile perché senza identità concreta. Se esiste una “natura umana” universale, sempre tuttavia modulata in realtà personali e comunitarie, concrete ed inviolabili, non esiste affatto l’“Uomo” in astratto ossia depredato dell’appartenenza particolare. Ora, ciascuno pensi quel che vuole, ma l’iniziativa della Corte penale internazionale dimostra ancora una volta, laddove ce ne fosse ulteriore bisogno, la strumentalità dei tribunali internazionali al potere egemone dell’Occidente a trazione americana. La Corte dell’Aja, oltretutto, sulla cui effettiva “terzietà” c’è molto da dubitare (quanti sono i giudici russo che siedono in essa e quanti quelli occidentali?), non è riconosciuta dalla Russia ma neanche dagli Stati Uniti, sicché non ha alcuna giurisdizione mondiale e la sua pretesa di averne è soltanto manifestazione dell’impostura illuministica di cui si diceva pocanzi. Gli Stati Uniti non riconoscono la Corte internazionale perché, mentre cianciano di diritti umani, vogliono conservare mani libere in politica estera e in guerra. Per i tanti crimini di guerra da essi commessi nei due secoli della loro esistenza, i presidenti e i governi americani avrebbero già dovuto essere processati e condannati se certi tribunali internazionali non fossero strumentalmente di parte. Non ci risulta, infatti, che alcun mandato di cattura sia stato spiccato dalla Corte dell’Aja contro George W. Bush o Barack Obama per i crimini americani in Iraq, Afghanistan, Yemen, Serbia, Siria, Libia o contro Harry Truman per le due atomiche sul Giappone nel 1945. E non si dica che, nel caso di Truman, un eventuale Tribunale internazionale, costituito dopo i fatti, applicando la pena retroattivamente, avrebbe agito, secondo il principio liberale “nullum crimen, nulla poena sine lege”, [nessun reato, nessuna pena, senza legge] illegittimamente. Non lo si dica perché questo fu esattamente quel che accadde con il processo di Norimberga, celebrato applicando retroattivamente la pena rispetto ai crimini commessi in assenza della formulazione della fattispecie giuridica di “genocidio” fino ad allora non vigente, anzi elaborata proprio con il predetto processo (naturalmente, rilevando questo, qui non si vuole affatto esimere dalle loro ignobili responsabilità i criminali nazisti ma soltanto mettere in evidenza le aporie del diritto astratto e formalistico di matrice occidentale). L’Occidente non si rende conto che, nel caso russo, non ha di fronte un Slobodan Milošević qualsiasi – ossia un personaggio di second’ordine – ma il leader di una potenza che attualmente gode dell’appoggio politico del resto del mondo, ormai stufo delle prepotenze americane e occidentali. La cieca incapacità occidentale di comprendere che il mondo non è fatto a sua misura, che altri popoli seguono filosofie di vita diverse dalle nostre e che, salvo il piano spirituale, non è possibile stabilire gerarchie o primati tra le loro e le nostre (nostre, oltretutto, solo da un paio di secoli a questa parte), sta portando il mondo verso un conflitto devastante. Se l’Occidente vuole la guerra con la Russia e il resto del mondo è certamente sulla buona strada. Ma questa volta potrebbe essere un passo falso. Per tutti!

Luigi Copertino

 

 

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Descrizione

Del Nomos della terra si potrebbe dire che sta al diritto internazionale e alla filosofia politica del nostro tempo come Essere e tempo di Heidegger sta alla metafisica: opere inevitabili, che faranno sempre discutere e alle quali sempre si tornerà. Carl Schmitt pubblicò questo libro nel 1950, quando ancora si trovava in una posizione di totale isolamento in Germania. Ma proprio in quest’opera, che è un po’ la summa del suo pensiero giuridico e politico, si sollevò nettamente al di sopra di ogni contingenza. E questo gli permise di aprire la prospettiva su fatti che in quegli anni erano impensabili: per esempio il terrorismo o la guerra civile globale come agenti decisivi del futuro. A questi risultati Schmitt giunge attraverso una disamina minuziosa delle varie teorie che sono apparse nell’epoca aurea dello jus publicum Europaeum, dimostrando una volta per tutte che, per sfuggire alla furia delle guerre di religione, il gesto salutare è stato la rinuncia allo justum bellum. Di conseguenza, il delicato passaggio dalla justa causa belli allo justus hostis ha reso possibile «il fatto stupefacente che per duecento anni in terra europea non ha avuto luogo una guerra di annientamento». In quel breve intervallo lo jus publicum Europaeum si combinava con l’avviarsi del funzionamento della machina machinarum, «prima macchina moderna e insieme presupposto concreto di tutte le altre macchine tecniche»: lo Stato moderno. Allora la «guerre en forme», questo gioco crudele, salvato però dal rigore della sua regola, conferiva una nuova unità a un certo ambito spaziale (una certa parte dell’Europa) e lo faceva coincidere con il luogo stesso della civiltà. Poi il gioco si frantuma dall’interno: nell’agosto 1914 comincia una guerra che si presenta come tante altre dispute dinastiche – e invece si rivela subito essere la prima guerra tecnica, che nega già nel suo apparato ogni possibilità di «guerre en forme». Così emerge anche la guerra rivoluzionaria, variante finale della guerra di religione, sigillo delle guerre civili. La forma moderna della verità, la più efficace, la più distruttiva, è tautologica: ciò che è rivoluzionario è giusto perché è rivoluzionario: con ciò si ripropone e trova sbrigativa risposta la questione della justa causa belli.

 

20 marzo 2023

Fonte: Franco Cardini

 

 

 

 

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