Quando l’ideologia sostituisce la strategia, l’Europa diventa il capro espiatorio perfetto delle sue stesse élite.

UNA FIAMMANTE FELLALI

Il Simplicissimus

Cosa succederebbe se qualcuno avesse davvero pianificato la rovina dell’Europa? Se fosse esistito un progetto lucido, un manuale dettagliato, o persino un concorso per determinare la serie di mosse più dannose da compiere sul piano geopolitico, energetico ed economico? L’Unione Europea, suggerisce questo pezzo, avrebbe vinto a mani basse. A partire dalla guerra per procura contro la Russia – combattuta usando l’Ucraina come campo di battaglia e l’indipendenza energetica come pedaggio – fino al fanatismo ideologico del “Net Zero”, nulla sembra essere stato fatto per rafforzare la posizione del continente: anzi. L’articolo analizza la narrativa dominante attorno alla CO₂, smascherandola come un totem pseudo-ambientalista utile a spalancare nuove vie alla speculazione finanziaria, mentre il vecchio continente si arrende a politiche che riducono il suo peso globale senza portare reali benefici ambientali. Un invito – polemico ma documentato – a guardare oltre i titoli roboanti e i dogmi “verdi”, per interrogarsi su chi davvero stia beneficiando di questo disfacimento orchestrato. (f.d.b.)


Se qualcuno avesse studiato a tavolino come rovinare l’Europa, se ci fosse stato un concorso sul tema l’Ue avrebbe stracciato qualsiasi rivale e vinto il primo premio. Per un momento mettiamo tra parentesi l’ovvio e il vergognoso, ovvero la guerra alla Russia per interposta Ucraina e la conseguente perdita di risorse energetiche essenziali e a basso costo: questo errore clamoroso rimarrà negli annali storici come la mossa più stupida mai tentata perché il risultato sarebbe stato catastrofico in tuti i casi, sia di vittoria che di sconfitta. Veniamo invece all’altro dolente capitolo, ovvero quello del Net Zero(1) voluto frettolosamente dalle oligarchie europee e occidentali per poter trovare altre praterie di investimento e di speculazione: rispetto a quelle già bruciate. Il tutto è nato in base all’ipotesi truffaldina sul ruolo catastrofico della CO2, (2)una sorta di incoerente totem para ambientalista che doveva costringere a correre ai ripari immediatamente. Ora l’apporto umano all’anidride carbonica e solo del 4% e di questa quantità marginale, l’Europa rappresenta a mala pena il 14 per cento, ovvero lo 0,5 per cento del totale. È sempre bene ripetere i dati che almeno sono un’ancora di salvezza in mezzo al mar dei sargassi dell’informazione.

Pala eolica 20kW made in Italy, torre da 30 metri. La produttività stimata per questa tipologia di impianto mini eolico è di circa 50.000 kWh annui. Consumi medi per faglia di ¾ persone annui 2.700 KWh. Ogni pala riesce a soddisfare 18 famiglie.

Energia eolica in Puglia- quanta ne serve e quanto costerebbe?

 

 

 

 

Questo ha permesso di creare obiettivi irraggiungibili nell’arco di 15 anni, perché un piccolo ritardo avrebbe mandato il pianeta a fuoco. Dunque, non ci sono stati né il tempo, né la quantità di investimenti per poter sviluppare le tecnologie: i capitali in attesa di impiego non erano di natura produttiva, ma meramente speculativa, basata sul trasferimento di denaro dai cittadini ai ricchi. Così l’intera filiera si è dovuta appoggiare sulla Cina che produce tutto ciò che attiene a questo campo: dai pannelli solari, all’elettronica, alle pale dei mulini a vento, alle batterie di supporto e ovviamente alle auto elettriche. Anche i più timidi tentativi di fare da soli sono ben presto falliti. Il risultato di tutto questo può essere benissimo illustrato dal blackout generale che ha colpito Spagna e Portogallo, dovuto proprio alla scarsa resilienza delle cosiddette rinnovabili e alla complicazione estrema che esse, con la loro imprevedibilità, portano alla gestione delle reti di distribuzione dell’energia. Una realtà tecnica accettata da tutti gli esperti, ma che il governo spagnolo si rifiuta di ammettere.

Batterie auto elettriche- tutto quello che c’è da sapere

Tutto questo assurdo bailamme, oltre ad aver aumentato l’emissione di CO2 fuori dall’Europa per la realizzazione di tali strutture ha colpito a morte l’industria automobilistica, costretta in pochi anni passare dai motori termici alle auto a batteria, ovvero a una tecnologia ancora immatura. Questo ovviamente ha aperto il mercato alle produzioni cinesi che in questo campo sono non soltanto molto meno costose, ma anche più avanzate e fatto crollare le industrie del nostro continente che hanno perso il proprio retroterra di immagine mentre col crollo delle vendite e dei profitti non sono in grado di investire in maniera massiccia sui prodotti che il mercato vuole. Però la cosa non si ferma qui: i cinesi hanno costruito per decenni motori di piccola cilindrata, alcuni dei quali equipaggiavamo le VW o le DS ma col tempo si sono inespertiti e hanno cominciato ad aumentare le cilindrate anche in virtù di una richiesta del mercato interno, cominciando ad applicare la tecnologia turbo. Già negli ultimi anni pre-reset, l’industria europea ha cominciato ad adeguarsi, solo che ha cominciato a sfornare i tre cilindri ufficialmente meno inquinanti, ma soprattutto più economici per i costruttori. mentre nell’ex celeste impero le cilindrate e i cilindri continuavano a crescere. E un mese fa la GWM (Great wall motors) ha presentato un 8 cilindri turbo da 700 cavalli (eventualmente accoppiabile con altri 250 di elettrico) destinato ai grandi suv 4×4 e alle berline di lusso.

Ora se vediamo la crisi che sta attanagliando tutte le industrie del settore comprese quelle del lusso come. per esempio Maserati che sta scomparendo dal mercato o Porsche che in due anni ha perso il 60 per cento di capitalizzazione o le Mercedes di punta, tutti modelli dove l’elettrico viene semplicemente rifiutato, ci sono pochi dubbi che i motori cinesi penetreranno anche in queste nicchie. Quanto passerà prima che si affaccino su questo mercato, magari grazie all’acquisto di marchi prestigiosi? Credo molto poco. Eh sì, allora chi ci ha rovinato (e solo loro) potrà magari viaggiare in Fellali.

E sapete una cosa? Ben ci sta.

Redazione

 

 

 

 

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