Le donne «Mi piace affidare a loro il guizzo dell’intelligenza, che sta nella parte femminile, anche negli uomini». Il nuovo libro di Fabio Volo è il racconto di una crisi di coppia e del viaggio, fisico e interiore, per affrontarla.

 

Il viaggio di Fabio Volo. Meglio essere soli o bene accompagnati?

 

Fabio Volo in un disegno.

 

 

La trama del romanzo.

Il tema della storia è molto interessante, attuale e sviscerata in profondità. È la storia di Anna e Marco – sì, come nella canzone di Lucio Dalla – sono i protagonisti di Una gran voglia di vivere: quaratacinquenni, architetti (ma lei ha lasciato il lavoro quando è diventata mamma), insieme da sette anni e con un figlio di cinque, Matteo.

Una sera Anna parla con Marco dei sentimenti contrastanti che prova rispetto alla loro relazione e così dà voce anche alle sue emozioni.

La crisi è ufficialmente aperta.

Matteo inizierà la scuola a settembre, così decidono di organizzare il loro ultimo viaggio come famiglia, destinazione Nuova Zelanda e Australia.

Durante il viaggio incontreranno tante persone, alcune di loro gli racconteranno le loro vite e i loro problemi, questo farà riflettere Marco sulla sua vita.

La coppia trascorre numerose serate all’interno dei campeggi a parlare con i loro nuovi amici, e sarà in queste occasioni che Marco verrà a scoprire i pensieri più intimi della moglie, cose che nemmeno sospettava, e la mostrano ai suoi occhi quasi come un’altra versione di lei.

Cosa succederà dopo il viaggio?

Cambiare tutto: è la sirena continua che tenta Marco. Lasciare Anna? Tradirla? Tornare indietro al momento in cui ha fatto le scelte che hanno deciso della sua vita?

Resteranno una coppia o si separeranno?

Il viaggio dentro sé stesso riuscirà a far prendere coscienza a Marco che nella vita si cambia ogni giorno un po’ e non possiamo in questo cammino non modificare i nostri sogni e obiettivi?

Non avevo mai avuto dubbi su di noi, e non per incoscienza, semplicemente il nostro sembrava un amore in grado di mantenere le promesse.

Un romanzo sincero, diretto, che sa fotografare le pieghe e le piccole contraddizioni dei nostri rapporti. Una storia in cui ritrovarsi, emozionarsi e capire se esiste, a un certo punto, un modo nuovo di stare insieme.

 

Come inizia.   

 

 1

«Mi ami ancora?»

   Eravamo a letto con le luci spente quando Anna me l’ha domandato. Avevamo appena fatto l’amore e stavo pensando che così bene non lo facevamo da mesi. C’era stato più trasporto, più forza, più passione.

   Era già successo che Anna me lo chiedesse, e ogni volta avevo risposto in maniera immediata, senza mai esitare: «Certo che ti amo ancora. Che domande fai?».

   Rispondevo così perché non volevo chiedermelo davvero.

   Tenevo a lei, eppure non capivo cosa ci fosse di autentico dentro di me.

   Io e Anna stavamo insieme da sette anni e Matteo ne aveva cinque.

   Era venuta a mancare la complicità di un “noi” che non fosse inteso solo come famiglia. Senza che ce ne rendessimo conto, quel “noi” era evaporato.

   Quando Anna mi ha chiesto se la amavo ancora, ho capito che lo stava facendo in un modo diverso, voleva una risposta onesta. Non potevo risponderle come avevo sempre fatto.

   Sono rimasto in silenzio, dovevo decidere se essere sincero o dire una bugia che mi avrebbe permesso di rimandare ancora. Non ero sicuro di voler rendere ufficiale la nostra crisi. Se avessi dato una risposta vera, non avremmo più potuto far finta di niente.

   «Sei sveglio o ti sei addormentato?» mi ha chiesto.

   «Sveglio.»

   Ho fatto un lungo respiro e, per la prima volta, le ho detto la verità, le ho detto quello che sentivo veramente. Le parole uscivano senza che le pensassi, parlavo e al tempo stesso ascoltavo quello che dicevo. Non stavo parlando solo con lei, ma con me stesso.

   «Non lo so più, Anna.»

   Ero triste, come se mi rendessi conto, in quel momento, di aver tradito una promessa.

   «Sono stanco di quello che non riesco a fare e non riesco a essere. Non dico che sia colpa tua, ma così non sono felice.»

   Anna non diceva nulla, non la sentivo nemmeno respirare o fare dei piccoli movimenti. Sapevo di farle male e la cosa mi dispiaceva da morire, perché non ho mai desiderato ferirla. Nel silenzio, aspettavo una reazione.

   Poi ha detto: «È quello che provo anch’io. Questa non è la vita che avevo immaginato e non capisco dove abbiamo sbagliato. Anche se stiamo insieme, anche se abbiamo un figlio, nella maggior parte del tempo mi sento sola».

   Lo stomaco si è chiuso in una morsa dolorosa.

   Ho avuto la sensazione che tra me e lei fosse finito un modo di stare insieme, una bugia sospesa, la nostra storia. La crisi era dichiarata e non potevamo più vivere come avevamo fatto fino ad allora.

   Anche se avevo gli occhi aperti non vedevo nulla, solo il buio.

   Immaginando quel momento, avevo sempre pensato che avrei provato un senso di liberazione, invece mi sono sentito ancora più perso, come se in quel buio stessi precipitando.

   Non ero più felice con lei, lei non lo era più con me, eppure ero terrorizzato dall’idea di perderla.

   Ho pensato di andare a dormire sul divano, come era già successo altre volte, ma mi sono voltato verso di lei e l’ho abbracciata.

   Avevo paura che mi avrebbe respinto, invece si è voltata anche lei e ci siamo stretti l’uno all’altra. Stavamo precipitando insieme, stavamo scivolando stanchi, spossati, forse sconfitti dalla nostra vita.

   Più che abbracciati eravamo aggrappati alla persona che stavamo perdendo, alla per sona che non eravamo più in grado di rendere felice.

   In quell’abbraccio ci siamo addormentati.

2

La prima volta che l’ho vista era la fine di settembre.

   Ero a una cena in campagna, per l’inaugurazione della casa di Alessio. Gli avevo dato una mano coi lavori, siamo entrambi architetti e lavoriamo nello stesso studio.

   Conoscevo la maggior parte degli invitati. Gli uomini erano fuori, vicino alla griglia, con delle birre in mano a chiacchierare e ridere. Le donne, in cucina, preparavano insalate, tagliavano pomodori e mozzarella, stavano ai fornelli per fare la pasta.

   In giardino c’era un lungo tavolo apparecchiato, mille lucine appese ai rami degli alberi sotto la veranda, come a Natale.

   Sono passato in cucina a salutare e poi ho raggiunto i ragazzi.

   Mentre mi avvicinavo, ho sentito: «Dietro ogni donna arrabbiata c’è un uomo che non ha idea di che cazzo ha fatto».

   Tutti sono scoppiati a ridere.

   «Questa dove l’hai sentita?»

   «Me l’ha mandata un amico su una chat di WhatsApp.»

   Ho salutato Alessio e quelli che conoscevo, poi mi sono presentato agli altri. Mi hanno subito passato un bicchiere di vino rosso. Una delle cose belle dell’essere maschi è che bastano un bicchiere e due battute idiote e si è già amici per la pelle.

   Poi mi sono voltato e, sotto un albero, illuminata dalle lucine, ho visto Anna. Mi ha ipnotizzato. Sono rimasto a fissarla per un tempo che non saprei dire. Alla fine ha alzato lo sguardo verso di me e mi ha inchiodato con un sorriso.

   Ho continuato a guardarla da lontano, mentre parlava, mentre rideva. I lineamenti del suo viso erano morbidi come le curve del suo corpo. Aveva una gonna ampia e non riuscivo a vedere le gambe, ma potevo immaginarle.

   Sembrava che gli altri fossero a loro agio con lei, il suo sorriso e il modo in cui parlava erano una continua apertura verso il mondo.

   Ho pensato fosse una di quelle donne che fanno bene l’amore, lo intuivo da come muoveva le mani, da come rideva, da come si toccava i capelli. Era un incrocio meraviglioso di dolcezza, erotismo, tenerezza e sensualità. Sentivo il desiderio di sfiorarla, di toccarla.

   Mi sono incamminato verso di lei e quando le ero quasi vicino Alessio ha gridato: «È pronto!».

   Un ragazzo l’ha presa sottobraccio e l’ha accompagnata fino al tavolo.

   Sono rimasto spiazzato. Non avevo pensato un solo istante che potesse essere fidanzata.

   Tutti gli invitati prendevano posto, lei e lui erano ancora in piedi, parlavano con un’altra coppia. Poi sono andati a sedersi, lui da una parte, lei dall’altra. L’ho segui seguito con lo sguardo fino a quando si è avvicinato a una ragazza, le ha accarezzato una spalla, le ha dato un bacio e ha preso posto accanto a lei. Una gioia improvvisa mi è esplosa dentro.

   Intorno ad Anna c’erano ancora sedie libere, una di fianco e due di fronte. Mi sono catapultato, per paura che si sedesse qualcun altro.

   Alla fine eravamo uno di fronte all’altra. Smettila di fissarla, mi sono detto.

   Ho iniziato a parlare con altri poi, appena ha preso in mano il bicchiere, mi sono presentato.

   «Ciao, sono Marco.»

   «Ciao Marco, sono Anna.»

   Ho pensato alla canzone di Dalla e credo anche lei, perché ci siamo sorrisi anche se non ci siamo detti nulla. Ho alzato il bicchiere di vino.

   «Salute.»

   Lei in risposta ha alzato il suo. Prima che potessi dire altro, la sua vicina di posto le ha fatto una domanda e ha rubato la nostra prima conversazione.

   Ho aspettato, un’attesa infinita.

   In quei minuti fantasticavo su quello che avrei voluto fare insieme a lei. Ero certo che durante la cena avrei provato a conquistarla e la cosa mi agitava, ma sentivo una spinta che toglieva ogni incertezza.

   Appena mi ha guardato le ho chiesto: «Conosci bene Alessio?».

   «Abbiamo lavorato nello stesso studio qualche anno fa.»

   Conoscevo lo studio di cui mi stava parlando, mi avevano fatto una proposta in passato. Se avessi accettato avremmo lavorato fianco a fianco e adesso magari staremmo insieme, ho pensato.

   Quella possibilità mi ha strappato una piccola risata.

   Mi ha guardato.

   «Cosa c’è da ridere?» ha detto, ridendo a sua volta. Mi piaceva da morire.

   Più parlavamo, più si creava una naturale complicità, sembravamo amici da anni. Mi aveva conquistato in un attimo, qualcosa fuori dal mio controllo voleva consegnarmi a lei immediatamente. Anna, tutto ciò che sono è tuo, avrei voluto dirle. Era una creatura rara, preziosa, sospesa. Sentivo che andava afferrata subito, altrimenti sarebbe volata via come un palloncino a una festa di paese.

   Il modo in cui parlavamo era così intenso che coinvolgeva anche le persone sedute vicino a noi.

   Qualcuno si è alzato per salutare un ragazzo che era appena arrivato e che ha subito raggiunto Alessio a capotavola: «Scusa il ritardo, ero in una riunione che sembrava non voler finire mai».

   Lo conoscevo di vista, tutti lo chiamavano Gabo e aveva lavorato con Alessio, nello stesso studio di Anna.

   Era un ragazzo sorridente, di quelli che seducono chiunque in un istante.

   «Tutto quello che sa questo ragazzo gliel’ho insegnato io» ha detto Alessio, mentre lui restava lì in piedi davanti a noi a incassare con un sorriso a trentatré denti.

   «È vero, mi ha insegnato tutto. Posso dire di essere la sua brutta copia.»

   Un ragazzo si è spostato: «Vieni, siediti qui, c’è un bicchiere di vino che ti aspetta».

   Prima di farlo, lui si è avvicinato ad Anna e le ha dato un bacio sulla bocca.

   Ho sentito un colpo allo stomaco, come se lei fosse la mia fidanzata e l’avessi appena vista tradirmi con un altro.

   In un attimo ero passato dalla gioia di averla trovata al dolore profondo di averla persa.

   Gabo è andato a sedersi nel gruppo di quelli con cui sarei stato io se non avessi visto Anna, quelli con cui si ride e ci si diverte.

   Io e lei abbiamo continuato a parlare, ma qualcosa era cambiato. C’era imbarazzo, anche da parte sua, forse perché, nonostante cercassi di nasconderlo, aveva visto quanto ci fossi rimasto male.

   A metà cena mi sono alzato con una scusa e sono andato vicino a degli amici, lontano da Anna, e lontano dal suo fidanzato.

   Più lo osservavo, più mi convincevo che per lei era l’uomo sbagliato. Una cosa mi stupiva di lui: non le stava vicino, non era preoccupato o geloso. Era rilassato e si godeva la serata. Alla fine mi sono ubriacato e un amico mi ha riaccompagnato a casa.

   La mattina seguente, mentre smaltivo il postsbornia, tutto sembrava difficile, il mal di testa, la nausea, la bocca secca e disidratata. La tristezza della sera prima era ancora presente, un ragazzo di nome Gabo stava con la donna della mia vita. Perché lei lo era, non avevo dubbi.

   Lo era come lo sono tutte le persone che ci attraggono, che ci piacciono e che non abbiamo avuto l’occasione di conoscere veramente. Forse non dovremmo incontrarle più e lasciarle vivere di perfezione nella nostra testa.

3

Un paio di mesi dopo dovevo andare dal dentista. Era pomeriggio e cercavo un taxi. Chiamavo e non ricevevo risposta, poi mi sono ricordato che a due isolati c’era una stazione. Quando sono arrivato era vuota. Mentre tentavo di trovare una soluzione, poco più avanti si è fermato un taxi, l’ho inseguito e avvicinandomi ho visto la testa di qualcuno sporgersi tra i due sedili davanti, per pagare la corsa.

   Ho aspettato che uscisse dall’auto.

   «Anna?»

   Lei mi ha guardato sorpresa, eravamo l’uno davanti all’altra, imbarazzati.

   «Che ci fai qui?» ho chiesto.

   «Sto andando da un cliente, e tu?»

   «Dentista. Pensa che gioia.»

   Ha sorriso.

   Non sapevamo che dire, si capiva dalle pause tra le nostre risposte. Era ancora più bella di come la ricordassi, lei non lo sapeva, ma per settimane mi ero ripetuto che era la donna della mia vita.

   «Le serve il taxi oppure no? Se non le serve può chiudere la portiera!» ha detto il tassista infastidito.

   Io e Anna ci siamo guardati un istante, poi ho risposto: «No, grazie, non mi serve».

   Poi le ho detto: «Ti accompagno».

   Lei ha indicato il portone davanti a noi: «Io sono arrivata, vado qui».

   «Ah sì, certo» ho detto sentendomi un idiota.

   Prima di scomparire dietro il portone mi ha detto: «Se ti va possiamo vederci più tardi, magari per un aperitivo».

   Non me l’aspettavo.

   «Certo.»

   «Prendi il mio numero, quando abbiamo finito le nostre cose ci scriviamo.»

   Mi piaceva la sua intraprendenza, era meno imbranata di me.

   Ho chiesto al dentista di non esagerare con l’anestesia, non volevo andare all’incontro con Anna con un labbro penzolante a sbiascicare parole.

   Da quell’incontro del tutto occasionale abbiamo iniziato a frequentarci. Ho scoperto che lei e Gabo non stavano più insieme, che lui, al contrario di come lo avevo immaginato, non era per nulla tranquillo, anzi, era molto geloso. Dopo la cena da Alessio, tornando a casa le aveva fatto una scenata da matto e non le aveva rivolto la parola per giorni. Improvvisamente, il ragazzo che mi era sembrato così sicuro di sé non lo era affatto.

   La nostra storia nasceva da una coincidenza e mi faceva pensare che eravamo dentro a un disegno più grande. “Trasformeremo il caso in destino” diceva Jeanne in Ultimo tango a Parigi, e forse è quello che inconsciamente avevo desiderato.

4

Rivedevo il suo viso appena sveglia, rivedevo come mescola il caffè, come inclina la testa quando dico una cosa che non capisce o che non si aspetta, quando smette di masticare e sorride se si accorge che la sto osservando.

   Se pensavo a tutto questo le nostre difficoltà diventavano sospese, irreali, e faticavo a vedere la separazione come una possibilità.

   Quando l’ho conosciuta tutto era limpido: ci amavamo. Eppure, dopo gli anni passati insieme, non sapevo più nemmeno cosa significasse, e non capivo come fosse possibile. Sulle questioni fondamentali della vita non sapevo più cosa pensare: l’amore, la felicità, Dio, gli ufo.

   Io e Anna eravamo pieni di energia, avevamo mille progetti, un futuro da costruire e l’idea di raggiungere tutte queste cose ci eccitava. Poi è stato come se ci fossimo bloccati, non sapevamo dove stavamo andando, non c’era più una meta.

   «Come ci vedi tra dieci anni?» mi ha chiesto una sera sul divano. Non ero preparato.

   «Ci devo pensare» ho risposto per prendere tempo, ma quando ho cercato di immaginarci ho visto solo i noi di adesso e alla fine le ho detto: «Come ora, ma più vecchi».

   Non dimenticherò mai la delusione sul suo volto.

   La mattina seguente, in auto verso l’ufficio, volevo chiamarla e dirle che avevo trovato una risposta, magari qualcosa di romantico, una frase da film, invece niente, non mi è venuto nulla.

   Non c’era più un futuro eccitante, non dovevamo cercare casa, arredarla, preparare la stanza per il primo figlio, non dovevamo ampliare il nostro raggio d’amore. Sembrava più importante riuscire a mandare avanti ogni cosa, eravamo concentrati a tenere tutto insieme. Forse avremmo dovuto fare subito un altro figlio, prima di arrivare a quel punto, per avere la conferma che ciò che avevamo era ciò che volevamo. Forse era tardi. Il fatto che nemmeno ne parlassimo significava già qualcosa. La fatica e lo stravolgimento che aveva portato Matteo ci avevano fatto capire che a un altro figlio non avremmo retto. Saremmo franati.

   All’inizio tornavamo a casa dal lavoro ed eravamo felici di rivederci, di cucinare insieme. C’era sempre musica, una bottiglia di vino rosso aperta, baci sul collo, sfioramenti, risate. Non serviva un’occasione speciale per festeggiare, la scusa per farlo era stare insieme, essere felici. Anche i silenzi erano condivisi, non pensavo mai a qualcosa per i fatti miei, ma rimanevo sempre connesso con lei.

   Non ricordavo la prima volta che non avevamo acceso la musica, che la radio era rimasta spenta o che non avevamo aperto il vino, quando erano finiti gli sfioramenti e i baci sul collo. Doveva essere stato un processo lento.

   E poi un giorno un “No grazie, non mi va di bere, sono stanco, se bevo mi addormento a tavola”.

   E poi un giorno invece di accarezzarla ho pensato che avrei potuto accarezzarla, ma una sorta di stanchezza, di resa, mi ha impedito di farlo. Ero annoiato.

   E poi un giorno, durante una discussione in cui se ne è andata nell’altra stanza, non mi sono alzato per seguirla, nonostante sapessi che se l’aspettava. Sarebbe bastato quel gesto e le cose si sarebbero sistemate, ma non l’ho fatto.

   I silenzi sono aumentati, si sono fatti sempre più presenti. Le prime volte avvertivo un po’ di imbarazzo, poi lentamente mi sono abituato e hanno iniziato a piacermi, fino a diventare un angolo dove rifugiarmi.

   All’improvviso mi sono ritrovato a vivere in una distanza densa, come una gelatina, a cui non sapevo dare un nome perché non l’avevo mai conosciuta prima. Uno spazio che ci teneva costantemente separati e con il quale avevo imparato a fare i conti.

   Dopo tutti gli anni insieme, mi capitava di non essere totalmente rilassato con lei. Avevo paura di dire una parola sbagliata e di ritrovarmi in una di quelle giornate in cui non parlavamo, c’era tensione e i silenzi diventavano un pugno nello stomaco.

 

Continua a leggere… 

 

L’autore.

Fabio Volo.

Fabio Volo, scrittore, attore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e televisivo, doppiatore (è sua la voce del buffo guerriero dragone Po nella serie DreamWorks Kung Fu Panda). Fabio Volo, all’anagrafe Fabio Bonetti (Calcinate, Bergamo, 1972), è cresciuto a Brescia. Ha cominciato a lavorare, dopo la licenza media, nella panetteria del padre, a Brescia, per poi tentare, con successo, la strada dello spettacolo, prima come cantante e in seguito conduttore nelle radio.  Dopo sono arrivati anche la televisione e il cinema (l’esordio sul grande schermo è nel 2002 nel film Casomai di Alessandro D’Altari, con Stefania Rocca coprotagonista, interpretazione che gli vale la candidatura al David di Donatello). Poi la scrittura: il suo primo libro è Esco a fare due passi, pubblicato nel 2001 che vende oltre 300.000 copie. I suoi romanzi sono arrivati a vendere oltre 5 milioni di copie nella sola Italia e sono stati tradotti anche in altre lingue.

 

 

 

 

 

  • Una gran voglia di vivere
  • Fabio Volo
  • Editore: Mondadori
  • Formato: EPUB con DRM
  • Testo in italiano
  • Compatibilità: Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
  • Dimensioni: 739,04 KB
  • Pagine della versione a stampa: 216 p.

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Un commento

  1. Daa

    2 Novembre 2019 a 0:43

    “Una bugia sospesa, la Nostra storia.”

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