Guardandoci intorno con sguardo attento possiamo notare un mondo in cui le persone sono sempre più malinconiche
UNA VITA IN VACANZA
di Alberto Giuseppe Pilotto
Il sogno di vita dell’uomo postmoderno sembra consistere proprio in questo: riempire ogni momento di piaceri immediati, sensibili e disimpegnati, sempre diversi ma accomunati dalla loro in-consistenza
Guardandoci intorno con sguardo attento possiamo notare un mondo in cui le persone sono sempre più malinconiche, le quali vivono una vita sempre più allo sbando, senza uno sguardo al futuro, preoccupate solo del presente. Vengono ricercati piaceri immediati capaci di alleviare la sofferenza nei momenti di noia, di distrarre, ma che dopo essere passati lasciano il tempo che trovano. La vita di ogni giorno viene vista come un obbligo, un dover riempire il tempo e magari guadagnare soldi da spendere solo in vista del prossimo piacere, del tempo libero, nel rilassarsi senza pensieri, senza pensare. Tale tempo libero non viene quasi mai speso in qualcosa che miri ad edificare la persona, ma solo nel divertimento, nell’ozio fine a se stesso. Il risultato? Non si ama più la propria vita, ossia la propria quotidianità, le cose di tutti i giorni, ma solo ciò esorbita dalla routine. Il piacere non risiede in quello che si fa e che si costruisce ogni giorno a piccoli passi, ma nel piacere facilmente ottenuto spendendo i soldi ottenuti col proprio lavoro quotidiano.
Il sogno di vita dell’uomo postmoderno sembra consistere proprio in questo: riempire ogni momento di piaceri immediati, sensibili e disimpegnati, sempre diversi ma accomunati dalla loro in-consistenza.
«Una vita in vacanza», come cantava Lo Stato Sociale all’ultimo festival di Sanremo.
L’uomo postmoderno non ama chi è, non ama la propria vita, che è appunto la quotidianità, ma ama tutto ciò che al contrario devia da essa e nel contempo gli fornisce piacere.
La vita postmoderna viene magistralmente descritta da Nicolai Hartmann: «Viviamo da sensazione a sensazione. E si infiacchisce il nostro acume, si ottunde il nostro sentimento del valore, nella caccia al sensazionale. L’uomo [post]moderno non è solo quello della fretta senza riposo, ma è anche lo stordito, svagato, l’uomo che nulla più eleva, prende, e commuove interiormente. Di ogni cosa conclude con un sorriso ironico e stanco. Anzi, fa una virtù della sua superficialità morale. Il nihil admirari, la sia incapacità alla meraviglia, alla sorpresa, all’entusiasmo, al rispetto, è da lui elevato a costume stabile e voluto. Scivolare sopra tutte le cose senza essere toccati da nulla, è un comodo modus vivendi. Perciò si compiace della posa di superiorità, che nasconde la sua interiore pochezza.» (Nicolai Hartmann, Fenomenologia dei costumi)
Il problema risiede allora proprio in questo: nel vivere la vita solo in vista di quei brevi momenti di piacere e di spensieratezza, e nel godere solo di essi. Ma come è possibile avere una vita felice se la maggior parte del nostro tempo, ossia la routine, viene vissuta come un peso? Può la felicità risiedere in quei meri momenti di spensieratezza che ci concediamo ogni tanto? Può la realizzazione di una persona misurarsi dalla quantità del suo volgare ozio, dalla quantità di feste a cui prende parte ubriacandosi e concedendosi ad ogni lusso e lussuria? E una vita interamente composta dalle suddette occupazioni può dirsi felice?
In verità, no. Una vita composta da soli palliativi alla noia quotidiana, di soli divertimenti e piaceri sensibili, per ricordare la metafora schopenhaueriana, “oscilla continuamente tra dolore e noia” perché continua a ricadere dentro ciò da cui cerca di fuggire, dato che per fuggire da questa dolorosa noia del quotidiano utilizza cure che funzionano solo momentaneamente: come usare un analgesico per curare un tumore.
Al contrario la felicità e la realizzazione di ognuno di noi dovrebbero consistere proprio in questo: nel costruire qualcosa con e nella nostra quotidianità, perché solo tramite la ripetizione e il lento lavoro di molti giorni si può costruire qualcosa di importante. “Roma non è stata costruita in un giorno” dice uno dei nostri proverbi, e questo perché le cose belle, quelle veramente durature ed importanti, richiedono la dedizione e il tempo di tutti i giorni. La mentalità del “tutto e subito” al contrario si rivela doppiamente contraddittoria: in primo luogo perché i piaceri sensibili che riesce a procurare si esauriscono velocemente, e in secondo luogo perché la ricerca di essi rovina il tempo restante, che viene impiegato solo in vista di questi.
Una vita che non abbia altro scopo che i piaceri più immediati e passeggeri è una vita ignobile per l’uomo, che gli impedisce di costruire qualcosa di duraturo, qualcosa che abbia valore e si mantenga stabile, sacrificando tutto ciò a quei piaceri disimpegnati che si addicono alla pigrizia d’animo dell’uomo postmoderno. Egli sembra quindi che per la sua vita ricerchi solo l’ozio, ma non quell’otium litteratum tanto caro ai romani e che permetteva di dedicarsi allo studio, alla formazione di una cultura e alla formazione personale. Sembra invece che si ricerchi un’otium più simile agli Ozi di Capua dell’esercito cartaginese, che invece di rinvigorire le truppe le fece rammollire in mezzo alle troppe comodità offerte dalla città.
È necessario quindi da una parte ritrovare il piacere della routine quotidiana, unico modo per poter costruire qualcosa di durevole, e dall’altra utilizzare il proprio tempo libero, che in greco viene detto σχολή [pr. scholḗ] e che rimanda al nostro attuale italiano scuola, appunto per quelle attività che innalzano lo spirito umano, capaci di educarlo e non di riposarlo solamente. Per il riposo rimane il sonno, mentre il sonno della ragione, si sa, genera mostri.