Lo scrivano ne ha abbastanza di essere gentile
UN’AGENDA PER LA VITA
Lo scrivano ne ha abbastanza di essere gentile, di parlare avendo cura di non offendere. È il momento dello spadone, non del fioretto. È tempo di chiamare le cose con il loro nome, senza infingimenti, fumisterie, e perdere il timore di ferire le delicate orecchie di un tempo infame. È l’ora di abbandonare l’Occidente moribondo e navigare per l’alto mare aperto. È questa civilizzazione agonizzante ad aver abbandonato se stessa; non resta che lasciare la scialuppa e provare – rari nantes in gurgite vasto – (1)a raggiungere Itaca con le ultime forze.
La morte del povero Archie – il bambino inglese a cui le “autorità” hanno staccato la spina, decretandone la morte – si chiama omicidio, assassinio, uccisione. Hanno osato asserire che la morte del dodicenne è stata decisa “nel suo interesse”. La menzogna come criterio, l’assassinio del debole come metodo. I valori dell’Occidente: gli interessi e il profitto della classe dirigente. Poco è cambiato dai tempi della Compagnia delle Indie, salvo il nome, che adesso è democrazia.
I continui sbarchi di africani sulle nostre coste, con l’avallo del governo e il favoreggiamento di ricche organizzazioni pagate da filantropi alla George Soros, si chiama invasione. Preferire la propria gente, i propri costumi a quelli stranieri non è razzismo, è senso comune di ogni popolo vivo. Essere è difendersi, diceva Ramiro De Maeztu. Ma che dire se chi bombarda Gaza si difende, mentre chi lancia razzi dall’altro lato è un terrorista? L’eutanasia (la buona morte…) al di là di casi pietosi sui quali prospera una narrazione truffaldina, è l’omicidio di un poveretto disperato in quanto fragile, ammalato, povero, solo, depresso.
L’aborto non è un diritto universale, ma una facoltà attribuita dalle leggi contemporanee. La denatalità voluta, perseguita, propagandata porta miseria, sterilità morale, culturale, pulsioni egoistiche e di morte, inevitabile sostituzione etnica, fine della civilizzazione d’origine. La “gestazione per altri” – l’utero in affitto – non è un atto di altruismo, ma un ignobile sfruttamento del ricco sul povero. L’ecologismo trasformato in rancore contro l’uomo è un’ideologia mortuaria promossa da oligarchie decise a porre a carico delle masse le ristrutturazioni economiche e antropologiche decise sulla nostra pelle.
Governare attraverso la paura del virus, imporre trattamenti sanitari di cui è dimostrata la scarsa affidabilità, chiamati vaccini anziché terapie geniche dagli effetti non conosciuti, si chiama dittatura. Si chiama censura l’esclusione dal dibattito delle idee sgradite e l’impossibilità di accedere allo spazio pubblico per chi porta avanti temi divisivi e perturbanti. Divisione e perturbazione che dovrebbero essere la normalità per democrazie narcisiste intente a contemplare il proprio ombelico. Mancanza di libertà, disponibilità del corpo fisico: si chiama ricatto, estorsione, l’obbligo di esibire un lasciapassare per accedere ai luoghi del lavoro e della vita.
Il Grande Reset è la cancellazione generale, ma dargli il suo nome potrebbe seminare il dubbio tra il popolo/plebe. Cancellazione, tabula rasa, significano rifiuto di tutto, ignoranza programmata, distruzione della vocazione sociale e comunitaria dell’uomo. Un’agenda probabilmente criminale.
Non dire la verità sulla guerra, il potere della finanza e della tecnologia, negare anche l’evidenza, si chiama mentire. Togliere a ogni singolo uomo la proprietà di se stesso si chiama ridurre in schiavitù. L’opinione comune, veicolata per coazione a ripetere dalla macchina della propaganda, è una menzogna organizzata che si finge verità. Il pensiero unico è anche il suo contrario: un unico pensiero, quello che conviene al potere. L’argomento di Trasimaco nella Repubblica di Platone. Infatti Socrate, che non separava la verità dall’etica e dalla realtà, antagonista del servo dei potenti, morì suicida in carcere.
Bisogna essere in sintonia con i tempi, dicono. La nostra opinione è opposta. Pazienza se riceveremo il pollice verso, simbolo dell’assassinio del portatore di convinzioni scomode. È facile passare alla maggioranza, scriveva Seneca a Lucilio due millenni or sono. Siamo persuasi che essere uomini del proprio tempo significhi spesso coincidere con la maggioranza degli imbecilli del momento.
Nei primi decenni del secolo XX Bertrand Russell, filosofo, scienziato e membro delle élite anglosassoni disse, a proposito delle nuove scienze psicologiche, che si sarebbe potuto far credere che la neve è nera. La missione è compiuta, l’essere umano è stato trasformato in scimmia parlante che imita e –appunto- scimmiotta. Il Mercato (maiuscolo!) è il luogo del massimo relativismo morale e del massimo assolutismo personale: per il profitto tutto è lecito, anche compravendere gli uomini. I conclamati “diritti” non hanno senso se non sussistono doveri, individuali e comunitari. Altrimenti diventano il comodo alibi per capricci, egoismo, scarico di responsabilità. Ma “comodo” è uno degli aggettivi più alla moda. Chissà quanti mi piace, quanti pollici alzati sulle reti sociali.
I nuovi diritti, offerti dall’alto – già questo dovrebbe destare sospetti- riguardano la sfera soggettiva e pulsionale. Non possono più essere discussi, non diciamo negati, L’argomento più insidioso- debolissimo alla radice, fortissimo per la sua capacità di impedire un dibattito di merito- è il seguente: tu non hai l’obbligo di abortire, sposarti con un altro uomo, adottare o comprare figli attraverso le tecnologie riproduttive artificiali, ma non puoi negare quel “diritto” agli altri. Non devi necessariamente suicidarti con la siringa dell’ASL se stai male, ma sei privo di compassione se neghi a qualcuno un “diritto”. Se ti senti in sintonia con il tuo “sesso biologico” (??!!) perché impedire a un altro di rivendicare la sua fluidità?
Rispondere sarebbe facilissimo, a partire dalla definizione di diritto, ma costringerebbe alla vana impresa di usare codici, linguaggi, principi espiantati a forza dalla mente collettiva. Ogni tanto capita di respirare aria pulita. Il presidente ungherese Viktor Orbàn, in un discorso in Texas, l’ha detta grossa. Ha osato affermare verità autoevidenti che nessuna civiltà aveva mai pensato di revocare in dubbio: la madre è donna, il padre è uomo. Si è permesso di esigere che una sottocultura ripugnante lasci stare i bambini, tenendoli al riparo dalla finta disforia di genere, dalle balzane teorie gender, dal farne bersagli di indottrinamento. Per Gesù Cristo “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”.
Il presidente magiaro, bestia nera del mainstream, ribelle per fedeltà ai principi, è andato oltre. Favorito dal genius loci, afferma che non abbiamo bisogno di “gender”, ma di “rangers”, i mitici poliziotti texani. Più Chuck Norris (l’attore protagonista della notissima serie Walker Texas Rangers) e meno drag queen (gli “artisti e le persone, generalmente omosessuali o transessuali, che si esibiscono in spettacoli di varietà travestiti da donna, sfoggiando un trucco e un abbigliamento volutamente appariscenti”). A scanso di equivoci, la definizione- la prima rintracciata su Google- proviene dall’Oxford Dictionary. Nell’Occidente gaio e morituro queste sono le nuove bestemmie.
A costo di sconcertare, osiamo affermare che in periodo elettorale poco ci importa delle politiche sociali, economiche e fiscali degli uni e degli altri: sono pressoché sovrapponibili e comunque c’è il pilota automatico chiamato virtuosamente “vincolo esterno”, un’altra ipocrisia che maschera la verità della dipendenza. Nullo è il nostro interesse per le politiche estere dei vari schieramenti, in gara a chi è più atlantista, mentre la relazione con i poteri transnazionali, l’UE e la cupola finanziaria, oscilla tra l’acquiescenza prona (PD e alleati) e un evanescente sovranismo da tamburi di latta che ricorda una frase – mai pronunciata- attribuita a Franceschiello (Francesco II di Borbone non fu una macchietta, ma la storia la scrive chi vince) rivolto all’esercito in rotta: facite ‘a faccia feroce.
Noi vogliamo chiedere alle parti politiche che cosa pensano sui temi biopolitici e bioetici. Viviamo immersi nel biopotere (potere sulla vita), dovrebbe interessarci l’orientamento di chi vuole il nostro consenso. Dietro lo schermo della libertà negativa (libertà “da”) e il pretesto dei diritti, il pensiero dominante estende il potere ai corpi. Dittatura sanitaria per l’efficienza produttiva, seguita dalla rottamazione del malato, ossia l’improduttivo, il costo sociale. Esclusi i progressisti e i liberal– ma non i socialisti e i comunisti – le destre credono nell’agenda denatalista delle oligarchie, secondo cui siamo troppi sul pianeta, oppure reputano positiva la nascita di nuovi italiani, il che conviene all’economia, alla previdenza, al benessere, come ha dimostrato con dovizia di argomenti concreti Ettore Gotti Tedeschi? Ogni idea, ogni discorso, valore o principio decade se manca il soggetto, ossia il popolo a cui applicarli.
Parliamo chiaro: o ritroviamo un’agenda di vita e per la vita oppure andiamo verso il nichilismo, la cancellazione, il reset, sinonimi eufemistici per non dire la parola tabù, morte. La morte di un popolo, di una civiltà, e, naturalmente, dei suoi componenti. Impediti a nascere (aborto diritto universale); inoculati con sostanze che potrebbero significare morte in differita, disturbi, sterilità o chissà che altro; indotti a suicidarci in caso di malattia, vecchiaia, disagio morale o materiale, curati poco e male da una sanità al servizio del profitto delle industrie e degli investitori, spinti alle più svariate dipendenze (alcool, farmaci, droghe, gioco, sesso, sballo, finte trasgressioni, consumo, divertimento compulsivo); persuasi che non esista la normalità sessuale e quindi incitati sin dall’infanzia all’omosessualità, alla transessualità e alla confusione.
Contaminazione una volta era parola negativa, richiamava l’infezione, la corruzione, l’inquinamento, anche morale. Oggi contaminarci, cioè confonderci, cambiare pelle al fischio del padrone, è un gioioso imperativo esistenziale.
È un’agenda di morte che lavora alla fine dell’Homo sapiens, sostituito dalla macchina e dall’artificiale. È lecito sapere come la pensano in materia (se la pensano) coloro che si candidano a dirigere il nostro futuro? Un’agenda per la vita non significa spostare fondi a favore della famiglia, dei diritti sociali, della natalità. È anche questo, ovvio, ma impone di ribaltare le idee, i luoghi comuni, le priorità di una popolazione dipendente delle comodità vere o finte, della mistica dei diritti, del soggettivismo, che non vede e non guarda oltre il naso perché diseducata a farlo.
Irreale il dialogo con i progressisti, che dicono gli altri? Per i liberali di ogni tendenza l’argomento è fastidioso e improponibile: conta il solo benessere materiale individuale (il loro, chiaro) e nessuna etica è vera. Ciascuno coltivi la propria, se non può farne a meno, ma non disturbi i mercati, il lavoro dei contabili e la corsa dello “sviluppo”, un mantra a cui fanno sacrifici umani. Altrui: il povero Archie sacrificato al bilancio sanitario, i poveri, chi non ce la fa perché “inadeguato”.
I conservatori tengono molto a conservare gli spicchi di potere conseguiti e sfuggono come la peste i temi “divisivi”. Ma il sale della libertà è la divisione, il dibattito tra contrari. Accettano le follie gender nelle scuole, l’omosessualismo – garanzia di denatalità e distruzione di quel che resta della famiglia- sono d’accordo o no sul mantenimento dell’obiezione di coscienza abortiva? Pensano che l’eutanasia sia una soluzione per la malattia, il disagio sociale e- diciamolo chiaro- per i bilanci sanitari e previdenziali? Credono nei passaporti sanitari e nella digitalizzazione della persona umana? Vogliono una società ancora umana, o aderiscono all’agenda antiumana delle oligarchie?
Sono domande decisive, dalle quali dipende l’avvenire di tutti, come popoli e come persone. Pochi ne parlano, e in effetti è difficilissimo trattare temi che toccano le corde più intime della condizione umana. Gli ultimi terribili anni hanno dimostrato che la vita non è più un principio indisponibile per chi comanda e per chi ha l’ingenuità di crederci.
Un’ agenda per la vita è l’unica speranza di futuro per il nostro popolo e forse per la specie umana. La domanda fa tremare le vene e i polsi, poiché la risposta non è più scontata: intendiamo davvero difendere la vita, ossia noi stessi? Se la risposta richiede troppi distinguo, il nemico ha vinto. Significa che siamo come Groucho Marx in un memorabile sketch. Dopo aver esposto le sue idee, concluse: “+questi sono i miei principi. Se non vi piacciono, ne ho degli altri”. Noi no.
Roberto PECCHIOLI
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