Uomini veri e uomini per tutte le stagioni. Oggi i “Mal riusciti” come li chiamava Nietzsche hanno preso il sopravvento; e anche nella neochiesa di Francesco. Oggi è necessario che i veri uomini, se ce ne sono, battano un colpo.

 

Uomini veri e uomini per tutte le stagioni

 

 

Il discrimine fondamentale fra gli esseri umani è quello che separa i veri uomini dagli uomini per tutte le stagioni. I veri uomini hanno una sola parola, una sola fedeltà, un solo modo di vivere: quello che ignora furbizie e compromessi. Sono loro che hanno fatto il mondo, creato la scienza, l’arte, il pensiero, le leggi, la giustizia, in genere pagando di persona un alto prezzo. Gli altri, la massa dei furbi e degli opportunisti, sfrutta la scia tracciata da loro: da buoni parassiti, gli uomini per tutte le stagioni tessono le loro tele bavose e poi aspettano che qualcuno vi s’impigli. Non sanno creare, non sanno osare, non sanno cosa sia la lealtà. Promettono e non mantengono; giurano e spergiurano; dicono e disdicono; chiedono e non restituiscono; declamano e non agiscono; incominciano e non finiscono; garantiscono e poi si dileguano.

[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Uomini veri si diventa o si nasce?[/stextbox]

   Uomini veri si diventa o si nasce? Senza dubbio c’è un fondo personale, dovuto sia al carattere che all’educazione ricevuta; ma anche la forza di volontà può far molto, se la materia prima è buona e se c’è la sensibilità, che è prima di tutto un dono naturale, che è possibile raffinare e arricchire, ma non creare dal nulla. Ciò premesso, bisogna aggiungere che una società sana lavora per educare uomini veri; e così è stato, difatti, sino agli anni del grande sbandamento, verso la metà XX secolo, quando la finanza ha vinto la Seconda guerra mondiale e ha imposto il suo stile di vita, edonista e americaneggiante, in quasi tutto il mondo. L’edonismo di massa ha prodotto la cultura dei diritti a senso unico e dell’azzeramento dei doveri; il senso di responsabilità è stato messo in soffitta; qualunque tanghero e cialtrone in torto marcio, si è sentito incoraggiato a far la voce grossa, ad alzare il ditino, a sporgere querela, a far valere chi sa quali principi oltraggiati. Ed è incominciata la selezione alla rovescia: la selezione dei peggiori. La società ha abolito il merito, ha abolito i premi e i castighi, ha incoraggiato i pigri e i parassiti, e così ha tirato su un paio di generazioni di irresponsabili, viziati e figli di papà. Questo è il vivaio di coltura degli uomini per tutte le stagioni. I quali non farebbero tutto il danno che effettivamente provocano, se, come avveniva un tempo, la società sapesse metterli al loro posto: vale a dire nei gradini più bassi, non tanto in senso sociale quanto in senso morale, dell’intero edificio sociale. Finché gli uomini e le donne dozzinali sono relegati in posizioni subordinate, senza potere dirigente, senza autorità politica, economica o amministrativa, poco male. Cialtrone più, cialtrone meno; sfaticato più, sfaticato meno: la società è sempre andata avanti, a dispetto del fatto che una quota dei suoi membri ha sempre amato prendere più di quel che sia disposta a dare, a promettere senza mantenere, a esigere dagli altri senza mai esser capace di sacrificarsi.

[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Una selezione alla rovescia, ovvero: la selezione dei peggiori? La società ha abolito il merito, ha abolito i premi e i castighi, ha incoraggiato i pigri e i parassiti, e così ha tirato su un paio di generazioni di irresponsabili, viziati e figli di papà![/stextbox]

   Oggi le cose sono giunte al punto di saturazione perché gli uomini per tutte le stagioni, i pigri, i profittatori, i meschini, gli invidiosi, hanno preso il sopravvento sia numericamente, sia negli ambiti dirigenti e decisionali. Banche, industrie, aziende agricole, università, case editrici, amministrazioni locali, fisco, giustizia, sport: ovunque gli uomini di seconda scelta, mal riusciti, come direbbe Nietzsche, si sono imposti e hanno arraffato le leve del potere. Essendo però quel che sono, cioè delle pretenziose nullità, da quando essi hanno preso il sopravvento tutto va male: finanza, economia, cultura, magistratura, sport, eccetera. Tutto va male perché gli uomini per tutte le stagioni non si sognano nemmeno di fare quel che va fatto, ma fanno quel che piacerà al pubblico; non si prendono le loro brave responsabilità, le scaricano a pioggia sugli altri; non si vogliono compromettere assumendo decisioni precise, ma bordeggiano, traccheggiano, gironzolano su e giù, girano attorno alle questioni, fingono di fare e poi non fanno, dicono che faranno e tergiversano, insomma badano solo a conservare poltrone, stipendi e privilegi. Le due istituzioni più importanti della vita sociale, dopo la famiglia, cioè lo Stato e la Chiesa, sono cadute alla mercé degli uomini per tutte le stagioni. Se così non fosse, ora non vedremmo entrambi andare alla deriva. Qualcuno si alzerebbe in piedi e, anche a costo di rischiare la poltrona, denuncerebbe le cose che non vanno e porrebbe mano a disboscare la foresta lussureggiante dei parassiti, degli inutili, degli intrallazzatori e dei voltagabbana. Invece, niente. Al contrario, vengono promossi e fanno carriera soprattutto i funzionari, i magistrati, i manager pubblici, i giornalisti, i professori universitari che stanno allineati e coperti; che dicono quel che è politicamente corretto e tacciono quel che è politicamente scorretto; che gettano secchi d’acqua sul bagnato ma non si azzardano a bagnare con una solo goccia le piante più preziose, che stanno morendo di sete. E se qualcuno, ogni tanto, tenta di fare il suo mestiere (e il suo dovere); se qualcuno si espone, esce dalle quinte, agisce e denuncia la zizzania, in un modo o nell’altro riescono a toglierlo di mezzo, a metterlo a tacere, a neutralizzarlo. O lo promuovono e subito dopo lo trasferiscono; o lo mettono sotto inchiesta; o lo distruggono con la macchina del fango; mentre nei casi più gravi, cioè qualora non si voglia assolutamente arrendere, lo fanno eliminare fisicamente.

[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Hanno portato la Chiesa di Cristo sulle soglie di una guerra civile interna, con la prospettiva di un vero e proprio scisma, che nei fatti c’è già![/stextbox]

   La stessa dinamica è in atto nella chiesa. Dove sono gli uomini veri, quelli che hanno una parola sola, una sola fede? Un prete ordinato prima del 1965 non può non aver visto e misurato con i propri occhi la degenerazione senza precedenti che sta travagliando l’istituzione ecclesiastica, lo stravolgimento della liturgia e della pastorale, la deriva eretica e apostatica della dottrina che si esprime nel Magistero. Ma anche quelli ordinati dopo il Concilio e dopo la riforma liturgica di Paolo VI, non possono non aver visto e compreso, sulla base del semplice buon senso e di quel minimo di conoscenze che perfino gli squinternati seminari degli ultimi decenni somministrano ai futuri sacerdoti, quale immenso tradimento è in atto rispetto alla vera dottrina e all’autentico Vangelo di Gesù Cristo. Non possono non aver visto, e preso buona nota, del fatto inaudito, scandaloso, di un sedicente papa che prima pubblica un documento gravemente inficiato d’eresia, come Amoris laetitia, poi rifiuta di dare spiegazioni ai cardinali che rispettosamente glielo domandano a nome del popolo cristiano; infine si nasconde dietro l’interpretazione che di quel documento ha dato una delle centinaia e migliaia di diocesi che formano il mondo cattolico, quella di Buenos Aires. Sicché il Magistero, sacro e infallibile, è divenuto materia d’interpretazione: e dunque il migliore ermeneuta è quello che riformula la dottrina, non colui che è ripieno di Spirito Santo. Molto strano, comunque: il papa decisionista, il papa intransigente, il papa accentratore (tutto il contrario di quel che aveva promesso di essere) non si prende il disturbo di spiegare come un suo documento debba essere interpretato; lascia che lo faccia qualcun altro, empiricamente, surrettiziamente e ufficiosamente, sapendo benissimo, oltretutto, che in tante altre diocesi vige l’interpretazione opposta: il che significa mandare la chiesa allo sbaraglio, verso lo scisma o la guerra civile.

[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Un tempo l’istituto principale che formava uomini e donne veri era la famiglia: se il figlio sbagliava, i genitori lo riprendevano; se sbagliavano i genitori, intervenivano i nonni, gli zii, i cognati; nei casi più gravi interveniva il parroco![/stextbox]

   Il fatto è che, prima d’ora, un documento del Magistero solenne non era stato mai passibile di diverse e opposte interpretazioni. L’ambiguità, figlia del diavolo, incomincia a partire dal Vaticano II: qualsiasi enciclica o altro solenne documento papale anteriore al Concilio è talmente chiaro che nessuna interpreazione soggettiva è possibile. Ed è chiaro perché nessun papa, mai, ha preteso di dire la sua in materia di dottrina cattolica, ma solo di chiarire ai fedeli la dottrina di Gesù Cristo, perenne e immodificabile, quale è stata tramandata, intatta, da duemila anni a questa parte, cioè da quando il Signore Gesù l’ha fondata a prezzo del suo Sangue. E anche questo, qualcosa vorrà dire. Ora, la cosa più scandalosa di tutte è questo appiattimento, questo conformismo, questo fariseismo da parte di quanti dovrebbero far sentire la loro voce, prendersi le loro responsabilità, obiettare e far valere le ragioni della vera dottrina, insomma difendere sul serio il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo; e invece tacciono o, peggio, si schierano entusiasticamente dalla parte di chi sta cercando di cambiare tutto, perfino il modo di vestire e di pregare nei monasteri, come ha detto senza timor di Dio il cardinale Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, già noto sostenitore della teologia della liberazione (ufficialmente condannata da almeno due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) nonché tristo protagonista della persecuzione scatenata fin dal 2013 contro i Francescani dell’Immacolata. E che dire dei sinodi pilotati in anticipo per attuare una rivoluzione nella chiesa, come già si sta facendo per il prossimo sinodo sull’Amazzonia, che prenderà di mira il celibato ecclesiastico e l’unicità del sacerdozio maschile? Ebbene: di fronte a un simile disastro, a una simile anarchia, a una simile apostasia, gli uomini veri, se ce ne fossero, dovrebbero far sentire forte e chiara la loro voce: ma quanti lo hanno fatto? Appena un pugno di persone: fra i teologi, padre Antonio Livi (ora ridotto al silenzio da una grave malattia); fra i filosofi, Robert Spaemann, recentemente scomparso; fra i cardinali, Gerhard Müller e il defunto Carlo Caffarra. E tutti gli altri? Tacciono per paura o per convenienza, oppure s’imbrancano col partito al potere.

[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Oggi le cose sono giunte al punto di saturazione perché gli uomini per tutte le stagioni, i pigri, i profittatori, i meschini, gli invidiosi, hanno preso il sopravvento sia numericamente, sia negli ambiti dirigenti e decisionali: ovunque gli uomini di seconda scelta, i mal riusciti, come direbbe Nietzsche, si sono imposti e hanno arraffato le leve del potere![/stextbox]

   Come abbiamo accennato, l’istituto principale che formava uomini e donne veri era la famiglia, specialmente quella patriarcale (la famiglia mononucleare è già, per sua natura, soggetta alle cento dinamiche distruttive ed edoniste tipiche della modernità: e infatti la vediamo ovunque allo sfascio). Quando i padri e la madri si assumevano la responsabilità dei loro rispettivi ruoli, distinti e complementari, i figli avevano dei punti saldi di riferimento e una prospettiva chiara su come regolarsi nella vita: era sufficiente che si chiedessero: e mio padre, mia madre, che cosa farebbero, come agirebbero in questa tale circostanza? Non stiamo idealizzando la “vecchia” famiglia; la stiamo descrivendo. C’erano anche allora, ovviamente, quelle famiglie che oggi si definiscono “disfunzionali”, ma erano l’eccezione e non la regola, perché esistevano mille fattori correttivi che tendevano a riportare sui binari i membri di esse che sgarravano. Così, la vecchia famiglia medicava da se stessa le proprie ferite, e produceva da se stessa i necessari anticorpi per conservare la salute. Non era frequente che si ammalasse, ma se anche ciò capitava, raramente la malattia era mortale, perché la fibra di cui era fatta era di ottima qualità. Se il figlio sbagliava, i genitori lo riprendevano; se sbagliavano i genitori, intervenivano i nonni, gli zii, i cognati; nei casi più gravi interveniva il parroco, che non era un don Abbondio uso a navigare sottocosta, ma un ministro di Dio che non temeva d’inimicarsi qualche parrocchiano pur di difendere la morale cristiana.

[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Al punto in cui siamo, è necessario che i veri uomini, se ce ne sono, battano un colpo…[/stextbox]

   Altro che dare la Comunione ai divorziati passati ad altra unione, o magari ai protestanti: quelli erano preti che si sarebbero fatti ammazzare piuttosto che buttar via il Corpo di Cristo, per il capriccio di un’anima peccatrice e non pentita. Altro che abiti bianco, e magari scollato e provocante, per la sposa che si presenta all’altare con i figli a far da paggi; altro che capi scout sposati civilmente con degli uomini; altro che corsi di fidanzamento per omosessuali. Quei preti erano disposti finanche a mettersi contro i maggiorenti del paese, i parrocchiani più ricchi e più in vista, pur di difendere i principi non negoziabili: chiamavano il peccato con il suo nome, e rifiutavano l’assoluzione al confessando che non mostrasse pentimento. Insomma erano veri uomini e non uomini per tutte le stagioni, come lo sono tanti, troppi preti dei nostri giorni. Vero è che, in caso di scontro duro, potevano contare sul sostegno di tutta la chiesa, a cominciare dal proprio vescovo, che, a sua volta, agiva da uomo tutto d’un pezzo; mentre ora accade esattamente il contrario: se un prete si rifiuta di dar la santa Comunione, per esempio, a una ragazza che si presenta all’altare discinta e con il ventre scoperto, o con il seno più che generosamente in vista,  in quella parrocchia scoppia un putiferio, la stampa (a cominciare da quella sedicente cattolica) prontamente se ne impadronisce, lo gonfia alle proporzioni di un nuovo caso Galilei, al che il vescovo, prontamente interpellato, non esita a schierarsi con la povera ragazza così brutalmente mortificata e respinta, e per ribadire i valori irrinunciabili della “nuova chiesa” di papa Francesco; l’inclusione, accoglienza, il dialogo e l’apertura verso tutti, mentre il prete oscurantista e privo di misericordia viene subissato di critiche, ammonito e trasferito; e questo mentre fior di cardinali omosessuali e stupratori impenitenti di seminaristi, se la passano piuttosto bene e godono, naturalmente, del sostegno e di tutte le simpatie della stampa e delle televisioni liberali e progressiste. Ma se poi, schiacciati dall’evidenza delle prove, vengono portati alla sbarra e condannati in sede penale, allora anche la “chiesa di Francesco”, quella che detesta i muri e adora costruire solo ponti, li abbandona al loro destino, anche se hanno novant’anni e anche se le accuse sessuali si riferiscono ad atti non gravi di trent’anni prima, peraltro nemmeno provati. Tale è stato il destino di un anziano gesuita, cacciato dal suo ordine dal misericordioso generale Sosa Abascal, uno dei fedelissimi di Bergoglio; e 

Padre Arturo Sosa Abascal, superiore generale dei Gesuiti (foto CNS via Catholic Herald).

tale è stata anche la vicenda di padre Stefano Manelli, il fondatore dei Francescani dell’Immacolata (ai quali, fra le altre cose, è stato proibito di celebrare la Messa vetus ordo, il che è una grave violazione delle leggi canoniche e di uno specifico documento del predecessore di Bergoglio, il motu proprio Summorum pontificum del 2007). Perciò, al punto in cui siamo, è necessario che i veri uomini, se ce ne sono, battano un colpo…

 

 

 

 

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Immagine: Fernandel e Gino Cervi in Don Camillo e l’onorevole Peppone.

 

 

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