Dietro la retorica delle guerre vinte

VINCITORI CHE PERDONO, PERDENTI CHE VINCONO

Il Simplicissimus

Il pezzo smonta la narrazione occidentale secondo cui Israele e Stati Uniti avrebbero “rimesso al suo posto” l’Iran, mostrando invece come la realtà sul campo racconti una storia diversa: mentre la propaganda parla di vittorie, i fatti dimostrano un quadro di sconfitta strategica per l’Occidente. Attraverso un’analisi chiara e dettagliata, Marcigliano evidenzia come le infrastrutture israeliane e le aziende occidentali abbiano subito danni ingenti, mentre l’Iran, con una tattica mirata, ha colpito punti nevralgici dell’economia e della difesa. La reazione americana, più simbolica che reale, ha consentito a Teheran di liberarsi dei controlli AIEA e rafforzare la propria posizione interna ed esterna, trasformando un’apparente sconfitta in una vittoria silenziosa. Un testo che invita a guardare oltre le narrazioni ufficiali per comprendere come, talvolta, i vincitori siano in realtà coloro che hanno perso di più. (Note Redazionali)


Di fronte alla realtà, a una terribile realtà, la reazione è quella di aggrapparsi a una qualche speranza: si torna a parlare così di un qualche accordo segreto fra Trump e Putin che, al di là delle apparenze, dovrebbe salvare la pace. Il fulcro di tale ragionamento è che il presidente americano al vertice della Nato di pochi giorni fa ha costretto gli europei a comprare più armi americane aumentando i loro bilanci della difesa, opponendosi però ad ulteriori sanzioni contro la Russia. Ma credo che si tratti di tattiche dilatorie visto che ormai il fronte più caldo è in Medio Oriente. Anzi proprio questa mancanza della normale retorica trumpiana ci fa capire che tra Israele e l’Iran si tratta solo di una tregua: Netanyahu aspetta solo di essere rifornito di missili dagli Usa per poter ricominciare la guerra attendendosi che gli Stati Uniti lo seguano. E Trump ingenuamente o stupidamente con il suo attacco farsa ha rafforzato la convinzione dei sionisti di poter trascinare l’America in una guerra contro l’Iran che ha tutte le probabilità di diventare globale.

Il fatto è che mentre all’uomo della strada occidentale viene detto che l’accoppiata Israele – Usa ha messo al suo posto l’Iran, chiunque vada oltre la narrazione istituzionale sa che invece si è trattato di una netta sconfitta occidentale: a parte il primo giorno di azione con l’uccisione mirata di scienziati e generali iraniani, il resto è stata una debacle. Israele ha subito numerosi e formidabili colpi, esaurendo le proprie difese missilistiche in pochi giorni e senza particolare successo anche nelle intercettazioni. Oltre ad aeroporti civili e militari, centri scientifici  e scali marittimi elencati nella cartina di apertura, sono  state distrutte le sedi delle più importanti  industrie israeliane della difesa, Rafael ed Elbit Systems, una sede per lo studio dell’intelligenza artificiale, l’impianto di produzione di chip Intel, situato nell’insediamento occupato di Kiryat Gat a sud di Tel Aviv, strutture e fabbriche di altre aziende statunitensi in Israele, tra cui, oltre all’Intel già citata, figurano Microsoft, Tesla, Google e Apple. Non faccio questo elenco per enumerare i danni che si cerca disperatamente di tenere nascosti, ma per mostrare che Teheran non colpisce a caso, ma dove il dente duole, ovvero la fragilissima economia israeliana. D’altronde il famoso bombardamento statunitense su siti già abbandonati, ha dato all’Iran il destro per liberarsi dai controlli tutt’altro che neutrali dell’Aiea e di conservare tutto il suo uranio arricchito. A questo va aggiunto lo smantellamento di parecchie reti occidentali in funzione di quinta colonna, un rafforzamento del regime e una conoscenza più approfondita delle armi occidentali.

Insomma il bilancio di questa prima fase della guerra è ampiamente negativo per Netanyahu e per Trump, soprattutto perché l’Iran ha mostrato di non aver paura della guerra, di avere i mezzi per prevalere nel duello missilistico e che in futuro all’Occidente non basterà più abbaiare per avere ragione. Questo è dimostrato dalla distruzione delle basi americane di Al Udeid in Qatar e Ain al-Asad in Iraq, praticamente cancellate, cosa che ha indotto Trump a dichiarare la tregua mezz’ora dopo, spingendo i suoi tirapiedi a proporlo come candidato al Nobel per la pace. Un grottesco siparietto degno di questo Occidente. Ancor più curioso e sconcertante per il fatto che proprio nello stesso giorno il parlamentare ucraino Oleksandr Merezhko, che aveva candidato Trump al Nobel nel novembre dell’anno precedente, ha deciso di ritirare la candidatura, deluso dalla mancanza di appoggio a Kiev. C’è da dedurne che questo premio, ormai del tutto squalificato per non dire vergognoso, va a chi fa la guerra.

Teheran ha incassato il sostegno e la comprensione di parecchi Paesi asiatici, oltre ai Brics, mentre l’Occidente, come al solito ormai, è rimasto solo con la sua vittoriosa e patetica propaganda. Perciò adesso la Casa Bianca si dovrà decidere se entrare in guerra con l’Iran, esponendosi alla riprovazione universale e portando enormi sconvolgimenti nell’economia che colpiranno innanzitutto l’America e l’Europa, con in più il rischio concreto di perdere il conflitto, oppure trovare il modo di far fuori Netanyahu e sedare le cose per il momento. Ma in generale è venuta l’ora per gli Usa di riconoscere e accettare il ridimensionamento del loro ruolo planetario, passando dalla predazione alla cooperazione. Cosa certo non facile, dato anche che tutta l’economia americana è orientata in questo senso, ma è difficile pensare che uno come Trump possa impostare questo passaggio. È molto più facile che incappi in una guerra.

Redazione

 

 

 

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