Una virgola nel corpo. Una pausa per ritrovare l’umano.

VITTORIO LINGIARDI: IL CORPO, L’UMANO E LA POESIA PERDUTA

Sara Campisi

In Corpo, umano (Einaudi, 2024), Vittorio Lingiardi ci invita a fermarci — non davanti a un punto fermo, ma a una virgola. Una pausa breve, necessaria, per tornare a osservare il corpo non come macchina, strumento o ideologia, ma come luogo vivo dell’esperienza e della vulnerabilità. Psichiatra, poeta e scrittore, Lingiardi intreccia con rigore e grazia i linguaggi della scienza, della filosofia e dell’arte per restituirci la complessità del nostro essere incarnati. In un tempo in cui il corpo è continuamente esposto, modificato, digitalizzato, Lingiardi ci chiede: cosa resta dell’umano quando il corpo diventa superficie e performance? La risposta, forse, si trova proprio in quella virgola: uno spazio sospeso dove la poesia — e l’umano — possono ancora esistere. (f.d.b.)


Corpo, umano(1) (Einaudi, 2024) è l’ultimo lavoro dello psichiatra e scrittore Vittorio Lingiardi: un’indagine trasversale sul tema del corpo che intreccia, con pazienza e maestria, saperi e orizzonti appartenenti ai più disparati campi della conoscenza umana — scientifico, umanistico, digitale.

Se la maggior parte delle ricerche si innestano in un punto di domanda, l’esplorazione di Lingiardi prende avvio da una virgolaCorpo, umano — una pausa che apre uno spazio di riflessione, partendo dal corpo e dal tentativo di definirlo, per poi sospingerci verso quell’aggettivo che gli è sempre più estraneoumano. D’altronde, in un’epoca in cui ideologia e tecnologia hanno trasformato il corpo in un campo di battaglia, sottoposto a pretese e offese costanti, è lecito chiedersi: quanto di umano è ancora rimasto nei nostri corpi? Quanta umanità sono ancora in grado di evocare?

Rispondere a questi interrogativi significa restituire centralità al corpo. Non solo riportandolo al centro del discorso, ma soprattutto riappropriandoci della sua poesia. Un percorso che ci invita a riscoprire i sentieri tracciati dall’arte, dalla letteratura, dalla politica e dalle scienze, al di là di quell’errore di Cartesio che ha segnato la visione occidentale della corporeità, separando carne e anima fino a renderle estranee l’una all’altra. Ma in alcuni luoghi dell’arte, della letteratura e delle scienze umane — recuperati archeologicamente dall’autore — questo rapporto sopravvive e viene narrato come un’amalgama, un’indissolubile «gemellarità siamese». Luoghi come il nostro stesso linguaggio, che pregno di corporeità esprime le emozioni avvalendosi del corpo come metafora: in francese, a memoria si dice par coeur, ovvero “attraverso il cuore”; in latino, ricordare significa “richiamare nel cuore” (cor, cordis). Quando Ulisse sussurra «sopporta, o cuore, più atroce pena patisti», si rivolge davvero solo al suo cuore? O tenta forse di raggiungere un punto più profondo, coincidente con l’anima?

Il corpo riportato al centro da Lingiardi è un corpo vivo e vivente, e non la mera sommatoria di processi meccanici figlia dell’attuale paradigma biomedico. «Il corpo è prima di tutto la sua vita stessa», scriveva Hans Loewald. È un corpo che sente, vive e soffre, che si fa portavoce della nostra esperienza, traducendo in manifestazioni somatiche il nostro funzionamento psichico. Un corpo da intendere, con Merleau-Ponty, come chiave d’accesso al mondo, strumento di conoscenza, ed i suoi organi particelle di una danza ancora in parte indecifrabile. Perché se è vero che di quello che vi accade «sappiamo molto di più rispetto al passato, molto rimane avvolto nel mistero» e «sappiamo abbastanza da capire che rimarrà tale. Come le opere d’arte» d’altronde «trascendiamo il materiale con cui siamo stati realizzati».

Ma siamo anche capaci di una trascendenza ben più perniciosa: quella dell’eradicazione del sé dal corpo, demandato alla trasmissione virtuale, alle immagini filtrate, alla digitazione. Cerchiamo di superare il nostro corpo cancellandolo. Viviamo nell’epoca del sé ancorato alla rete e non più al contatto, dell’identità modellata da aspettative più social che sociali. Il corpo contemporaneo diventa così un prodigio ambiguo: spaventosamente assente e presente al tempo stesso. Assente, fagocitato dal virtuale. Assente, soppresso negli incontri demandati a un messaggio o a una chiamata. Presente nella sua sovraesposizione sui social. Presente nella sua capacità di somatizzare il disagio: corpi stanchi, ansiosi, nevrotici. Presente, infine, nella sua capacità di testimoniare le barbarie di cui siamo capaci: corpi crivellati, corpi sepolti dalle macerie, scenari di insensatezza che osserviamo inermi dagli schermi. Quanta umanità sa ancora rievocare un corpo?

Corpi schiavi: di un partito, di un’ideologia, di una religione. Corpi prigionieri: legislazioni repressive, divieti, obiezioni di coscienza che minano i diritti fondamentali. Corpi invisibili: i corpi senza pace nei cimiteri sommersi, i corpi spezzati dal lavoro.

Il corpo è tante cose. Può essere destino o punto di partenza. Ed è da dal modo in cui lo significhiamo nel nostro tempo che dipende il nostro futuro, come individui e come società. E il destino del corpo non può che essere quello dell’emancipazione e della dignità. Dobbiamo sforzarci di immaginarlo come tale, anche nei momenti di più aspra negazione dell’umanità. Perché, se il corpo è davvero un «laboratorio alchemico capace di apparizioni infinite», tra queste non può che esserci anche la propria sconfinatezza. Una libertà da conquistare, attraverso il corpo, per il corpo.

Sara Campisi

 

 

Sara Campisi Classe 1996. La mia vita è un pendolo che oscilla tra la Filosofia e la perdita di diottrie.

 

 

Approfondimenti del Blog

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Descrizione

Libro vincitore del Premio Bagutta 2025

Corpo, umano è un’evocazione, una ricostruzione idiosincratica e incantata. Dove pagina dopo pagina, organo dopo organo, affiora la consapevolezza che, anche quando rischia di svanire, l’unico modo per ritrovare il corpo è raccontarlo.

Come una visita medica, un film di fantascienza, un pomeriggio d’amore, questo è un viaggio nel corpo. Di tutti i libri sul tema, l’unico segnato da una virgola: Corpo, umano. Virgola che impone una pausa, respiratoria e mentale, dentro la quale cercare il proprio, di corpo, oggi al centro di mille attenzioni, ma di nessuna cura: la medicina lo scompone in oggetti parziali, la vita online lo sottrae alle relazioni toccanti, la politica lo strumentalizza. Vittorio Lingiardi lo riporta con sensibilità al centro della scena e ci racconta gli organi che lo compongono – uno per uno, dal fegato al cervello, dagli occhi al cuore – con la voce della scienza e del mito, dell’arte e della letteratura. E riesce nell’impresa di restituircelo intero: «elettrico», direbbe Whitman, «vivente», direbbe Winnicott. Tutt’uno con la psiche.

Autobiografico e psicoanalitico, medico e immaginifico, questo libro concepito in tre stanze – il corpo ricordato, il corpo dettagliato, il corpo ritrovato – ci accompagna in un viaggio avventuroso all’interno del corpo, celebrando la sua fisicità senza separarla dalla sua poetica. Il sangue e le cellule, i simboli e i ricordi. Con le spiegazioni della scienza, le immagini dell’arte, le parole della letteratura, Vittorio Lingiardi racconta la vita del corpo che è «il nostro io, ma anche il primo tu». Nella sua pratica clinica, nell’esercizio della cura, ne ha ascoltati molti, di corpi. La ricerca del contatto e dell’attaccamento, il tumulto dell’adolescenza, l’esperienza della malattia, il risveglio del desiderio, le metamorfosi del genere. Ma anche i sintomi e i silenzi: il taglio sulle braccia che attenua il dolore mentale; le ossa appuntite dell’anoressia; i muscoli gonfi della vigoressia; lo sguardo dismorfico che vede un difetto dove non c’è; il panico che simula l’infarto. Il nostro corpo ci segue e ci accompagna, sa consolarci, può essere nemico. È un laboratorio alchemico capace di apparizioni infinite: anatomico, fisiopatologico, sociale, politico, religioso, estetico, nudo, vestito, danzante, energico, stanco.

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